Volodyk - Paolini2-Eldest

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«Argetlam» disse lei, con una graziosa riverenza.

Lui ricambiò con un cenno del capo. «Posso aiutarti?»

«Lo spero. Sono Trianna, maga del Du Vrangr Gata.»

«Davvero? Una maga?» disse lui, incuriosito.

«E strega di guerra, e spia, e qualunque altra cosa i Varden ritengano necessario. Non ci sono molti esperti di arti magiche, perciò ciascuno di noi assume una mezza dozzina di compiti.» La donna sorrise, mostrando una chiostra perfetta di denti bianchissimi. «Ecco perché sono venuta. Saremmo onorati se volessi assumere la guida del nostro gruppo, il Du Vrangr Gata. Tu sei l'unico che può sostituire i Gemelli.»

Senza quasi rendersene conto, Eragon ricambiò il sorriso. La donna era così amichevole e seducente che odiava dover dire di no. «Temo di non potere; Saphira e io lasceremo presto Tronjheim. Inoltre, sarebbe comunque mio dovere consultarmi prima con Nasuada.» E non voglio restare invischiato in altri intrighi politici... specie in quelli che un tempo ordivano i Gemelli.

Trianna si morse il labbro. «Mi dispiace sentirtelo dire.»

Si avvicinò di un passo. «Magari potremmo trascorrere del tempo insieme, prima della tua partenza. Potrei mostrarti come evocare e controllare gli spiriti... Sarebbe istruttivo per entrambi.»

Eragon si sentì avvampare le guance. «Apprezzo l'offerta, ma sono davvero molto occupato al momento.» Una scintilla d'ira balenò negli occhi di Trianna, poi svanì altrettanto rapida, tanto che Eragon si chiese se l'avesse effettivamente vista. La donna sospirò con grazia. «Capisco.»

Suonava così delusa - e aveva un'aria così afflitta - che Eragon si sentì in colpa per averla respinta. Che male può fare se le parlo per qualche minuto? si disse. «Sono curioso. Come hai appreso la magia?»

Trianna s'illuminò. «Mia madre era una guaritrice del Surda. Aveva qualche potere e m'istruì nelle antiche arti. Ovviamente non sono potente quanto un Cavaliere. Nessun membro del Du Vrangr Gata avrebbe potuto sconfiggere Durza da solo, come hai fatto tu. È stata un'impresa eroica.»

Imbarazzato, Eragon strisciò gli stivali sul pavimento. «Non sarei sopravvissuto se non fosse stato per Arya.» «Sei troppo modesto, Argetlam» lo adulò lei. «Sei stato tu a infliggere il colpo di grazia. Dovresti essere fiero di ciò che hai fatto. È stato un gesto degno dello stesso Vrael.» La maga si protese verso di lui. Il cuore di Eragon accelerò nel sentire il suo profumo, intenso e muschiato, con una nota di spezie esotiche. «Hai sentito le canzoni composte per te? I Varden le cantano ogni notte intorno ai fuochi. Dicono che sei venuto a strappare il trono a Galbatorix!» «No» ribattè aspro Eragon. Quella era una diceria che non poteva tollerare. «Loro possono dirlo, ma non è ciò che voglio. Qualunque sia il mio destino, non aspiro a governare.»

«Ed è saggio da parte tua. In fin dei conti, che cos'è un re se non un uomo imprigionato dai propri dovéri? Sarebbe invero una ben misera ricompensa per l'ultimo Cavaliere libero e il suo drago. No, a te spetta la facoltà di andare e compiere ciò che desideri e, per esteso, di forgiare il futuro di Alagaésia.» La donna fece una pausa. «Hai una famiglia nei territori dell'Impero?»

Cosa? «Soltanto un cugino.»

«Dunque non sei fidanzato?»

La domanda lo colse di sorpresa. Non gli avevano mai chiesto nulla di simile. «No, non sono fidanzato.» «Ma di certo dev'esserci qualcuno a cui tieni particolarmente.» La maga fece un altro passo avanti, e la sua manica dai lunghi nastri fluttuanti gli sfiorò il braccio.

«Non c'era nessuno a cui mi sentissi legato a Carvahall» balbettò lui, «e da allora ho sempre viaggiato.» Trianna indietreggiò appena, poi levò il polso in modo da portare il bracciale a forma di serpente all'altezza degli occhi. «Ti piace?» domandò. Eragon battè le palpebre e annuì, anche se il monile era piuttosto inquietante. «Lo chiamo Lorga. È mio amico e mi protegge.» La seduttrice avvicinò il volto al bracciale e vi soffiò sopra, mormorando: «Sé orùm thornessa hàvr sharjalvi lìfs.»

Con un fruscìo secco, il serpente prese vita. Eragon lo contemplò affascinato, mentre la creatura avvolgeva le sue spire intorno al pallido braccio di Trianna, poi levò la testa e fissò gli ipnotici occhi di rubino su di lui, con la lingua biforcuta che guizzava dentro e fuori. I suoi occhi parvero espandersi fino a diventare grandi quanto il pugno di Eragon. Il giovane provò la sensazione di precipitare nei loro sconfinati abissi; non riusciva a distogliere lo sguardo, per quanto si sforzasse.

Poi, a un brusco comando, il serpente s'irrigidì e riprese la sua forma originale. Con un sospiro esausto, Trianna si appoggiò alla parete. «Non sono in molti a capire quello che facciamo noi stregoni. Ma desidero che tu sappia che ci sono altri come te, e che faremo il possibile per aiutarti.»

D'impulso, Eragon le prese una mano. Non aveva mai tentato un simile approccio con una donna prima, ma l'istinto gli suggeriva di osare, di cogliere l'occasione. Era spaventoso e inebriante. «Se ti va, possiamo andare a mangiare qualcosa insieme. C'è una cucina non molto distante da qui.»

Lei posò l'altra mano su quelle di lui, le dita lisce e fresche, così diverse dalle ruvide strette a cui era abituato. «Volentieri. Potremmo...» Trianna trasalì quando la porta alle sue spalle si spalancò di colpo. La maga si volse e lanciò un grido nel trovarsi faccia a faccia con Saphira.

La dragonessa rimase immobile; si limitò ad arricciare un labbro che rivelò una minacciosa fila di zanne affilate. Poi ringhiò. Fu un ringhio prodigioso, carico di disprezzo e riprovazione, che echeggiò nel corridòio per oltre un minuto. Ascoltarlo fu come sopportare un'interminabile e umiliante predica.

Eragon la fissò truce.

Quando cessò, Trianna si stringeva la veste con entrambi i pugni, torcendo il tessuto. Il suo volto era sbiancato dalla paura. Rivolse una frettolosa riverenza a Saphira, poi, con malcelata ansia, si volse e si dileguò. Come se niente fosse, Saphira sollevò una zampa e si leccò gli artigli. Non riuscivo ad aprire la porta, disse.

Eragon non riuscì più a trattenersi. Perché l'hai fatto? esplose. Non avevi ragione d'interferirei

Ti serviva il mio aiuto, ribattè lei, imperturbabile.

Se mi serviva il tuo aiuto, ti avrei chiamata!

Non rivolgerti a me con quel tono, sbottò lei, facendo schioccare le fauci. Eragon percepì in lei lo stesso groviglio di emozioni che sconvolgeva lui. Non ti permetterò di perdere tempo con una sgualdrina che si interessa più a Eragon come Cavaliere che non come persona.

Non è una sgualdrina, ruggì lui, sferrando un pugno alla parete per la frustrazione. Sono un uomo, adesso, Saphira, non un eremita. Non puoi pretendere che ignori... ignori le donne solo perché io sono quello che sono. E di sicuro non spetta a te decidere. Almeno avrei potuto godere di una piacevole conversazione con lei, una piccola distrazione fra tutte le tragedie che abbiamo affrontato di recente. Tu sei dentro di me abbastanza da sapere cosa provo. Perché non mi hai lasciato stare? Che male c'era?

Non capisci. La dragonessa si rifiutava di incontrare il suo sguardo.

Non capisco! Vorresti forse impedirmi di avere una moglie e dei figli, un giorno? Una famiglia?

Eragon. Finalmente Saphira posò un grande occhio su di lui. Noi siamo legati intimamente.

Ovvio!

E se tu intrecci una relazione, con o senza la mia benedizione, e ti... affezioni... a qualcuno, coinvolgerai anche i miei sentimenti. Dovresti saperlo. Perciò - e ti avverto solo questa volta - stai attento a chi scegli, perché entrambi ne subiremo le conseguenze.

Eragon riflettè qualche istante sulle sue parole. Il nostro legame funziona in entrambi i sensi, ricorda. Se tu odi qualcuno, anch'io ne resterò influenzato... ma comprendo la tua preoccupazione. Quindi, non eri soltanto gelosa? Saphira si leccò ancora gli artigli. Forse, un pochino.

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