Edward Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 11
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- Название:Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 11
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A. D. 640-1017
Poco durevole e poco estesa del pari fu la gloria de' Bulgari 83. Ne' secoli nono e decimo, regnavano ad ostro del Danubio; ma più poderose nazioni che migrate erano dopo di essi, gl'impedirono volgersi di nuovo a settentrione, o di far progressi verso il ponente. Nondimeno nell'oscuro novero delle loro imprese, una ne posson citare, di cui fino a quel momento era stato serbato l'onore ai soli Goti, quella di avere ucciso in battaglia uno fra i successori d'Augusto e di Costantino. L'imperatore Niceforo dopo avere perduta la sua fama nella guerra d'Arabia, perdè la vita nell'altra che contro gli Schiavoni sostenne. Nel principio della stagione campale penetrato era con arditezza, e buon successo, nel cuore della Bulgaria, giunto a metter fuoco alla Corte Reale , che, giusta ogni apparenza, era, e non altro, un villaggio colle case fabbricate di legno; ma intanto che al bottino si affaccendava, ricusando ogni proposta di negoziazioni, i nemici ripresero coraggio, e, riunite le loro forze, posero ostacoli insuperabili alla sua ritirata; per lo che fu udito esclamare tremando: «Oimè! Oimè! A meno di valerci d'ali come gli uccelli, non ci rimane alcuna via di salvezza». Due interi giorni standosi nella inerzia della disperazione, aspettò il suo destino; ma al giunger del terzo, e sorpreso il campo imperiale dai Bulgari, il sovrano, e i grandi ufiziali della Corona nelle proprie tende vennero trucidati. Almeno il corpo di Valente non avea sofferti oltraggi; ma il capo di Niceforo fu esposto sopra una picca, e il cranio del medesimo incastrato in oro, fu spesse volte empiuto di vino in mezzo alle orgie della vittoria. I Greci, benchè deplorassero l'invilimento cui disceso era il trono, dovettero ravvisare in ciò un giusto castigo della avarizia, e della crudeltà. La coppa dianzi accennata facea palese tutte le barbarie degli Sciti; pure innanzi la fine di questo medesimo secolo, i lor costumi selvaggi si ingentilirono per una conseguenza del commercio pacifico che ebbero co' Greci, del colto paese che possedettero, e del Cristianesimo, che fra loro s'introdusse: i nobili della Bulgaria vennero allevati nelle scuole, e alla Corte di Costantinopoli, laonde Simeone 84, giovine principe della reale famiglia fu istrutto nella Rettorica di Demostene, e nella Logica di Aristotile.
A. D. 927-932
Questo Simeone abbandonò la vita monastica per assumere gli ufizj di re e di guerriero; e sotto il suo regno, che oltre a quarant'anni durò, i Bulgari fra le potenze del mondo incivilito presero sede. I Greci, assaliti da questo Sovrano per più riprese, cercarono conforti dal non risparmiargli rimproveri di perfido e di sacrilego. Inoltre si procacciarono con danari i soccorsi de' Turchi. Ma Simeone, dopo avere perduta contro di questi una battaglia, in un secondo scontro il disastro emendò, riportando vittoria in un tempo ove riguardavasi qual ventura l'evitare i colpi di questa nazion formidabile. Vinse, ridusse in cattività, disperse la tribù de' Serviani; e chi trascorse il territorio della Servia, prima che fosse popolato di nuovo, null'altro potè scoprirvi fuor di cinquanta vagabondi, privi di mogli e di figli, e che una sussistenza precaria traevano dalla caccia. I Greci soffersero una sconfitta alle rive dell'Acheloo, presso gli autori classici tanto famose 85, e il corno del Dio dal vigore dell'Ercole barbaro fu messo in pezzi. Simeone strinse d'assedio Costantinopoli, e, in un parlamento avuto coll'Imperatore gli dettò le condizioni della pace. Nel convenire l'uno alla presenza dell'altro, tutte le cautele della diffidenza adoperarono. La reale galea venne legata ad una munitissima piattaforma che a tal fine era stata costrutta; e il Barbaro si mostrò vano di pareggiare in pompa la maestà della porpora. «Siete voi cristiano? Romano gli chiese umilmente: dovete astenervi dal versare il sangue de' vostri fratelli. Fu sete di ricchezze che vi fece rinunziare ai beni della pace? Rimettete la vostra spada nel fodero; aprite la mano, e appagherò i vostri più avidi desiderj.» Una lega domestica fu il suggello della riconciliazione: venne pattuita, o rimessa fra entrambi i popoli la libertà del commercio; i primi onori della Corte retribuiti, per espressa condizione, e a preferenza degli Ambasciatori de' nemici e degli stranieri 86, ai confederati della Bulgaria: i principi bulgari ottennero il glorioso titolo di Basileus o Imperatore, il che fu argomento d'odio e d'invidia. Ma durata per poco questa buona intelligenza, le due nazioni ripresero l'armi alla morte di Simeone, i cui deboli successori, separatisi fra loro, la propria distruzione operarono. Nel principio dell'undicesimo secolo, Basilio II nato nella porpora, meritò il soprannome di vincitore de' Bulgari; e un tesoro di quattrocentomila lire sterline (del peso di diecimila libbre d'oro) che ci trovò nella reggia di Licnido, saziò in qualche modo la sua avarizia. Usò a mente fredda una vendetta raffinata ed atroce contro quindicimila prigionieri, non colpevoli d'altro che di avere difesa la loro patria. Cavati gli occhi a questi infelici, solamente per ogni centinaio d'uomini fatti ciechi, si lasciava un occhio ad uno di essi, perchè potesse scortare gli altri a piedi del vinto loro monarca. Vuolsi che il re de' Bulgari morisse di terrore, e di angoscia al contemplare un sì miserando spettacolo, per cui agghiadando parimente di spavento tutti i suoi sudditi, scacciati vennero facilmente dal lor paese, e in angusto territorio a vivere confinati. Quelli fra i Capi che a tanta calamità sopravvissero, non altro raccomandarono ai loro figli che pazienza e vendetta.
A. D. 884
II. Allorchè il folto sciame degli Ungaresi, si mostrò per la prima volta in atto di piombare sull'Europa, nove secoli incirca dopo l'Era cristiana, le nazioni sopraffatte dallo spavento e dalla superstizione, immaginarono essere queste genti il Gog e il Magog della Scrittura, i segnali e i forieri del finimondo 87. Poichè la letteratura si è fra essi introdotta, sonosi dati alla ricerca degli antichi monumenti della loro storia con ardore di curiosità patriottica, veramente degna d'encomj 88. Rischiarati dai lumi di una sana critica, non può omai tenergli a bada una vana genealogia che da Attila dagli Unni li fa discendere; bensì dolgonsi dei primi loro archivj periti nella guerra de' Tartari; in guisa che hanno dimenticato da lungo tempo il significato o vero, o favoloso, delle rustiche loro canzoni; e si vedono costretti a conciliar con fatica gli avanzi di una cronaca informe 89colle particolarità della loro storia pubblicata dall'Imperatore, che ha scritto intorno alla amministrazione e alla geografia del greco Impero 90. Magiar era il vero nome degli Ungaresi, perchè così chiamavansi da sè medesimi, e sotto questo nome conosciuti erano nell'Oriente. I Greci li distinguevano dalle altre tribù della Scizia, col nome particolare di Turchi, siccome usciti da quella gigantesca nazione che avea conquistata e governata tutta la estensione di paese situata fra il Volga e la Cina. La popolazione stanziatasi nella Pannonia avea corrispondenza di commercio, o di amicizia coi Turchi che soggiornavano ad oriente verso i confini della Persia; erano scorsi tre secoli e mezzo dopo la migrazione di queste genti, allorchè i missionarj del Re di Ungheria scopersero in riva al Volga, e riconobbero la patria de' loro antenati. Ivi accolti vennero da' selvaggi idolatri che il nome di Ungaresi ancor mantenevano, conversarono con essi usando del loro idioma, e rammentando una tradizione ad essi rimasta della partenza di una mano di loro compatriotti ch'essi riguardavano da lungo tempo perduti, udirono con sorpresa la maravigliosa storia del nuovo loro reame, e della nuova religione che aveano abbracciata. I vincoli di sangue aggiunsero ardore allo zelo del proselitismo. Uno fra i più grandi principi della colonia ungarese d'Europa, meditò il disegno generoso, ma inutile, di trapiantare ne' deserti della Pannonia quella banda di Ungaresi Tartari 91. Questi vennero scacciati dalla patria de' lor maggiori, e spinti ver l'occidente dalla guerra, dal capriccio di alcune bande, e dalla forza superiore di più lontane tribù che, uscite dal fondo dell'Asia, si impadronivano a mano a mano de' paesi che lungo il cammino trovavano. La ragione, o il caso condusse questi Ungaresi verso i confini dell'Impero romano; e giusta il loro stile, si fermarono alle rive de' grandi fiumi, per lo che sonosi scoperte ne' dintorni di Mosca, e di Kiovia, e nel territorio della Moldavia, le vestigia del soggiorno lor momentaneo 92. In tai lunghe e variate peregrinazioni non sempre veniva lor fatto il sottrarsi alla dominazione del più forte; la mescolanza di una progenie straniera o migliorò, o viziò la purezza del loro sangue; molte tribù di Chazari, o per forza, o volontariamente, agli antichi loro vassalli si collegarono, introducendo fra essi l'uso di un secondo idioma; e la fama che aveano di valore, ottenne a questi il posto più onorevole nell'ordine della battaglia. Le truppe dei Turchi e de' lor confederati, formavano sette divisioni militari di pari forza: ciascuna delle quali comprendeva trentamila ottocento cinquantasette guerrieri: talchè calcolando le donne, i fanciulli, e i servi, colla proporzione ordinaria, il numero di questi migrati si troverà essere asceso almeno ad un milione. Sette Vevodi o Capi ereditarj conduceano gli affari pubblici; ma le discordie, e la debolezza della loro amministrazione fecero comprendere la necessità del governo più semplice e vigoroso di un solo. Lo scettro ricusato dal modesto Lebedias, ai natali e al merito di Almo, e di Arpad figlio di Almo fu conceduto; e il popolo giurò di obbedire al suo principe, questi di consultare la felicità e la gloria del suo popolo; e l'autorità del supremo Kan de' Cazari un tale patto formò.
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