Vittorio Bersezio - La plebe, parte I
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Eravi gran ballo nelle sale della Società dell' Accademia Filarmonica ; uno di quei balli, come al giorno d'oggi non ne vediamo più, in cui il fior di farina della borghesia, stacciato traverso il cribro de' più permalosi pregiudizi, accoglieva la disdegnosa aristocrazia, la quale era stimolata alla degnazione di arrendersi all'invito dall'esempio della Corte, che onorava la festa di sua presenza.
Maurilio si ricordò in quel punto di aver udito parola di tal festa da un suo amico, ricco, elegante e socio di quella congrega. Come fosse amico d'un ricco, egli povero, senza nome e senza stato, lo sapremo in appresso. Discese dalla predella su cui s'era aggomitolato, e si gettò sotto il portico del palazzo coll'intenzione di introdursi fin sotto l'atrio, fin nel vestibolo per aver la dolcezza di vedere ancora una volta la incantatrice visione di poc'anzi apparirgli, val quanto dire quella stupenda e superba bellezza di donna uscir di carrozza e passargli dinanzi.
Ma l'impresa era più difficile di quanto ei si pensasse, e fu un momento in cui per sua disperazione gli apparve impossibile. Sotto il portico, ai due lati del portone, sul passaggio delle carrozze, che lentamente sfilavano ad una ad una per lasciar giù nell'atrio le persone che contenevano ed uscir poi da un altro portone di facciata, traversando il cortile stato ricoperto con invetrate e ridotto a giardino; sotto il portico, dico, s'erano formate due fitte siepi di curiosi che stavano cogli occhi intenti a mirare nello scuriccio dell'interno de' cocchi le ombre di color bianco o rosato delle acconciature femminili.
Il nostro giovane protagonista ben riuscì, non senza difficoltà, a spingersi in prima riga di questa calca là dove facevano barriera a contenerla indietro il cappello a becchi dei carabinieri, e la mazza dei veterani, che si chiamavano ordinanze del Comando di piazza , i quali, allora, servivano da guardie di polizia. Ma ciò non gli bastava: era sotto il portone, era nell'atrio, era su per le scale ch'e' voleva penetrare. Pensava che occorreva affrettarsi. Quantunque la fila delle carrozze fosse assai lunga e procedesse lentamente, se Maurilio non si sbrigava, poteva arrivare la volta di entrare a quel cocchio su cui aveva rivolti tutti i suoi pensieri, prima ch'egli fosse là dove desiderava allogarsi. Un nuovo ardimento entrò in lui. Si spinse temerariamente innanzi e varcò la sacra soglia del portone conteso ai profani. Ma colà si trovò innanzi la imponente corporatura d'un gigantesco portiere con tanto di cappello a becchi gallonato, con tanto di gallone sul soprabitone a spada, con tanto di budriere largo un palmo traverso il petto, e con una gran mazza a pome di argento nella mano vestita di guanto bianco di cotone.
Questo alto personaggio fiancheggiato da due ordinanze , guardò con cipiglio disdegnoso ed impaziente l'audace dai panni logori colla neve sulle spalle e sul cappello, che osava avventurarsi in quelle aure olimpiche riserbate ai Dei e Semidei.
– Non si passa: disse il signor portiere con brusco accento, mettendosi innanzi all'intruso.
Dietro le grosse spalle quadre del portinaio, balenarono agli occhi di Maurilio le piastre di metallo colla croce in mezzo dei sciacò delle due ordinanze pronte a mettere in esecuzione il bando formolato dalla voce solenne dell'autorità della porta. E' si perdette un istante di spirito; balbettò confuse parole e sentì un rossore accusatore salirgli alla faccia.
– Andiamo, andiamo: riprese il portinaio, bisogna sgomberare. A momenti arriva la Corte…
Un'idea per fortuna era venuta a Maurilio che si torturava il cervello per trovarla. Si ricordò di quel suo amico che ho detto poco anzi, e pensò invocarne la protezione del nome.
– Cerco dell'avvocato Benda… È ben qui l'avv. Benda?
– Sicuro che c'è; rispose il gigante che faceva da cerbero; ma questo non è il luogo nè l'ora di cercarlo.
Maurilio fece come il naufrago, che aggrappatosi a qualche cosa onde spera salute, non vuole spiccarsene più; giunse le sue grosse manaccie in atto di supplicazione ed insistette:
– Bisogna assolutamente ch'io gli parli… Si tratta di cosa gravissima e che preme… Mi contenterò d'aspettarlo sotto l'atrio o su per le scale… Di grazia lo facciano chiamare… Darò il mio nome… Vedranno che verrà tosto… Ripeto che è cosa importantissima.
L'accento, la figura, la mossa del giovane erano così turbati che il portinaio credette realmente a qualche cosa di serio. Pensò inoltre alle larghe mancie che soleva distribuire l'avvocato Benda, onde valeva la pena di far cosa che potesse contentarlo. Il cerbero si fece più umano; curvò le spalle ed abbassò d'un tono l'altezzosa impertinenza dell'accento.
– Se è così… possiamo provare… ma il difficile sta nel trovare l'avvocato nella confusione di gente che c'è lassù… Gli è quasi come cercare un ago in un fastello di fieno… Ma pur via…
Si rivolse dignitosamente ad una delle ordinanze .
– Fate il piacere, disse, accompagnate questo giovane lì nel vestibolo in fondo alla scala e dite ad uno dei domestici il fatto suo.
L' ordinanza fece un cenno affermativo col capo ed eseguito un dietro-front , disse a Maurilio con tono di comando militare:
– Venite!
A Maurilio il cuore saltava in petto dalla gioia. Aveva sperato bensì che lo avrebbero lasciato introdursi da solo, allora avrebb'egli ben cercato dove appiattarsi da veder comodamente ciò che tanto desiderava: ed invece doveva seguire i passi del soldato e proseguire nella menzogna a cui aveva domandato soccorso: ma almeno egli era, per dirla in istil militare, nella piazza, e ciò gli bastava.
Il veterano condusse il giovine fin sulla soglia del vestibolo dello scalone, dove un servitore della Società in gran livrea stava appostato. Già in quel vestibolo tutto era luce e profumi. Ricchi arazzi pendevano alle pareti con ghirlande di fiori, un morbido tappeto copriva il marmo del pavimento, ai due lati si schieravano enormi vasi ed eleganti, da cui gettavano il soave effluvio de' loro fiori, cedri, aranci ed oleandri; mille fiammelle alimentate dal gaz e dalla cera brillavano a gara nel tepore di quell'ambiente. Come aveva detto il portinaio, si stava aspettando da un momento all'altro l'arrivo della Corte. Sotto l'atrio, facendo ala fino al vestibolo, erano schierate in due file le guardie del palazzo reale; a cominciar dal vestibolo, su per tutto lo scalone, ad ogni due passi, da una parte e dall'altra, sorgeva il cappello piumato e scintillavano a quel tanto bagliore gli spallini e le tracolle d'argento d'una guardia del Corpo. La deputazione dei soci dell' Accademia destinata a ricevere le LL. MM. e le LL. AA. RR. già era venuta giù fino al ripiano frammezzo alle due branche dello scalone, e mostrava in gruppo le sue cravatte bianche e i suoi vestiti a coda.
Voi comprendete quindi quanto fosse mai inopportuna la venuta e la domanda del nostro povero Maurilio. Quando il buon veterano ebbe spiegato l'una e l'altra al domestico, questi volse sul meschino mantello del giovane lo stesso sguardo di disprezzo che già s'era meritato dal portinaio, e rispose crollando le spalle per impazienza e sorridendo con superba compassione.
– Eh! siete matto, brav'uomo! Si ha ben altro da pensare adesso! E poi chi potrebbe mai trovare lassù fra tanta confusione l'avvocato Benda?
Per azzardo un altro domestico che passava udì queste parole, e si fermò.
– L'avvocato Benda? Diss'egli. E' si può trovar subito, chi lo vuole. Egli è qui sul ripiano che fa parte della deputazione per ricevere il Re.
Allora Maurilio si trovò costretto a ripetere la sua menzogna, che urgeva parlasse a quel signore.
– Mi dica il suo nome: soggiunse quel secondo domestico che pareva più umano: e glie ne dirò all'avvocato.
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