Edward Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 6

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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 6: краткое содержание, описание и аннотация

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A. 397

L'ultima speranza di un popolo, che non potea più contare nè sulle armi, nè sugli Dei, nè sul Sovrano del proprio paese, era collocata nel potente aiuto del Generale d'Occidente; e Stilicone, a cui non era stato permesso di rispingere gl'invasori della Grecia, s'avanzò a castigarli 78 78 Quanto alla guerra Greca di Stilicone, si confronti l'ingenua narrazione di Zosimo (l. V. p. 295-296) con la curiosa e circostanziata adulazione di Claudiano ( I. Cons. Stilich. l. I. 172-186. IV. Cons. Honor. 459-477 ). Siccome l'evento non fu glorioso, viene artificiosamente gettato nell'ombra. . Fu allestita una numerosa flotta nei porti d'Italia; e le truppe, dopo una breve e prospera navigazione, sul mar Jonio, vennero sbarcate felicemente sull'Istmo, vicino alla rovina di Corinto. Il montano e selvoso paese d'Arcadia, favolosa residenza di Pane e delle Driadi, divenne la scena di una lunga e dubbiosa battaglia fra due Generali, non indegni l'uno dell'altro. Finalmente prevalse l'abilità e la perseveranza del Romano; ed i Goti, dopo una considerabile perdita per causa del disagio e della diserzione, appoco appoco si ritirarono all'alta montagna di Foloe, vicino alla sorgente del Peneo, sulle frontiere d'Elide, sacra provincia, che prima era stata esente dalle calamità della guerra 79 79 Le truppe, che passavano per Elide, mettevano giù le loro armi. Questa sicurezza arricchì gli Eleati, che amavan la vita campestre. Le ricchezze produssero l'orgoglio; essi sdegnarono il lor privilegio, e ne riportarono danno. Polibio li consiglia a ritirarsi un'altra volta dentro il magico loro cerchio. Vedasi un dotto e giudizioso discorso sui giuochi Olimpici, che il West ha premesso alla sua traduzione di Pindaro. . Fu immediatamente assediato il campo dei Barbari: si voltarono in altra parte le acque del fiume 80 80 Claudiano ( in IV. Cons. Hon. 486 ) allude al fatto senza nominare il fiume, forse l'Alfeo ( I. Cons. l. I, 185. ) … Et Alpheus Geticus angustus acervis Tardior ad Siculos etiam num pergit amores. Pure io preferirei il Peneo, basso fiume in un largo e profondo letto, che scorre per Elide, e si getta nel mare sotto Cillene. Esso fu congiunto coll'Alfeo per purgare la stalla d'Augia; Cellar. Tom. I. p. 760. Viagg. di Chandler p. 286 . ; e mentre soggiacevano essi alle intollerabili angustie della sete e della fame, si formò una forte linea di circonvallazione per impedirne la fuga. Dopo tali cautele Stilicone, troppo fidandosi della vittoria, si ritirò a godere del suo trionfo nei giuochi scenici, e nelle lubriche danze dei Greci; i suoi soldati, abbandonando gli stendardi, si sparsero pel paese dei loro alleati, ch'essi spogliarono di tutto quello, che s'era potuto salvare dalle mani rapaci dell'inimico. Sembra che Alarico prendesse il favorevol momento per eseguire una di quelle ardite imprese, nelle quali spicca l'abilità d'un Generale con maggior lustro, che nel tumulto di una giornata di battaglia. Per liberarsi dalla prigione del Peloponeso, dovè sforzare i trinceramenti che circondavano il proprio campo; fare una difficile e pericolosa marcia di trenta miglia fino al golfo di Corinto, e trasportare le sue truppe, gli schiavi e le spoglie sopra un braccio di mare, che nel più angusto intervallo fra Rio e l'opposto lido, e largo almeno mezzo miglio 81 81 Strabon. l. VIII. p. 517. Plin., Hist. nat. IV. 3 . Wheeler p. 308. Chandler p. 275. Essi misurarono da diversi punti la distanza fra le due terre. . Le operazioni d'Alarico dovettero essere segrete, prudenti e rapide, poichè il Generale Romano restò confuso, quando seppe che i Goti, i quali avevan deluso i suoi sforzi, erano in possesso dell'importante provincia dell'Epiro. Quest'infelice dilazione concesse ad Alarico tempo abbastanza per concludere il trattato, che segretamente maneggiava co' Ministri di Costantinopoli. Il timor d'una guerra civile obbligò Stilicone a ritirarsi, al superbo comando de' suoi rivali, dagli stati d'Arcadio, ed ei rispettò nel nemico di Roma l'onorevol carattere d'alleato e di servo dell'Imperatore Orientale.

A. 398

Un Greco filosofo 82 82 Sinesio passò tre anni (dal 397 al 400) in Costantinopoli, come deputato da Cirene all'Imperatore Arcadio. Esso gli presentò una corona d'oro, e recitò in sua presenza l'istruttiva orazione de Regno (p. 1-32 edit. Petav. Par. 1611 ). Il Filosofo fu fatto Vescovo di Tolemaide nel 410 e morì verso il 430. Vedi Tillemont, Mem. Eccles. Tom. XII. p. 499, 554, 683-685 . , che vide Costantinopoli poco dopo la morte di Teodosio, pubblicò le sue libere opinioni intorno a' doveri de' Re ed allo stato della Romana Repubblica. Sinesio osserva e deplora il fatale abuso, che l'imprudente bontà dell'ultimo Imperatore aveva introdotto nella disciplina militare. I cittadini, ed i sudditi avevan comprato un'esenzione dall'indispensabil dovere di difendere il loro paese, che veniva difeso dalle armi de' Barbari mercenari. Permettevasi a' fuggitivi della Scizia di avvilire le illustri dignità dell'Impero; la feroce lor gioventù, che sdegnava il salutare freno delle leggi, era più ansiosa d'acquistar le ricchezze, che d'imitar le arti d'un popolo, oggetto per essi d'odio e di disprezzo; e la potenza de' Goti era come il sasso di Tantalo, sempre sospeso sulla sicurezza e la pace dello Stato sacrificato. Le misure, che Sinesio raccomanda di prendere, sono i dettami d'un generoso ed ardito patriota. Egli esorta l'Imperatore a ravvivare il coraggio de' propri sudditi coll'esempio d'una virile virtù; a bandire il lusso dalla Corte e dal campo; a sostituire, in luogo de' Barbari mercenari, un esercito d'uomini interessati alla difesa delle lor leggi e sostanze: a costringere, in tal momento di pubblico pericolo, gli artefici ad uscire dalle botteghe, ed i filosofi dalle scuole; a svegliar l'indolente cittadino dal suo sonno di piacere, e ad armare, per protegger l'agricoltura, le mani de' laboriosi coltivatori. Alla testa di tali truppe, che avrebbero meritato il nome e dimostrato lo spirito di Romani, anima il figlio di Teodosio ad affrontare una stirpe di Barbari che erano privi d'ogni real coraggio, ed a non posar le armi, finattantochè non li avesse scacciati nella solitudine della Scizia, o li avesse ridotti a quello stato di servitù ignominiosa, che i Lacedemoni anticamente imposero agli Eloti lor prigionieri 83 83 Sinesio, de Regno p. 21-26 . . La Corte d'Arcadio approvò lo zelo, applaudì all'eloquenza, e trascurò il consiglio di Sinesio. Forse il filosofo, che parlò all'Imperator dell'Oriente con quel linguaggio della ragione e della virtù, che avrebbe usato con un Re di Sparta, non avea pensato a formare un sistema praticabile, coerente all'indole ed alle circostanze d'un secolo degenerato. Forse l'orgoglio de' Ministri, gli affari de' quali erano rade volte interrotti dalla riflessione, potè rigettare come inopportuna e visionaria ogni proposizione, che sopravanzava la misura della capacità loro, e deviava dalle formalità e dagli usi del loro uffizio. Mentre l'orazione di Sinesio, e la caduta de' Barbari, formavano gli argomenti delle comuni conversazioni, si pubblicò un editto a Costantinopoli, che dichiarava la promozione d'Alarico al posto di Generale dell'Illirico d'Oriente. I Provinciali, e gli Alleati Romani, che avevano rispettato la fede de' trattati, a ragione sdegnaronsi, che fosse così liberalmente premiata la rovina della Grecia e dell'Epiro. Fu ricevuto il Gotico conquistatore come un legittimo Magistrato in quelle città, che aveva sì recentemente assediate. Sottoposti furono alla sua autorità i padri, de' quali aveva trucidato i figliuoli, ed i mariti, le mogli de' quali aveva violate: ed il successo della sua rivolta incoraggì l'ambizione d'ogni capitano di mercenari stranieri. L'uso, che fece Alarico del suo nuovo comando, distingue il fermo e giudizioso carattere della sua politica. Egli diede ordine a' quattro magazzini, ed alle manifatture di armi difensive ed offensive, ch'erano a Margo, a Raziaria, a Naisso, ed a Tessalonica, di provvedere le sue truppe d'una straordinaria quantità di scudi, di elmi, di spade e di lance; i miseri Provinciali costretti furono a fabbricar gl'istrumenti della propria lor distruzione, ed i Barbari si tolsero l'unico difetto, che aveva alle volte sconcertato gli sforzi del loro coraggio 84 84 … Qui foedera rumpit Ditatur; qui servat, eget: vastator Achivae Gentis et Epirum nuper populatus inultam Praesidet Illyrico: jam, quos obsedit, amicos Ingreditur muros; illis responsa daturus, Quorum conjugibus potitur, natosque peremit. Claudiano, in Eutrop. l. II, 212 . Alarico applaudisce alla propria politica ( de Bell. Get. 633-64 ) nell'uso che fece di questa giurisdizione nell'Illirico. . La nascita d'Alarico, la gloria delle sue passate azioni, e la speranza de' suoi futuri disegni appoco appoco riunì sotto il vittorioso stendardo di lui il corpo della nazione, e d'unanime consenso de' Capitani Barbari, il Generale dell'Illirico fu elevato, secondo l'antico costume, sopra uno scudo, e proclamato solennemente Re de' Visigoti 85 85 Giornandes c. 29. p. 651. L'istorico Goto aggiunge con insolito spirito: Cum suis deliberans, suasit suo labore quaerere regna, quam alienis per otium subjacere . . Armato di questo doppio potere, e situato ne' confini de' due Imperi, alternativamente vendeva le ingannevoli sue promesse alle Corti d'Arcadio e d'Onorio 86 86 odiisque anceps Discors, civilibus Orbis, Non sua vis tutata diu, dum foedera fallax Ludit, et alternae perjuria venditat aulae. Claudian., de Bell. Getic. 565 . ; finattantochè dichiarò ed eseguì la sua risoluzione d'invadere i dominj dell'Occidente. Erano già esauste le Province dell'Europa, che appartenevano all'Imperatore Orientale; quelle dell'Asia erano inaccessibili; e la forza di Costantinopoli avea resistito al suo attacco. Fu dunque tentato dalla fama, dalla bellezza, e dalla dovizia dell'Italia, ch'egli aveva già visitato due volte; e segretamente aspirò a piantare la bandiera Gotica sulle mura di Roma, e ad arricchire il suo esercito con le accumulate spoglie di trecento trionfi 87 87 Alpibus Italiae ruptis penetrabis ad urbem. Quest'autentica predizione fu annunziata da Alarico, o almeno da Claudiano ( de Bell. Get. 547 ), sette anni avanti del successo. Ma siccome non fu adempita dentro il termine che si era baldanzosamente fissato, gl'interpreti se ne sono disimpegnati per mezzo d'un ambiguo senso. .

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