Edward Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 1

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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 1: краткое содержание, описание и аннотация

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E non ostante i Romani eran sì persuasi dell'imperfezione del valore, disgiunto dalla perizia e dalla pratica, che nella lor lingua il nome di una armata era tratto dalla parola che significa esercizio 51. Gli esercizj militari erano l'importante e continuo oggetto della lor disciplina. Le reclute ed i soldati novizj venivano costantemente esercitati la mattina e la sera, nè l'età o la perizia poteano esentare i veterani dalla giornaliera ripetizione di ciò che avevano perfettamente imparato. Si fabbricavano vaste gallerie nei quartieri d'inverno, affinchè le loro utili fatiche non fossero in alcun modo interrotte dai tempi i più procellosi; e si osservava diligentemente che le armi, destinate a questa guerra simulata, fossero di peso doppio di quello che si richiedeva nell'azione reale 52. Non è il fine di questa opera l'entrare in alcuna minuta descrizione dei romani esercizj. Soltanto osserveremo che comprendevano tutto ciò che poteva accrescer forza al corpo, attività alle membra, o grazia ai movimenti. I soldati erano diligentemente ammaestrati a marciare, a correre, a saltare, a nuotare, a portare gravi pesi, a maneggiare ogni sorta d'armi, che si usasse per offesa o per difesa, o in battaglia lontana, o in un assalto più stretto, a fare una varietà di evoluzioni, ed a moversi a suon di flauto nel ballo pirrico o marziale 53. In mezzo alla pace le truppe romane si rendevano familiare la pratica della guerra; e bene osserva un antico Istorico, il quale avea combattuto contro di loro, che l'effusione del sangue era la sola circostanza che distinguesse un campo di battaglia da un campo di esercizio 54. Era politica dei più abili Generali, ed anche degli stessi Imperatori, d'incoraggiare con la loro presenza e col loro esempio questi studj militari; e sappiamo che Adriano e Traiano si degnavano spesso d'istruire i soldati inesperti, di rimunerare i diligenti, e talvolta di disputare con essi il premio della superiorità nella forza o nella destrezza 55. Nei regni di questi Principi la tattica fu coltivata con buon successo; e finchè l'Impero ebbe qualche vigore, le loro istruzioni militari furono rispettate come il più perfetto modello della disciplina romana.

Nove secoli di guerra avevano a poco a poco introdotto nel servizio militare molte alterazioni e molti miglioramenti. Le legioni, secondo la descrizione che ne dà Polibio 56, al tempo delle guerre Puniche, differivano molto sostanzialmente da quelle che riportarono le vittorie di Cesare, o difesero la monarchia sotto Adriano e gli Antonini. Lo stato della Legione Imperiale si può descrivere in poche parole 57. L'infanteria grave, che componeva la sua forza principale, 58era divisa in dieci coorti, e cinquantacinque compagnie, sotto gli ordini di un numero corrispondente di Tribuni e di Centurioni. La prima coorte, che sempre pretendeva il posto di onore, e la custodia dell'Aquila, era composta di 1105 soldati, i più esperimentati per valore e per fedeltà. Le altre nove coorti erano ciascuna di 555 e l'intero corpo dell'infanteria legionaria ascendeva a 6100 uomini.

Le loro armi erano uniformi, e maravigliosamente adattate alla natura del loro servizio; un elmo aperto con un alto cimiero, un pettorale, o un giacco di maglia, le gambiere, e un ampio scudo dal braccio sinistro. Lo scudo era di figura bislunga e concava, quattro piedi lungo, e largo due e mezzo, fatto di un legno leggiero, coperto di pelle di toro, e fortemente difeso con piastre di rame. Oltre una lancia più leggiera, il soldato legionario teneva nella diritta il formidabile Pilo , dardo pesante, la cui maggior lunghezza era di sei piedi, e che era terminato da una massiccia punta triangolare di acciaio, lunga diciotto pollici 59. Questo istrumento era per vero dire molto inferiore alle moderne armi da fuoco; giacchè terminava in una sola scarica, alla distanza soltanto di dieci o dodici passi. Quando però era lanciato da una mano forte ed esperta, non v'era cavalleria alcuna che ardisse avanzarsi dentro il suo tiro, nè scudo, nè corsaletto che potesse sostenere l'impetuosità del suo peso. Appena il soldato romano avea lanciato il suo Pilo , sguainava la spada, e correva alle strette con il nemico. Questa era una lama spagnuola corta e ben temprata a doppio filo, e propria ad usarsi egualmente e di taglio e di punta; ma il soldato era sempre avvertito di preferire l'ultimo modo, poichè così il suo corpo restava meno esposto, mentre portava più pericolosa ferita al nemico 60. La legione ordinariamente si schierava con otto soldati di profondità, e si lasciava la regolar distanza di tre piedi sì tra le file che tra gli ordini 61. Un corpo di truppe assuefatto a conservare quest'ordine di distanza, schierato in una larga fronte, e pronto a correr velocemente all'assalto, era atto ad eseguire qualunque disposizione, che le circostanze della guerra, o l'abilità del condottiere potessero suggerire. Il soldato aveva un libero spazio per le sue armi ed i suoi movimenti, e si lasciavano intervalli bastanti, per li quali si potessero a tempo introdurre rinforzi in sostegno de' combattenti spossati 62. Le tattiche dei Greci e dei Macedoni erano fondate sopra principj molto diversi. La forza della falange consisteva in sedici file di lunghe picche, serrate strettamente fra loro 63. Ma presto si scoprì con la riflessione non meno che con l'esperienza, che la forza della falange non poteva contrastare con l'attività della legione 64.

La cavalleria, senza la quale la forza della legione sarebbe rimasta imperfetta, era divisa in dieci truppe o squadroni; il primo, come compagno della prima coorte, era composto di 132 uomini, mentre ciascuno degli altri nove ascendeva solamente a 66. L'intero corpo formava (se si può usare la moderna espressione) un reggimento di 726 cavalli, naturalmente unito con la sua propria legione, ma separato secondo il bisogno per agire nella linea, e per comporre una parte delle ali dell'armata 65. La cavalleria degl'Imperatori non era più composta, come quella dell'antica repubblica, dei più nobili giovani di Roma e dell'Italia, i quali facendo il loro servizio militare a cavallo, si preparavano per gli uffizj di Senatore e di Console; e sollecitavano con azioni di valore i futuri suffragi dei loro concittadini 66. Dopo la mutazione dei costumi del governo i più facoltosi dell'ordine equestre erano impiegati nell'amministrazione della giustizia e delle pubbliche rendite 67, e qualora abbracciavano la professione dell'armi, era loro immediatamente affidata la guida di una truppa di cavalli, o di una coorte di uomini a piedi 68. Traiano ed Adriano levarono la loro cavalleria dalle stesse province, e dalla stessa classe di sudditi, che fornivano gli uomini per la legione. I cavalli erano per la maggiore parte di Spagna o di Cappadocia. La cavalleria romana disprezzava l'armatura intera, con cui s'aggravava la cavalleria orientale. Le sue più solite armi consistevano in un elmo, in uno scudo bislungo, in leggieri stivali, e in un giacco di maglia. Un dardo, ed una lunga e larga spada erano le principali armi di offesa. L'uso delle lance e delle mazze di ferro sembra che lo prendesse dai Barbari 69.

La salvezza e l'onore dell'Impero eran principalmente affidati alle legioni, ma la politica di Roma condescendeva ad adottare qualunque utile strumento di guerra. Si facevano regolarmente leve considerabili tra i provinciali, che non aveano ancora meritata l'onorevole distinzione di cittadini romani. Si permetteva a vari Principi, ed a varie Comunità, sparse intorno alle frontiere dipendenti, di conservare per un tempo la loro libertà e sicurezza con l'obbligo di prestar servizio militare 70. Eziandio le truppe scelte dei Barbari nemici erano spesso forzate o indotte ad esercitare il loro pericoloso valore in climi remoti, e in servizio dello Stato 71. Tutti questi eran compresi sotto il nome generale di ausiliari, e comunque potessero variare per la diversità dei tempi o delle circostanze, rare volte però il loro numero era inferiore a quello delle legioni medesime 72. Le truppe più valorose e fedeli tra le ausiliari erano poste sotto il comando dei Prefetti e dei Centurioni e severamente esercitate nelle arti della disciplina romana; ma per la maggior parte ritenevano quelle armi, alle quali più particolarmente le rendevano atte o la natura della patria, o la prima educazione della vita. Con queste istituzioni ogni legione, a cui si assegnava una certa porzione di ausiliari, conteneva in se ogni sorta di truppe più leggiere, e di armi lanciabili; ed era capace di affrontarsi con ogni nazione per la superiorità delle sue rispettive armi e della sua disciplina 73. Nè era la legione priva affatto di ciò che nel moderno linguaggio si chiamerebbe treno di artiglieria. Consisteva questo in dieci macchine militari delle più grandi, ed in cinquantacinque più piccole, ciascuna delle quali obliquamente o orizzontalmente lanciava pietre e dardi con violenza irresistibile 74.

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