Vittorio Bersezio - La plebe, parte I
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Fu Gian-Luigi a rompere il silenzio, poichè ebbe avviato per bene il suo sigaro, mandando fuori rapidamente dalle labbra tre o quattro dense nuvole di fumo.
– Quanti anni sono che non ci siamo più visti?..
– Sei, rispose asciuttamente Maurilio.
– Tò gli è vero. Avevo allora vent'anni, ed ora ne conto presto ventisette Mah! come il tempo passa!.. Tu ne avevi diciotto allora, non è vero?
Maurilio fece un segno affermativo col capo, conservando sempre la sua medesima positura.
– E' mi pareva un secolo che noi eravamo divisi: riprese Gian-Luigi; eppure ora nel rivederti mi torna ad un tratto come se ieri ancora noi fossimo insieme… E tu? Mi hai tu dimenticato, Maurilio?
– No: disse quest'ultimo.
Gian-Luigi avvicinò ancora di più la sua alla seggiola del compagno, e tendendogli la mano soggiunse:
– Noi abbiamo vissuto nei primi anni come fratelli… La nostra sorte, le nostre condizioni sulla terra sono le medesime. Perchè non ci uniremmo noi nel cammino della vita?
Maurilio pose freddamente la sua grossa mano in quella che gli tendeva Gian-Luigi (una mano elegante, quasi potrebbe dirsi aristocratica, di cui si vedeva il suo possessore averne gran cura); ma non tardò a ritrarnela senza pure avere corrisposto alla stretta di quella del suo compagno.
– E tua madre? Disse ad un tratto Maurilio piantando più acutamente ancora il suo sguardo negli occhi del medichino .
La domanda parve a quest'ultimo non molto gradita. La faccia di lui si contrasse alquanto con un'espressione di malavoglia a cui tosto successe una sdegnosa impazienza, cui però fu sollecito a frenare.
– Mia madre! Rispose egli, chinando gli occhi innanzi a quelli del suo interlocutore. Chi chiami tu mia madre?.. Sai bene che al par di te io sono un misero derelitto, cui trovarono soverchio peso i genitori e condannarono infamemente all'ingiusta infamia della condizione di trovatello… Oh gli scellerati! Quante volte li ho già maledetti, e quante volte ne li maledirò… e non finirò mai di maledirli fin che io viva!..
Maurilio sollevò la testa e drizzò la persona con nobile mossa.
– Non maledire nessuno! Esclamo egli con accento pieno d'autorevolezza e di forza. Che sai tu, che sappiamo noi se abbiamo il diritto di maledire?
Gian-Luigi si tolse il sigaro che masticava rabbiosamente fra i denti e lo gettò con impeto fra le fiamme del caminetto. Percosse con una mano la spalliera della sua seggiola su cui si appoggiava, e proruppe con vivacità che s'accostava alla violenza:
– Sì l'abbiamo, per Dio! Perchè i nostri genitori ci hanno lanciati nel mondo con questa macchia di disonore sulla fronte?.. Trovatello!.. Avessi tu il maggior ingegno, non potrai nulla, non sarai nulla, non perverrai a nulla mai, perchè sei un trovatello. Oh che abbiamo noi da portare così grave il peso e l'espiazione – noi innocenti – della loro colpa?
– E se fosse della miseria? Interruppe con voce grave Maurilio. Tu sai pure che cos'è la miseria! Tu l'hai vista faccia a faccia… Non so ora come tu stii con essa, e se hai trovato nelle forze della tua personalità che sempre ho conosciute molte e potenti, il mezzo e la fortuna di far divorzio completo con quella scarna Dea della plebe; pur pure la ti fu compagna e scorta nei primi passi della vita… Non dovresti aver dimenticato a quali crudelissime strette ponga questo orribil flagello un'anima umana… Ah! io ne ho conosciute di queste madri nella corta ma avvicendata commedia della mia vita; ne ho conosciute di queste madri che col coraggio disperato con cui uno si lacera le proprie viscere, si separano dal sangue del loro sangue, dal nato dal loro seno, dall'unico amore, dall'unica gioia della loro vita di stenti, perchè non hanno più un boccone di pane da farne una goccia di latte pel figliuol loro… Chi, chi su questa terra avrebbe la crudeltà di maledirle?
Maurilio parlava lentamente, con voce contenuta e direi quasi rimessa e sorda; ma in alcuni tratti quella voce velata vibrava in istrana maniera e si imprimeva d'un certo affetto onde lo ascoltatore difficil era non rimanesse commosso.
Ma però tale non rimase Gian-Luigi, che colla medesima concitazione di prima proruppe nuovamente:
– E se non han pane da dar loro, perchè mettono al mondo figliuoli?
– Gian-Luigi! Esclamò con infinito rimprovero Maurilio.
Il medichino rimase alquanto percosso nell'anima dall'accento del suo compagno; frenò fra i denti una bestemmia e si morse con atto pieno di contrarietà i neri baffetti che gli ombreggiavano assai leggiadramente il labbro superiore.
– Ebbene, sia: diss'egli poi. Abbiano, non dirò il perdono, ma men severa condanna od anche l'oblio coloro cui spinge a questo scellerato passo la miseria. Ma se tu pensi che tale possa essere il motto dell'infelice destino a cui ti condannarono quelli che incautamente o colpevolmente hanno chiamato nel tuo corpo un'anima a dolorare in questa infame lotta fratricida della vita, io di me non lo penso, io di me sento che così non è. Il perchè e il come non saprei dirteli; ma sono sicuro che altra più rea cagione ha fatto imperdonabilmente colpevoli verso di me coloro che mi hanno data la esistenza.
Si alzò e incrociò le braccia al petto, piantandosi in tutta la venustà e l'imponenza della sua persona innanzi a Maurilio.
– Guardami! Diss'egli con superba sicurezza, la quale non appariva a chi lo guardasse che la giusta coscienza di sè medesimo. Ti sembro io il figliuolo d'un plebeo? Queste forme, queste membra, queste sembianze non dicono esse che un sangue gentile scorre nelle mie vene? È il grido che esce spontaneo dalle labbra di tutti, appena mi vedono; è il motto che fin dalla mia culla mi suonò all'orecchio sulla bocca d'ognuno che mi incontrasse: – e' pare il figliuolo d'un principe. Vedi tutti quei miserabili che s'accalcano nella stanza di là, ignobili di forme, di gusti, di pensieri. Quelli sono i figliuoli della miseria, non io!.. A contatto con loro, non ebbi mestieri che di volere, e mi si prostrarono innanzi, che di comandare, e mi obbedirono come servi. Perchè? Perchè mi sentirono d'una razza a loro superiore E queste aspirazioni, questo rabbioso anelare verso tutto ciò che è bello, tutto ciò che è splendido, tutto ciò che è grande? Oh! non è forse l'essere mio che tende a quell'altezza che gli compete?
Maurilio mirava fisso il suo compagno con isguardo freddo sempre, osservatore e severo.
– Questo, diss'egli col suo solito accento, è l'agognare dell'anima umana alla gioia ed al piacere che le sfuggono a mano a mano dinanzi. Tu hai forse posto più in alto la mira perchè le circostanze ti fecero capace di apprezzare altri diletti nella vita che quelli non sono, i quali appariscono alla ignorante fantasia della plebe; ma il sentimento è quel medesimo che poc'anzi informava le parole di quell'ubbriaco Marcaccio quando voleva indurre il suo compagno a bandire la guerra ai ricchi col latrocinio.
Gian-Luigi si riscosse come tocco da un ferro rovente: il solco della ruga frontale apparve in mezzo alle sue sopracciglia.
– Che di' tu? Che sai tu? Prorupp'egli con fierissimo impeto. Mi metteresti a mazzo con quei bari e ladroncelli?
– Io non so nulla: rispose Maurilio sostenendo lo sguardo acceso del suo compagno. E ad ogni modo mi guarderei bene dal porre te al loro livello ed essi al tuo. Tu nell'oblio del dovere e nel disprezzo della legge avresti a mille doppi maggiore che non essi la colpa, perchè tu sai, ed a loro la profonda ignoranza è scusa.
Il medichino parve prossimo a cedere ad uno di quegl'impulsi dello sdegno che spingono alla violenza; divenne in volto del color del fuoco, le labbra gli tremarono e gli occhi balenarono d'una luce sinistra; ma con uno sforzo della sua volontà potentissima si contenne. Mandò un'esclamazione che pareva una specie di ruggito mozzicato fra i denti, e levatosi a forza dal luogo dove stava piantato, fece due o tre giri per la stanza; poi tornò presso il caminetto, trasse fuori un altro sigaro e lo accese con tutta pacatezza.
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