Emilio Salgari - La crociera della Tuonante

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«Ah, furfante!…» lo interruppe il Bretone, «lascia stare quel brav’uomo: valeva Jean Bart… Saldi in gambe! Assicurate i pezzi! L’Atlantico si scatena.»

Difatti l’oceano, dopo una breve calma, tornava rabbioso all’assalto delle navi scagliando delle ondate di dieci e perfino di dodici metri, ondate che di solito non s’incontrano che al Capo Horn. Giungevano le liquide montagne rumoreggiando, muggendo, tonando, colle creste irte di schiuma fosforescente, e si abbattevano senza misericordia sulle due squadre, mettendo a duro cimento l’abilità dei piloti e dei marinai.

Malgrado le spaventose scorribande, il Baronetto e il signor Howard non avevano lasciata la coffa di maestra. Volevano scoprire la fregata; cosa non difficile, poiché, come abbiamo detto, alla notte buia era succeduta una notte di fuoco. Immensi lampi si proiettavano sulla fuggente squadra, tutta avvolgendola in una tinta cadaverica. I fulmini si succedevano ai fulmini, le palle elettriche cadevano, la gran voce del tuono vinceva i ruggiti del mare, ciò nondimeno la caccia continuava accanita.

La corvetta, senza badare se era seguita dalle quattro navi americane, stringeva il vento per piombare sul fare del giorno, se lo stato del mare lo avesse permesso, in mezzo alla squadra di lord Dunmore e pescarvi la fregata, magnifica e salda veliera, che sormontava le onde come se fosse un guscio di noce, tenendo fieramente testa ai furori dell’Atlantico.

Già la notte stava per alzarsi, quando la voce del Corsaro, quella voce metallica, incisiva, scese dalla coffa dominando per un istante i ruggiti del vento e i fragori delle onde:

«La fregata!»

Testa di Pietra fece un salto, girò due volte su se stesso come una trottola, e gridò:

«Corpo della torre di Babele! La fregata! Ah, questa volta quel dannato puntatore avrà da fare i conti con me!»

«Preferirei un abbordaggio,» disse Piccolo Flocco. Con questo mare?»

«Si picchia dentro.»

«E si va tutti in bocca ai pescicani. Tu non diventerai mai un ammiraglio.»

«Mio padre non era che un pescatore.»

«Anche i pescatori possono diventare comandanti di squadra, quando hanno sangue freddo e pugno saldo al timone… Ma basta con le chiacchiere. Ai pezzi, artiglieri! Le onde si spianano ed il vento cede. Bruceremo della buona polvere. Corpo di tutti i campanili e di tutte le torri della Bretagna! Voglio rendere alla fregata il colpo che ci ha regalato…»

«Vuoi un paio d’occhiali?»

«Và all’inferno! Sei un vero monello!»

7. L’abbordaggio

Una raffica impetuosa aveva aperto un grande squarcio fra le nubi addensate verso oriente, ed un gran fascio di luce biancastra si era proiettata sull’oceano, mostrando d’un colpo solo tutta la squadra inglese che l’uragano spingeva verso sud. Le onde cominciavano a spianarsi, pur mantenendosi sempre abbastanza alte, da non permettere né tiri di bordata, né arrembaggi. Le navi inglesi fuggivano disperatamente dinanzi all’uragano, cercando un porto qualunque ove rifugiarsi, ma era difficile trovarlo, poiché gli Americani le inseguivano dappertutto: nella Carolina, nella Georgia, nella Florida. Avevano giurato l’esterminio di quella flotta fantasma, che colle sue improvvise comparse, ora su una costa, ora su un’altra, metteva sottosopra stanziali e coloni.

Il Corsaro aveva dato subito l’allarme, ordinando: «Tutti gli uomini ai pezzi! Fate quello che potete.» Quindi soggiunse volgendosi al signor Howard: «Cerchiamo di separare la fregata. Delle altre navi non m’interesso. A loro penseranno gli Americani.»

«Mi occuperò io di questo affare, sir William,» rispose il secondo. «Prima la fregata sarà tagliata fuori.»

«Non impegnatevi a fondo in mezzo alla squadra. Temo il puntatore della fregata, che ci ha disalberati così abilmente. Vorrei sapere dove l’ha scovato mio fratello!»

«Volete che ve lo dica francamente, sir William?» disse il luogotenente. «Ho paura anch’io di quel puntatore.»

«Ma, anche Testa di Pietra imbrocca bene i suoi tiri. Bà! monteremo all’abbordaggio e, perdio! il Marchese mi cederà la mia Mary… Al timone, signor Howard. Sorvegliate attentamente gli uomini del cassero.»

«Ne rispondo io.»

La corvetta si era messa vigorosamente in caccia, piombando addosso alla retroguardia inglese, formata tutta di navi leggiere ed antiquate. Di là da quella barriera, fiancheggiata da una mezza dozzina di navi d’alto bordo assai sgangherate, navigava la fregata del Marchese.

L’allarme era stato subito dato, ed i cannoni già facevano udire la loro possente voce, con poco successo bensì, poiché il mare era ancora troppo mosso e impediva ai puntatori di prendere la mira.

Le navi americane, avvertite con segnalazioni di bandiere dell’audace progetto del Corsaro, si erano messe animosamente dietro alla Tuonante, per essere pronte ad aiutarla nel gran momento, ed avevano impegnato un vivace combattimento contro cinque o sei piccoli avvisi veleggianti sui fianchi della flottiglia. Ma, come abbiamo detto, era polvere sprecata.

Il pezzo da caccia di Testa di Pietra tonava con intervalli di appena mezzo minuto, celerità massima per quei tempi; eppure il Bretone arrabbiato, se la prendeva con tutti i campanili della terra. Sempre le medesime parole uscivano dalle sue labbra contratte:

«Una vela forata! Una sartia troncata! Uno striscio di murata! Bell’affare! Ci vuol altro, mio caro testone!… Sei troppo vecchio ormai.»

«Ah, te ne accorgi?» disse Piccolo Flocco, che lo aiutava nel caricamento del pezzo insieme con sei artiglieri.

«Che il diavolo ti porti diritto all’inferno, monellaccio!»

«A suo tempo.»

In quel momento sir William salì sul castello di prora per animare colla sua presenza gli artiglieri. «E dunque, vecchio mio?» disse rivolgendosi al Bretone. «Non si disalbera?»

«Mare cattivo, mio comandante.»

«Non sparare che sulla fregata.»

«È quello che sto facendo.»

«Le navi americane s’incaricheranno delle altre. Su, Testa di Pietra, un colpo da fare stupire il puntatore della fregata.»

«Se sapessi dove si trova, lo truciderei.»

«Sul cassero.»

«Lo suppongo anch’io. Piccolo Flocco, siamo pronti?»

«Sì, mastro,» rispose il giovane gabbiere.

Il Bretone si chinò sul pezzo tenendo in mano la miccia, rettificò due o tre volte la mira, poi scatenò l’uragano, approfittando del momento in cui la Tuonante si librava sulla cresta d’una mostruosa ondata, in modo da dominare tutta la squadra inglese. La fregata veleggiava a mille e cinquecento passi e s’industriava di non mettersi troppo allo scoperto, sapendo già il Marchese che ben poco aveva da sperare dal bastardo.

Quasi avessero indovinato il progetto del Corsaro, i marinai si mantenevano ostinatamente in mezzo alla squadra, temendo un abbordaggio. Delle palle di quando in quando cadevano sulla nave maledetta, ma non erano colpi decisivi. Invano Testa di Pietra aveva fatto tonare a volta a volta i due grossi pezzi da caccia del castello di prora. Sempre vele forate, qualche manovra recisa, qualche palla di rimbalzo che strepitava sulla tolda avversaria, impressionando l’equipaggio, il quale si vedeva fatto segno a quella grandine di colpi.

Il signor Howard, abilissimo marinaio, con una lunga bordata sfondò la retroguardia della squadra inglese, facendo tonare tutti i pezzi delle batterie.

Nessuna nave ebbe il coraggio di opporsi a quell’audace attacco, anche perché gli Americani giungevano bene stretti in aiuto della Tuonante, cannoneggiando senza economia di polveri e di proiettili.

Intanto il Corsaro si era avvicinato a Testa di Pietra:

«Su, vecchio mio, fracassa un’ala a quel maledetto gabbiano, e poi monteremo all’abbordaggio.»

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