Emilio Salgari - La crociera della Tuonante

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«E che importa a noi della squadra di lord Dunmore?»

«Importa perché insieme con le sue navi si è imbarcata la fregata del marchese d’Halifax. Quella nave doveva essersi fermata al largo per riparare i suoi danni e turare soprattutto i suoi buchi. Ora si dice che sorpresa dal ciclone, che devasta da più settimane le coste della Virginia, non abbia potuto raggiungere le navi di lord Howe, e che cerchi un rifugio verso il sud invece che verso il nord. Mi hai capito?»

«Non sono sordo.»

«Allora andiamo a bere un gocciolino nella mia cabina, e poi andremo a trovare mastro pirra pirra.»

«O meglio paca paca ,» disse il gabbiere. «T’ha fatto pagare tanto alla taverna delle Trenta corna di bisonte!»

«Tuttavia non sono né più ricco né più povero di prima.»

Attraversarono silenziosamente la coperta, vegliata solamente da un drappello di marinai, poiché non vi era bisogno di eseguire nessuna manovra, essendo la brezza sempre debolissima, e scesero nella batteria, dove si trovavano i quattro prigionieri, guardati da quattro uomini armati di fucili colle baionette inastate. Una grossa lanterna illuminava il luogo, proiettando qua e là luci e ombre strane.

«Camerati, lasciatemi parlare con quell’uomo,» disse il Bretone indicando mastro pirra pirra, il quale stava seduto su un basso sgabello coi ferri alle mani e ai piedi.

Non sembrava gran che preoccupato della sorte che lo attendeva, ed anche i suoi compagni si mantenevano assolutamente tranquilli, come se si fossero già rassegnati ai tristi casi della guerra. D’altronde, lasciando i loro paesi soggetti a piccoli principi tedeschi, grandi arrolatori di gioventù, sapevano bene che non tutti sarebbero ritornati vivi.

Hulbrik, vedendosi dinanzi il Bretone, spalancò gli occhi, lo guardò fisso con un lampo di speranza e disse:

«Tu, patre, afere fatto bene fenire a trofarmi.»

«Perché?» chiese Testa di Pietra.

«Io domani essere morto. Io afere mie tasche trenta sterline. Te le lascio, patre. Io non federe più mai mia bionda fanciulla,» aggiunse il disgraziato con un lungo sospiro. «Mio cuore Gridare, Gridare suo nome… Povera Rita! Io dofevo sposarla dopo la guerra: ora tutto crollato intorno a me. Notte piombata, notte oscura, popolata di pestie alate che Gridano: Hulbrik, sei morto!»

«Povero giovane!» sospirò Piccolo Flocco, passandosi il dorso di una mano sugli occhi.

Testa di Pietra cercava di mostrarsi duro, ma era costretto a fare degli sforzi per non imitare il giovane gabbiere. Avevano un cuor d’oro que’ due Bretoni che né le crude battaglie né gli spaventosi abbordaggi avevano potuto guastare.

Il Tedesco stette un momento silenzioso, colla testa bassa come se volesse nascondere delle lagrime, poi rispose:

«Io non afer mai afuto paura della morte: ho lasciato mio paese, mia vecchia madre, mia casetta, per andare alla guerra. Io non sperare rivedere mia pona e pionda fanciulla, perché maledetta guerra non risparmia i giofani. Ma morire piccato, con cordone al collo e lingua fuori!… Orrore!… Mi facciano fucilare.»

Testa di Pietra si curvò su di lui e gli sussurrò in un orecchio alcune parole. L’Assiano trasalì, e il suo viso si rasserenò a un tratto.

«Non udire più prutte pestie nere a Gridare,» disse a mezza voce.

«Erano i pipistrelli che popolano le notti eterne dell’altro mondo,» rispose il Bretone. «Io spero bensì di non fartele più vedere.»

«E i miei camerati?» chiese Hulbrik.

«Non pensare a loro: io non posso fare miracoli. Ci rivedremo all’alba. Non aver paura di mastro Impicca, e lasciati mettere il laccio al collo senza protestare. Cadrai subito e probabilmente fra le mie braccia.»

«Grazie, patre.»

Testa di Pietra e Piccolo Flocco, non poco commossi, si fermarono un pò nella loro cabina per riprendere animo, con alcuni bicchierini di gin, poi risalirono in coperta. La corvetta s’avanzava pesantemente sulla larga ondata dell’Atlantico, scotendo tutte le sue artiglierie. Il vento era quasi cessato, perciò anche le navi della squadra americana erano rimaste quasi in panna a un mezzo miglio di distanza verso ponente.

Il Baronetto era già in coperta e passeggiava nervosamente, borbottando e facendo dei gesti che parevano di minaccia.

«Lo vedi?» chiese il Bretone al giovane gabbiere. «Lo hanno reso infelice con un infame tradimento. E dire che nelle vene di quei due uomini, si chiamino Halifax o Mac-Lellan, scorre quasi il medesimo sangue.»

«E il signor Howard?»

«È al timone. Quando soffia tempesta nel cuore del comandante, vira di bordo e non torna se non si chiama. Sai, d’altronde, che il nostro secondo è un pò orso. Rimani qui.»

«Che cosa vuoi fare?»

«Tagliare la bordata al Corsaro.»

«Scatenerai un uragano indemoniato.»

«Sono di Batz, io, ed ho il pelo quasi bianco, monello!» rispose Testa di Pietra. «Egli non mangerà il suo vecchio e fido mastro che comanda i pezzi della coperta. Sono troppo necessario io a bordo di questa corvetta. Contrabbraccia a babordo!»

Il Bretone descrisse una specie di zig-zag e andò a cacciarsi fra i due alberi di trinchetto e di maestra, invadendo il terreno che batteva il Corsaro. Questi dapprima non aveva fatto attenzione a lui. Andava e veniva, colla testa bassa, le braccia incrociate, come se un vento d’uragano lo spingesse, facendolo virare proprio dinnanzi all’uno e all’altro dei due alberi. Ma il Bretone ad un tratto si trovò sul passaggio di lui.

«Mio comandante,» disse saltando lestamente da un lato, «scusate se vi ho disturbato.»

Sir Mac-Lellan si arrestò fissando il fedele marinaio, e dopo un breve silenzio gli disse: «Dove sei stato tu, vecchio mio, poco fa?»

«Nella batteria, mio comandante.»

«A parlare con Hulbrik?»

«Corpo di tutti i campanili! Ci sono delle spie a bordo della Tuonante?» gridò il Bretone, con uno scatto di collera.

«No, ti ho veduto io.»

«Se vi fosse stato un delatore, l’avrei accoppato con un pugno nel cranio. Io ho sempre odiate le spie.»

«Non fioriscono sulle terre bretoni?»

«No comandante.»

Sir Mac-Lellan girò su se stesso due o tre volte, poi le sue mani piombarono sulle robuste spalle del mastro.

«Che cosa ti ha detto quell’uomo che domani non sarà più nel numero dei viventi?» gli domandò.

«Mi parlava della sua bionda fanciulla, alla quale doveva unirsi dopo terminata la guerra.»

«Una fanciulla bionda!…» esclamò il Corsaro.

«Sì, mio comandante: le tedesche, come le inglesi, sono quasi tutte bionde: lo sapete meglio di me.»

Il Corsaro fece un balzo e un gesto di rabbia.

«Peste!» gridò.

«A chi, mio comandante?» chiese Testa di Pietra.

«A te ed a tutti i Bretoni della terra!»

E riprese la furiosa passeggiata, come se l’uragano fosse diventato ciclone; ma dopo aver fatto pochi passi, tornò come un bolide addosso al Bretone, il quale lo aspettava di piè fermo.

«Ti ha detto che doveva sposare una fanciulla bionda?» gli chiese con accento strano.

«Sì, mio comandante.»

Il Corsaro sospirò a lungo, e tacque girando ancora una volta su se stesso, come se non potesse più frenarsi; poi, guardando Testa di Pietra, il quale lo aspettava sempre impassibile e sempre fidente, gli disse:

«Quell’uomo, che è fidanzato ad una fanciulla bionda, non morrà!»

«Quel traditore?»

«La guerra è la guerra,» rispose il Corsaro alzando le spalle.

«Ha ragione il più forte e il più astuto… Come si chiama la fanciulla bionda di quel Tedesco?»

«Mary, mi pare,» rispose pronto il furbo Bretone.

«Mary?»

«Sì, comandante.»

«Ed è bionda come Mary di Wentwort?»

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