Pietro Giannone - Istoria civile del Regno di Napoli, v. 9

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Pietro Giannone

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 9

LIBRO TRENTESIMOQUINTO

Il Regno di Filippo III , che quasi cominciò col nuovo secolo XVII, paragonato con quello del padre e dell'avolo fu molto breve; e per ciò, che riguarda il nostro Reame, voto di grandi e segnalati avvenimenti. Succedè egli al padre in età poco più di venti anni, e secondo il costume de' suoi predecessori prese l'investitura del Regno da Papa Clemente VIII a' 9 di settembre dell'anno 1599 1 1 Chioc. M. S. Giur. tom. 1 in fin. . Non vi regnò, che ventidue anni e mezzo, insino al 1621, anno della sua morte. Filippo suo padre gli lasciò la Monarchia ancorchè di sterminata grandezza per lo nuovo acquisto del Regno di Portogallo, infiacchita però di denari e di forze. Fu egli un Principe, quanto di singolare pietà, altrettanto disapplicato al Governo, e che contento della Regal Dignità, lasciò tutto il potere a' Consigli, a' Favoriti, ed a' Ministri. Nel suo regnare comandarono in Napoli quattro Vicerè, de' quali il primo fu D. Ferrante Ruiz di Castro Conte di Lemos , del quale, e delle cose più ragguardevoli accadute in tempo del suo governo, saremo ora brevemente a narrare.

CAPITOLO I

Di D. Ferdinando Ruiz di Castro Conte di Lemos , e della congiura ordita in Calabria per opera di Fr. Tommaso Campanella Domenicano, e di altri Monaci Calabresi del medesimo Ordine

Rimosso, per le cagioni rapportate nel precedente libro, il Conte d'Olivares, fu da Filippo III destinato Vicerè il Conte di Lemos, il quale giunto in Napoli a' 16 di luglio del 1599 insieme con D. Caterina di Zunica sua moglie e D. Francesco di Castro suo figliuolo secondogenito, applicò subito (essendo di spirito grande e magnanimo) a perfezionare ed ingrandire gli Edificj pubblici, che i suoi predecessori aveano lasciati imperfetti. Ma tosto fu richiamato a cose più gravi e serie, per una congiura ordita in Calabria da Tommaso Campanella, della quale bisogna ora far parola.

Costui avendo sofferta lunga prigionia in Roma, dove i suoi difformi costumi e l'aver dato sospetto di miscredenza, l'Inquisizione gli avea fatto soffrire i suoi rigori, ritrattandosi degli errori, e mostrandone pentimento, ottenne d'esser liberato; ma gli fu assegnato per sua dimora un picciol Convento in Stilo sua patria, donde non potesse più vagare. Ma essendo di genio torbido ed inquieto, per vendetta de' rigori sofferti in Roma, cominciò in quell'angolo a tentar nuove cose. Persuase a' Frati di quel Convento, che nell'anno 1600, secondo gli aspetti degli Astri, di cui egli ben s'intendeva, doveano accadere grandi revoluzioni e mutazioni di Stato, e spezialmente nel Regno ed in Calabria: che per ciò bisognava prepararsi e far comitiva di gente armata, perchè a lui gli dava il cuore in quella rivoluzione di mutar le Calabrie, ed il Regno in una ottima Repubblica, con toglierlo dalla tirannide de' Re di Spagna e de' loro Ministri, gridando libertà ; e perch'era un grande imbrogliatore, sovente nelle sue prediche diceva, ch'egli era destinato da Dio a tal impresa, e che di questo suo fatto nelle profezie di S. Brigida, in quelle dell'Abate Gioachimo e di Savonarola, e nell'Apocalissi stessa si faceva memoria, ancorchè ad altri oscura, a lui molto chiara. Che per ciò egli avea eletti due mezzi, cioè la lingua e le armi . Colla lingua bisognava predicar libertà contra la tirannide de' Principi e de' Prelati, per animar i Popoli a scuoter il giogo; e che per ciò egli avrebbe il seguito di molti Religiosi, che avrebbero con lui cooperato a questo fine. Per le armi , egli per terra si credeva facilmente avere quelle de' Banditi e degli altri fuorusciti, e dopo aver mossi costoro, d'aver il concorso della plebe minuta, e con romper le carceri abbruciare i processi e dar libertà a tutti, accrescere le forze: oltre di molti Signori e Prelati, li quali avrebbe tratti a quest'impresa. Per mare e' si fidava aver l'armata del Turco, il quale sarebbe accorso a dargli ajuto.

Cominciò egli ad insinuar questi sentimenti a molti in Stilo, poco dopo la morte di Filippo II, nell'istesso anno 1598, com'egli confessa nella sua deposizione ed in effetto trovandosi allora quella Provincia piena di fuorusciti, e gravati i popoli per le tante contribuzioni e per una nuova numerazione allora seguita, non solo trasse a se i Frati, ma molti altri di Stilo e de' suoi Casali, li quali avrebbero volentieri ricevuta l'occasione d'ogni tumulto e rivoluzione.

Fatto ciò, scelse per Catanzaro Fr. Dionisio Ponzio del suo Ordine, di Nicastro, il quale predicando a molti con fervore quest'istesso, esagerava molto più, che il Campanella, per facile l'impresa: diceva, che costui era un uomo mandato da Dio, e che per ciò se gli dovea credere: ch'era sopra tutti gli uomini dottissimo e scienziato, il quale avendo conosciuto, che nell'anno 1600 doveano seguire grandi mutazioni e cangiamenti di Stato, per ciò non dovean lasciarsi scappare quest'opportunità di divenir liberi, che per quest'effetto s'era dato pensiero a molti Predicatori di diverse Religioni, e fra gli altri agli Agostiniani, Zoccolanti e Domenicani, che insinuassero a' popoli, che i Re di Spagna erano tiranni, e che questo Regno se l'aveano tirannicamente usurpato; e che per ciò erano a casa del Diavolo; e che li popoli, per li tanti pagamenti e collette, erano costretti per soddisfarle a perder l'anima ed il corpo: che per revelazioni fatte a più Religiosi questa era volontà di Dio di cavar il Regno da simili suggezioni, per la poca giustizia de' Ministri del Re, che vendevano il sangue umano per danari, scorticando i poveri, onde doveano tutti accorrere per agevolar l'impresa, proccurando altri loro amici e confederati, li quali in determinato giorno, sentendo gridar libertà , si sollevassero tutti, essendosi concertato d'ammazzare tutti gli Ufficiali del Re, rompere le carceri, liberar i carcerati ed in segno di libertà, abbruciar tutti li processi; e tanto più dovean riputar facile la impresa, che molte terre della provincia erano già pronte ed apparecchiate, coll'intelligenza ancora d'alcuni Signori e Prelati, e che per quest'effetto tenevano tutti li Castelli a loro divozione e che trattavano avere ancora il Castello di Cotrone.

Fra' Ministri più fedeli e fervorosi del Campanella, oltre al Ponzio , furono ancora Fr. Giovan-Battista di Pizzoli, Fr. Pietro di Stilo e Fr. Domenico Petroli di Strignano; e del Convento de' Domenicani di Pizzoli più di 25 Frati di quest'Ordine, aveano fatti grandi progressi, unendo molti fuorusciti, e tirando al lor partito molti altri Religiosi e Calabresi; e non pur in quella provincia, ma nell'altra vicina erasi attaccata la contagione.

Secondo le pruove, che si leggono nel processo fabbricato di questa congiura (copia del quale M. S. si conserva presso di Noi), de' Frati di diversi Ordini, fra gli altri di Agostiniani, Zoccolanti e Domenicani, depongono vari testimoni ch'erano più di 300. I Predicatori, che aveano l'incombenza d'andar secretamente insinuando e persuadendo i popoli alla sollevazione, erano 200. Tra Vescovi, che n'erano intesi, e che nascostamente favorivano l'impresa, si nominavano il Vescovo di Nicastro, quello di Girace, l'altro di Melito ed il Vescovo d'Oppido. Ne furono parimente intesi alcuni pochi Baroni Napoletani, ma il numero de' provinciali fu ben grande, i nomi de' quali, per buon rispetto delle loro famiglie, che ancor durano, qui si taciono.

Queste prediche (almeno secondo vantavano il Campanella ed il Ponzio) aveano ridotti molti cittadini delle città e terre non men dell'una, che dell'altra provincia. Si contano, Stilo co' suoi Casali, Catanzaro così per li Nobili, come per li Popolani, Squillace, Nicastro, Cerifalco, Taverna, Tropeja, Reggio co' suoi Casali, S. Agata, Cosenza co' suoi Casali, Cassano, Castrovillari, Terranuova e Satriano.

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