Vittorio Bersezio - La plebe, parte I

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Gian-Luigi fece un sorriso di superba compassione.

– Quel povero vecchio! Diss'egli. Oh! se me lo ricordo. Fra tutti i bambini ch'egli pigliava ad istruire per carità, non aveva tardato ai accorgersi che noi due, tu ed io, avevamo nel cervello qualche cosa di più che gli altri. Si mise con più cura a svegliare in noi quell'ingegno che aveva travisto e voleva rivolgere a benefizio della Chiesa, a cui egli appartiene. Il buon uomo aveva sognato di fare di noi due difensori della fede; quando vide che quella non era la nostra strada, forse si pentì d'averci tolti all'ignoranza. Mi ricordo che l'ultima volta in cui lo vidi, mi disse con doloroso abbattimento: Credevo di guadagnarvi a Dio; aimè! vi ho guadagnato al Demonio.

– Io ho per lui la maggior gratitudine che possa avere anima d'uomo: ripigliò a dire Maurilio. Per lui ha incominciato a stenebrarsi la mia mente. Quando entro, come ti dissi, in quella chiesa, che da bambino mi pareva così vasta e solenne, ed ora trovo qual è, niente più che un'umile e piccola chiesuola di campagna, io vado a sedermi nel coro, sopra uno di quei banchi di legno rozzamente scolpito, dei quali un per uno ho contati e toccati ed accarezzati tante volte i fiorami nelle ore del catechismo e delle sacre funzioni, mi serro nelle mani la testa, e tutto il mio passato mi difila dinanzi, illuminato dal sorriso mesto e benigno di don Venanzio. E talvolta, alzando il capo, me lo vedo in faccia lui stesso, sempre colla sua aria serena, colla sua bella aureola di capelli bianchissimi, col mite e pietoso splendore de' suoi limpidi occhi azzurri, che nella silenziosa solitudine di quel povero tempio, mi appare come il buon genio del luogo. Ad ogni volta egli mi viene incontro con una speranza che gli rallegra il viso:

« – Ah! Siete voi Maurilio? Dic'egli. È la mano di Dio che qui vi ha scorto? È la grazia che vi ha tocco? Nei luoghi della vostra infanzia siete venuto a cercare ed avete trovato la fede?

«Io crollo tristamente la testa; egli china con doloroso atto la sua, lascia cader la mano che mi tendeva, ed esclama: – Siate il benvenuto, nulla meno nella casa di Dio ed in quella del suo servo. Un giorno verrà, io spero, in cui l'anima vostra sarà riacquistata a quella divina, che lega la miseria della creatura alla grandezza del creatore; e mi conceda Iddio che in quel dì io sia ancora sulla terra e possa accogliervi nelle mie braccia.

– Eh! Fole! Esclamò Gian-Luigi sprezzosamente. Quel giorno saresti rimbambito al par di lui: e non è dei caratteri e degli ingegni come i nostri che si lasciano pigliare a ragne da femminette.

Maurilio aspettò un istante, e poi soggiunse:

– Ad ogni volta don Venanzio mi parla pure di te.

– Sì? Benone! Gli è desso dunque che mi accusa, ci scommetto. Che cosa ti dice?

– La sera, rispose Maurilio, quando le ombre invadono quella chiesa deserta, quando non un passo turba più il silenzio sepolcrale di quelle volte, quando non un bisbiglio di preghiera s'innalza più innanzi all'altare, una forma di donna che lentamente ed a fatica si strascina, viene a gettarsi ai piedi della statua della Vergine. Il debole lumicino che pende dall'arco della nicchia, colla sua fioca luce illumina il corpo curvo, affranto, miseramente vestito, d'una vecchia inferma. Tutto bianchi i capelli, tutto rughe la faccia il pallore del bisogno e della malattia sulle guancie, il rossore delle lagrime negli occhi mezzo ciechi, gli strappi della miseria intorno alla persona, i segni della fame nella magrezza dolorosa delle membra che tremano. Se tu fossi colà, udresti delle preci mormorate con quella passione che dinota il trasporto dell'anima, tutta tutta intesa in un pensiero, poi sospiri profondi, poi singulti di pianto che straziano l'anima.

« – Sai tu chi è quella infelice? Mi disse, con voce commossa don Venanzio, allorchè me l'ebbe mostrata fra le appena rotte tenebre della chiesa. È una povera derelitta cui Dio ha concesso le più fiere prove di purgatorio in questa vita terrena. Non ha che cinquant'anni, ma la sciagura glie ne dà sessanta: fu povera sempre, oggi è poverissima. Quando era giovane aveva le forze del suo corpo robusto per lottare colla miseria; ora attempata e malaticcia soffre il freddo, soffre la fame, soffre l'abbandono di tutti, e vive d'elemosina, e razzola nelle spazzature i rifiuti degli alimenti altrui. Odi la sua storia…»

Gian-Luigi si agitò sulla sua seggiola.

– Odila anche tu, soggiunse Maurilio con un accento di autorevolezza che parve imporne al suo compagno. «Era moglie d'un onesto taglialegna; campavano allegramente contentandosi di poco, procurandosi il tozzo di pane inferigno con un lavoro indefesso d'ogni giorno. Ella restò madre. Era un sopraccarico alla loro povertà; ma essi lo accolsero come una ventura, come un regalo di Dio. Però il suo figliuolo non visse e le più amare lagrime sparse la buona donna sul corpicino estinto di quella creatura che era venuta a farle conoscere le sublimi gioie della maternità, e poi erasi tostamente da lei dipartita. Alcuno consigliò al taglialegna di trar profitto della circostanza ed accrescere con qualche baliatico le loro misere fortune. Ma erano così poveri! Chi avrebbe consegnato suo figlio agli abitatori di quella capanna che pareva il soggiorno del bisogno? Non ne trovarono di genitori a cui bastasse la fama dell'onestà loro. «Dirigetevi all'ospizio dei trovatelli; loro disse ancora qualcheduno; colà troverete di sicuro uno di quei poveretti ad allevare.» Così fecero, e riuscirono. La buona donna ritornò alla sua casipola trionfante, stringendo amorosamente al suo seno il più bel fanciullo che possa veder occhio d'uomo. Le pareva che il cielo pietoso, commossosi alle sue lagrime, le avesse restituito suo figlio. Tutto l'amore che aveva sentito per quell'angioletto morto, lo raccolse sopra questo nuovo bambino mandatole dal cielo, a cui dava col suo latte la vita. Sì, ella sentiva di farlo suo ogni giorno più, ella sentiva un legame indissolubile, come quello del sangue, congiungere le intime sue fibre alla esistenza della creaturina che viveva, che cresceva, che ogni dì facevasi più bella per lei. Prima lavoravano indefessamente, i due poveri villani, solo per guadagnarsi il pane; ora si posero a lavorare con più accanimento per avere oltre il pane anche un po' di agio da circondarne la culla del bambino loro mandato dalla sorte.

«Ma un giorno fatale una orrenda disgrazia percosse quella povera famiglia. Il marito di quella donna sradicando un albero restò sotto al tronco di esso che precipitò troppo presto. Portarono alla sua casipola il misero taglialegna fatto cadavere. Non parliamo del dolore dell'infelice donna; essa era sola oramai al mondo per guadagnare il pane a sè ed alla creatura che aveva fatta sua; e quanto poco si paga il lavoro d'una donna nelle campagne! Dopo aver pianto tutte le sue lagrime, la buona Margherita non si smarrì di coraggio; affrontò fermamente le maggiori prove del suo nuovo stadio di vita. Il bambino era svezzato da tempo dal latte e l'ospizio non pagava più il baliatico.

« – Restituitelo alla pia casa: consigliarono i prudenti alla brava donna. Non ne avete abbastanza per mantenervi voi, e volete stracciarvi le cuoia a tirar su un figliuolo che in fin dei conti non vi è nulla di nulla?

« – Non mi è nulla? Esclamava essa quasi con isdegno. E' mi è tutto. Ho lui solo al mondo. E poichè l'amo tanto ed avrò tenuto cura della sua infanzia, egli mi amerà anche un poco, e consolerà la mia vecchiaia.

«Alcuno più previdente soggiungeva:

« – Eh! prima che quel bambino sia cresciuto di tanto da potervi rendere in alcun modo i sacrifizi che fate per lui, voi avete tempo a crepar di miseria; e ancora chi vi dice che non vi alleviate in seno la serpe d'un ingrato?..»

A questa parola Gian-Luigi si riscosse, ma non parlò, non interruppe nemmeno con una voce. Si curvò verso il fuoco, prese le molle e si pose a battere con esse sui tizzoni che ardevano.

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