Vittorio Bersezio - La plebe, parte I

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– Ciò prova che vi era del buono in lei.

– E codesto la fece morire tisica all'ospedale a vent'ott'anni. Sono intorno a nove anni fa; me ne ricordo sempre; la mi fece chiamare al suo letto dove rantolava che faceva spavento, e mi disse con quel poco di voce che le restava e serrandomi la mano colle sue che bruciavano come carboni accesi: – Mamma, tu mi hai da promettere di non abbandonare mio figlio e di allevarlo su un onesto uomo. Che cosa vuole ch'io facessi? Promisi tutto quello ch'ella volle.

– Ed avete fatto bene.

– Oh! me ne ho dovuto pentire più d'una volta, glie lo dico io… Avrei fatto meglio a dar retta al consiglio di alcune amiche, che era di piantarlo là e lasciar pensare a lui quella provvidenza che l'ha fatto nascere.

Maurilio sentì un profondo ribrezzo, ma stimò inutile il mostrarlo, e dopo un momento domandò:

– E suo padre?

– Chi? Il padre di quel bastardo? Chi l'ha mai visto o saputo chi fosse? Se l'avessi conosciuto, glie ne avrei portato bravamente e dettogli: – Mantenetevi voi la vostra carne ed il vostro peccato, ch'io, che cosa ci ho da entrare io?

– Però voi da questo piccino tirate alcun profitto.

– Santa Madonna della Consolata! A che cosa può giovare di buono un bardassotto di quella guisa? Gli vo comperando qualche dozzina di mazzi di fiammiferi, perchè li rivenda e venga così raspando qualche solduccio: chè adesso che si vuol far tutto in nuovo, hanno proibito anche l'elemosina… pena il Ricovero. S'e' volesse avere testa a partito, potrebbe pure guadagnarmi qualche cosuccia di questo modo; ma sì, egli è più vizioso di quanto si voglia credere, e non è ancora fuor di casa che con altri sbarazzini di sua risma, ei non sa far altro che giuocare alle biglie, o alla trottola, alle castelline e sciupare il tempo e i denari, e va apparando non altro che difettacci.

– Questo è vero. E voi non mantenete così la promessa fatta al letto di morte di vostra figlia; di allevarlo un onest'uomo.

– Oh sante piaghe! Che cosa ho da farne? Ei non vuol saperne di nulla delle cose da bene. Padre Bonaventura, un buon reverendo dei Padri Gesuiti lì del Carmine, mi aveva detto di mandarglielo in sacristia a far qualche piccolo servizio che gli avrebbero mostrato a servir la messa, e dato qualche elemosina di tanto in tanto, ed inculcatogli quanto meno il santo timor di Dio… Eh sì! Gognino … (lo chiamano Gognino, ma il suo vero nome è Luca)… Gognino è sempre scappato come il diavolo dall'acquasantino.

– Perchè non lo acconciate con qualcuna di quelle scuole infantili che ora si sono fondate?

– Scuole? Tutte baie!.. Padre Bonaventura dice che non vi si tiran su che dei miscredenti… E poi chi mi compenserebbe i dieci soldi che me ne fo portare?

– Ah!

Maurilio parve riflettere un poco. Diede una nuova e più minuta sguardata intorno a sè, si inoltrò nella soffitta ed esaminò meglio il ragazzo, il quale, tutto rannicchiato al focolare, aveva cessato di piangere, e teneva fisso sulla nonna e sullo sconosciuto gli occhioni larghi ed attenti. Poscia Maurilio si volse di nuovo alla vecchia e le disse:

– A quel bambino, di leggere e scrivere, voi non glie ne avete neppur parlato?

– Madonna santissima! E perchè mai? E che vuole ch'ei ne faccia? A che cosa giovano elleno queste cose per noi, povera gente, per quel disgraziato che gli toccherà sbrandellarsi la pelle se vorrà mangiar pane?

Maurilio non credette opportuno entrare in discussione colla vecchia sull'utilità del saper leggere e scrivere. Si rivolse al bambino e gli disse:

– Vieni un po' qui tu.

Gognino lo guardò con occhio ancora più largo, ma non si mosse.

– Hai sentito. Luca? Gridò la Gattona. Vien qui dal signore. E così, tristerello, vuoi obbedire o no? Subito, ti dico; chè se vado io a pigliarti…

Fece un passo. Gognino tosto fu dritto e s'accostò adagio, mostrando nel muovere delle spalle e nel frusciarsi i panni addosso tutta la sua malavoglia.

– Luca, domandogli Maurilio, sai tu che cosa sia leggere e scrivere?

Gli occhi del fanciullo diedero un leggiero lampo d'intelligenza.

– Sì: rispose. Vedo bene che quando appiccan qualche cartello alle cantonate tutti ci si fermano.

– E di saperlo ne avresti voglia?

– Sicuro. L'altro giorno che hanno menato a morire quel bel giovane, e che io sono andato a vedere, e che tutto il mondo correva, che dicevano avesse ammazzato il suo padrone… Ebbene avrei voluto poter leggere anch'io la sentenza su pei muri, come faceva l'altra gente.

Maurilio mandò un sospiro e scosse dolorosamente la testa.

– E voi, diss'egli alla vecchia, lasciate questo ragazzo andare a siffatti spettacoli?

– Bisogna bene. Così vedendo il castigo, imparano a non fare il male.

– Oh miseria dell'ignoranza! Mormorò il giovane; poi, come per una risoluzione subitamente presa, disse alla vecchia:

– Sentite. Voi quando aveste da questo ragazzo i vostri dieci soldi al giorno, nulla dovrebbe importarvi ch'egli se ne andasse attorno per le strade ad imparare i vizi, e il padre di essi, l'ozio, oppure da qualcheduno che gli desse un po' d'educazione. Non è vero?

– Certo. Ma se non vende fiammiferi o se non cerca l'elemosina, come razzolar dieci soldi? La mi par cosa impossibile.

– No: è fatta. Io gli darò dieci soldi al giorno e voi mi condurrete a casa ogni giorno, per lasciarmelo quanto tempo mi piacerà, il vostro Luca.

La Gattona guardò bene entro gli occhi l'uomo che le faceva una simile proposta.

– Scusi: biascicò ella: ma che cosa vuol fame lei di Gognino?

– Mostrargli a leggere e scrivere.

– Dassenno?

– Che cosa pensereste ch'io ne facessi?

– Ah! non saprei, ma di questi giorni se ne vedono tante!.. Lei è dunque un maestro?

– Un maestro che vuol pagarvi invece d'essere pagato.

– To' gli è vero! L'è una bella opera che vuol fare!

– Bella no; mi ci voglio provare.

– Ed io avrò dieci soldi al giorno?

– Senza fallo… finchè non mi stanchi o non abbia altrimenti da cessare, perchè non prendo già un impegno per un dato tempo. Finchè dura, dura. Quando il vostro piccino non vi porterà più a casa i dieci soldi, potrete rifarne quel che vi piacerà. Siamo intesi?

– Ah! dieci soldi sono tanto pochini. Gognino cresce ogni giorno più… Fra poco sarebbe in grado di fruttarmi assai di vantaggio. Mettiamo venti soldi.

– No. Sono povero ancor io. Questo lo posso fare, non di più. Se vi accontentate, bene; altrimenti sia per non detto.

– Via, come vuole…

– Comincieremo da domani.

– A suo senno.

– Sapete leggere voi?

– Signor sì… Come le ho già detto non fui sempre la misera donna che Lei vede in adesso. Quand'ero giovane… Eh! Ho vissuto bene un poco ancor io… Ma poi delle disgrazie… Un vero romanzo se glie l'avessi da contare… L'ingratitudine di certa gente… Basta! Non gli accade ora di far parola di codesto… So leggere come un notaio.

Maurilio trasse di tasca una cartolina compagna a quella che aveva data poc'anzi a Gian-Luigi.

– Prendete, disse porgendola alla vecchia, questo è il mio indirizzo. Domattina alle nove vi ci aspetterò col vostro nipote.

E fatta una carezza al ragazzo si mosse per uscire. La Gattona, presa la lucerna, gli tenne dietro a rischiarargli l'andito e la scala, e quando lo sconosciuto fu per ispiccarsene, ella lo ritenne.

– Ah signore, gli disse, d'una cosa la voglio avvertire. Se mai per caso… poichè vedo che Lei è tanto generosa… se le avvenisse di voler fare qualche maggior carità a Gognino… in più di quei dieci soldi…; ebbene, la prego a non dar niente a lui. È malizioso come il fistolo, sa, e sarebbe capace di tenersi i denari e sciuparli al giuoco, non dicendomene neppur motto. Sarebbe meglio che li dèsse a me direttamente.

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