Volodyk - Paolini2-Eldest
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Con un ultimo inchino, Eragon e Saphira si congedarono, lasciando il re dei nani ancora sorridente sul suo trono. Una volta usciti dalla sala, Eragon raccontò a Orik la novità. Il nano cadde in ginocchio e baciò il pavimento davanti a Saphira. Poi si alzò raggiante e strinse il braccio di Eragon, dicendo: «Un prodigio. Ci avete dato la speranza che ci serviva per sopportare i recenti avvenimenti. Scorreranno fiumi di birra stanotte, ve l'assicuro!»
«Ma domani ci saranno i funerali.»
Orik tornò serio per un momento. «Domani sì. Ma fino ad allora, che nessun pensiero funesto offuschi la nostra gioia! Venite!»
Preso Eragon per mano, il nano lo condusse attraverso Tronjheim verso una grande sala da banchetti dove c'erano molti nani seduti davanti ai tavoli di pietra. Orik balzò in piedi su un tavolo, facendo volare via i piatti, e con voce roboante annunciò la novità su Isidar Mithrim. Eragon rimase quasi assordato dalle grida di esultanza che seguirono. Ogni nano insistette per avvicinarsi a Saphira e baciare il pavimento come aveva fatto Orik. Quando ebbero finito, abbandonarono il cibo e riempirono i boccali di pietra con birra e idromele.
Eragon si unì ai brindisi con un abbandono che lo sorprese. Lo aiutava ad alleviare la malinconia che gli opprimeva il cuore. Tuttavia cercò di non lasciarsi andare del tutto, poiché era consapevole dei dovéri che lo attendevano il giorno dopo, e voleva conservare un minimo di lucidità.
Persino Saphira bevve un sorso di idromele, e quando scoprirono che le piaceva, i nani le portarono un intero barile. Abbassando con delicatezza le fauci possenti nel barile aperto, lo prosciugò con tre lunghi sorsi, poi levò la testa al soffitto e ruttò una gigantesca lingua di fuoco. Eragon impiegò parecchi minuti per convincere i nani che non avevano nulla da temere ad avvicinarsi di nuovo, ma a quel punto portarono un altro barile - nonostante le proteste del cuoco e osservarono compiaciuti la dragonessa che lo svuotava come il primo.
A mano a mano che Saphira si ubriacava, le sue emozioni e i suoi pensieri pervasero Eragon con intensità maggiore. Gli risultava sempre più difficile affidarsi ai propri sensi: la vista di lei prese il sopravvento sulla sua, confondendo i movimenti e cambiando i colori. Perfino gli odori divennero più forti e pungenti.
I nani cominciarono a cantare in coro. Dondolandosi sul posto, Saphira gorgheggiava insieme a loro, sottolineando ogni strofa con un ruggito. Anche Eragon aprì la bocca per cantare, ma rimase di stucco quando, invece delle parole, gli uscì il rantolo ringhiante tipico di un drago. Qui, pensò, scuotendo la testa, si esagera... O sono soltanto ubriaco? Poi decise che non gl'importava e riprese a cantare noncurante, voce di drago oppure nò.
I nani continuavano a riversarsi nella sala via via che si diffondeva la notizia su Isidar Mithrim. A centinaia si affollarono ai tavoli, formando un cerchio intorno a Eragon e Saphira. Orik chiamò i musicisti, che presero posto in un angolo e tolsero le coperture di velluto verde dai loro strumenti. Ben presto arpe, liuti e flauti d'argento emisero le loro note melodiose, superando il chiasso.
Ci vollero parecchie ore perché il clamore e l'eccitazione si placassero. A quel punto Orik salì di nuovo sul tavolo, e con le tozze gambe divaricate per non perdere l'equilibrio, il boccale in mano e l'elmo di ferro di sghimbescio, gridò: «Udite, udite! Finalmente abbiamo festeggiato come si conviene. Gli Urgali sono fuggiti, lo Spettro è morto, e noi abbiamo vinto!» I nani pestarono i pugni sui tavoli per manifestare la loro approvazione. Era un bel discorso conciso che andava dritto al punto. Ma Orik non aveva concluso. «A Eragon e Saphira!» ruggì, levando il bicchiere. Anche quest'ultima frase fu accolta da un'ovazione.
Eragon si alzò e si inchinò, suscitando altri applausi. Accanto a lui, Saphira s'impennò e si portò una zampa al petto, nel tentativo di imitare il suo gesto. Barcollò, e i nani, consci del pericolo, si affrettarono ad allontanarsi. Appena in tempo. Con un tonfo assordante, la dragonessa cadde all'indietro, schiantandosi su un tavolo di pietra. Eragon si sentì trafiggere la schiena da un lampo di dolore e crollò svenuto accanto alla sua coda. Requiem
"Svegliati, Knurlhiem! Non puoi dormire adesso. Ci aspettano al cancello... non cominceranno senza di noi.» Eragon si costrinse ad aprire gli occhi. Aveva un atroce mal di testa e il corpo dolorante. Era disteso su un freddo tavolo di pietra. «Come?» Fece una smorfia nel sentire un sapore nauseabondo sulla lingua.
Orik si tirò la barba scura. «Il corteo funebre di Ajihad. Dobbiamo andare!»
«No, come mi hai chiamato?» Si trovavano ancora nella sala dei banchetti, ma non c'era più nessuno, tranne lui, Orik e Saphira, riversa sul fianco fra due tavoli. Si mosse e alzò la testa, guardandosi intorno con gli occhi annebbiati. «Testadipietra! Ti ho chiamato Testadipietra perché ti sto chiamando da quasi un'ora.»
Eragon si alzò a sedere e scese dal tavolo sulle gambe malferme. Brevi immagini di quanto era accaduto la notte prima gli attraversarono la mente. Saphira, come ti senti? domandò, inciampando su di lei.
La dragonessa annuì lentamente, passandosi la lingua rossa sulle zanne, come un gatto che ha mangiato qualcosa di disgustoso. Tutta intera... mi fare. Mi sento l'ala sinistra un po' strana; credo sia quella su cui sono caduta. E ho la testa come trafitta da mille frecce incandescenti.
«Si è fatto male qualcuno quando è caduta?» chiese Eragon, preoccupato.
Una risata esplosiva scosse il torace del nano. «Solo quelli che sono caduti dalle sedie per il troppo ridere. Un drago che si ubriaca e stramazza! Sono sicuro che ci comporranno qualche ballata che sarà cantata per decenni.» Saphira smosse le ali e distolse lo sguardo altezzosa. «Abbiamo pensato che fosse meglio lasciarti qui, dato che non potevamo muoverti, Saphira. Il cuoco è andato su tutte le furie... temeva che avresti prosciugato tutta la sua migliore riserva, oltre i quattro barili che ti eri già scolata.»
E tu una volta hai rimproverato me per aver bevuto! Se mi fossi scolato quattro barili, sarei morto! Questo perché non sei un drago.
Orik spinse un fagotto d'indumenti fra le braccia di Eragon. «Tieni, mettiti questi. Sono più appropriati per un funerale che non quelli che indossi. Ma sbrigati, non ci resta molto tempo.» Eragon si affannò a vestirsi: indossò un'ampia blusa bianca stretta ai polsi, pantaloni scuri, una tunica rossa con fitti ricami d'oro, un paio di lucidi stivali neri e un mantello svolazzante che si allacciò alla gola con una spilla borchiata. Zar'roc era legata a una cintura decorata invece che alla solita striscia di pelle.
Eragon si spruzzò acqua sul viso e cercò di ravviarsi i capelli. Orik spinse lui e Saphira fuori dalla sala dei banchetti, verso il cancello sud di Tronjheim. «Dobbiamo partire da lì» spiegò, muovendosi con sorprendente rapidità sulle gambette tozze, «perché è dove il corteo con il corpo di Ajihad si è fermato tre giorni fa. Il suo viaggio verso la tomba non può essere interrotto, altrimenti il suo spirito non troverà riposo.»
Che strana usanza, commentò Saphira.
Eragon annuì, notando una lieve incertezza nella sua andatura. A Carvahall di solito le persone venivano seppellite nelle proprie fattorie, oppure, se vivevano al villaggio, in un piccolo cimitero. Gli unici rituali che accompagnavano la cerimonia erano la recitazione di alcune strofe
tratte da famose ballate e, più tardi, un banchetto funebre per i parenti e gli amici. Ce la farai a resistere per tutto il funerale? chiese Eragon, quando Saphira vacillò di nuovo.
La dragonessa diede in un ghigno sommesso. Sì, e anche per la nomina di Nasuada, ma poi avrò bisogno di dormire. Dannato idromele!
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