Vittorio Bersezio - La plebe, parte I

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Lo sconosciuto aveva prestato sino allora vivissima attenzione ai discorsi de' suoi due vicini, e quando Marcaccio aveva abbassata la voce, egli, per non perderne pure una parola, s'era sporto della persona ad appressare l'orecchio al parlatore; ora all'udir pronunziato quel nome, sembrò accrescersi ancora l'interessamento con cui ascoltava, e tutto tutto parve intento ad afferrare le parole di Marcaccio.

Codesto vedeva l'oste, il quale, riaccoccolatosi dietro il suo banco, faceva scorrere di sotto alle prominenti occhiaie il suo sguardo da gatto per tutta la stanza dell'osteria.

– Uhm! Diceva egli tra sè di mal umore. Se l'ho detto che codestui era un mercante di fiato… Un novizio però!.. Ve' come si sporge, come allunga il collo e tende gli orecchioni!.. Lo si può riconoscere da lontano le cento miglia… Uhm! Uhm! E quel soro di Marcaccio non ci abbada… Ha tanto giudizio come un fiasco rotto, ed è ubbriaco come una doga… Chi sa che razza di discorsi scomunicati mi sta facendo! Uhm! Non vorrei che compromettesse la mia osteria e me… Quanto a lui vada pure a dar calci a rovaio che poco me ne importa; quantunque con esso ci sia da guadagnare dei bei denari… Che il diavolo lo scavezzi; ma non vorrei che tirasse me nella ragna; e chi sa che cosa può dire, ebbro com'egli è!.. Uhm!.. Bisogna avvertirlo.

E s'alzò da sedere, avviandosi lentamente a suo modo verso il desco occupato da Marcaccio e da Andrea.

– Ah sì, il signor marchese, diceva intanto quest'ultimo: quello è un galantuomo… Oh sì un vero galantuomo!

Marcaccio scrollava compassionevolmente le spalle.

– Un galantuomo! Perchè ti dà qualche soldo di quando in quando di quelli che non sa cosa farne, e ne ha tanti che basterebbero a far vivere dugento altre famiglie.

– Ne dà a tutti: ripigliava con un certo calore Andrea: ne dà a tutti il marchese… io non oso molto comparirgli davanti, perchè me, mi strapazza, e quando strapazza con quella sua voce grave, e con quella sua faccia severa, e con quella sua bella figura da vecchio, a me, lo dico senza vergogna, mi fa un certo effetto… Perchè sento che non ha torto, quando mi dice che sono un fannullone, un tristo arnese e che ho messo sulla paglia la mia famiglia… Sulla paglia? Ne avessimo almeno di paglia!.. Ma mia moglie, alla mia povera moglie, concede tutto ciò che domanda; e se ella osasse andarci più sovente… ma la si vergogna… e massime per me che le tocca sempre difendere innanzi al marchese… Breve! Quello lì è un ricco di cui non si ha da dir male.

– E tu sei uno sciocco che non sai ciò che ti peschi: proruppe Marcaccio. To', bevi ed ascoltami.

Tracannato egli medesimo un colmo bicchiere di vino, Marcaccio ripigliava:

– Quante lire di reddito ha quel galantomone d'un marchese, come tu lo chiami? Ducento mila di certo, e forse più: non è vero?.. Bene. Per vivere ad un uomo quanto occorre, eh?.. Non sapresti dirlo tu, Andrea?.. To', se ti dicessero a te adess'adesso: ti diamo due mila lire all'anno e non hai più nulla da fare, sacr…! tu faresti di salti da toccare il cielo col naso. Vivresti per benone tu e la tua famiglia che siete in sette. Non è così? Or be' a quel marchese facciamola alla larga e diamogli tante duemila all'anno quante persone di suo sangue ha in casa. Duemila lire per lui, due mila per quel superbione di suo figliuolo, un arrogante quello lì che spero non vorrai portare in palma di mano ancor esso; duemila per la moglie del marchese, anche quella una schizzinosa che le vien del cencio solamente a guardarci, duemila ancora per la nipote del marchese, la signorina Virginia…

Lo sconosciuto che stava ascoltando diede in un lieve sussulto all'udir quest'ultimo dolcissimo nome: Andrea si riscosse ancor egli ed interruppe:

– Oh quella è una brava creatura del buon Dio… è una bellezza!.. Cisti! Che bellezza!

– Buono! Riprese con rozza impazienza Marcaccio. Questo non ci ha da che fare. La bellezza di quella immagine dipinta non è fatta per noi miserabili straccioni; e non me ne importa una pipa rotta… Gli è dei lughi che io mi do pensiero… Dunque supponendo che a sto benedetto marchese rimanessero ottomila lire all'anno da mangiarsi in santa pace, non ti pare che avrebbe più che il bisognevole? Cospettone! Altro che!.. Da duecento mila lire togline ottomila, restano cento novantadue mila lirette che a mille franchi ciascuno potrebbero far tranquilli e beati due centinaia di poveri diavoli, come siam noi, io e tu, per mille terremoti! Dico bene? Non è chiaro codesto come due e due fan quattro?

Ed Andrea sempre più stupidito dall'ebbrezza balbettava:

– Sicuro, sicuro; gli è chiaro.

– Povera ignoranza! Mormorava fra sè lo sconosciuto.

Intanto l'oste era giunto al desco dei due bevitori ed ammiccando in un certo modo a Marcaccio, perchè tacesse, s'era seduto sulla panca vicino ad Andrea.

– E così, compari, aveva incominciato a dire, come la va?

Marcaccio guardò lo interruttore di mal occhio.

– Che cosa vieni a ficcar qui il tuo becco, figliuolo della versiera? Gli disse con isgarbo. Chi ti ha chiamato?

E l'oste, facendo boccaccie che lo sconosciuto non poteva scorgere e strabuzzendo sempre gli occhi, per accennare all'uomo che aveva di dietro:

– Che? Rispose. Ti rincresce ch'io venga a domandarti come stai e scambi con voi altri quattro chiacchere?

– Un corno! Gridò Marcaccio. Ne abbiamo noi in via di chiacchere che sono più interessanti delle tue cianciafruscole. Non è vero, Andrea?..

E qui, cambiando ad un tratto di tono, come aveva cambiato di pensiero, secondo che succede alla mente in preda ai fumi del vino, soggiunse:

– Appunto! Tu Pelone che sei volpe vecchia puoi aiutarmi a far capire certo ragioni qui a mastro Andrea che è l'uomo più scrupoloso e più pan bagnato del mondo.

L'ubbriaco si riscosse.

– Io, pan bagnato?.. Corpo d'una saetta, Marcaccio, son capace di mostrarti…

– Mostrarmi le ciambelle. S'io ti dicessi: c'è un bel colpo da fare a questo marchese, e se tu mi aiuti n'avremo in tasca dei bei giallognoli…

L'oste si mise a tossir forte, e di sotto alla tavola diede una gran pestata ad un piede di Marcaccio.

Questi ruppe in una sconcia bestemmia:

– Guarda che fai, oste della malora; mi storpii un piede.

– Al marchese!.. Un colpo! Balbettava Andrea. Di bei giallognoli in tasca!.. E pane pei miei figliuoli…

– Sicuro!.. Pane ed anche companatico… purchè tu voglia.

– No, no, non voglio… Al marchese… Mio benefattore!

– Uh! l'imbecille! susurrava Marcaccio fra i denti, guardando di traverso Andrea.

– Uh! l'imprudente! mormorava Pelone guardando con dispetto insieme e compassione Marcaccio.

– Bene: riprendeva quest'ultimo. Il tuo marchese lasciamolo Stare; ma c'è un altro riccone di nostra conoscenza che credo non vorrai difendere: il sig. Nariccia, il tuo padron di casa.

A quel nome tutto s'annuvolò l'aspetto di Andrea.

– Un birbante! Esclamò egli con uno scoppio di voce.

– Siamo d'accordo: soggiunse Marcaccio. Ed ha i marenghini a palate; ed io so ben bene dove li ripone. Quei marenghini li ha spremuti dai poveri. Pigliarglieli è fare opera meritoria.

L'oste, che aveva invano fino allora tentato ogni mezzo indiretto per far tacere Marcaccio, pensò che era tempo di ricorrere a più efficaci spedienti.

– Ah ah! Diss'egli con un suo riso forzato. Marcaccio è poi sempre quel medesimo che vuol ridere… Le sono le sue solite facezie…

– Facezie! Interrompeva Marcaccio guardando minaccioso Pelone entro gli occhi. Facezie una maledetta!..

Ma l'oste, curvatosi all'orecchio di lui, gli susurrava in fretta in fretta alcune parole che avevano la virtù di fargli cambiare improvviso l'espressione della fisionomia e di farlo sussultare sul suo sedile. Gettò egli ratto lo sguardo sull'uomo che stava col ragazzo al desco li presso, e siccome lo sconosciuto era lontano le mille miglia dal supporre i giudizi che si facevano di lui e i pericoli che lo minacciavano, Marcaccio potè vederlo nell'attitudine che aveva d'un attento ascoltatore dei discorsi de' suoi vicini.

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