Volodyk - Paolini2-Eldest

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«Domattina... a meno che non abbiate già qualche altro programma.»

«No.»

«Bene» fece Nasuada, intrecciando le mani avanti a sé. «Sappiate che un'altra persona viaggerà insieme a voi.» Eragon la guardò interrogativo. «Re Rothgar ha deciso che per amor di equità dovrebbe esserci un rappresentante dei nani ad assistere al tuo addestramento, poiché la questione riguarda anche la loro razza. Perciò vi accompagnerà Orik.» La prima reazione di Eragon fu di irritazione. Saphira avrebbe potuto volare fino alla Du Weldenvarden portando lui e Arya, risparmiando loro settimane di inutile cammino. Ma tre passeggeri erano troppi da ospitare sulle spalle di Saphira. La presenza di Orik li avrebbe costretti a viaggiare via terra.

Dopo una breve riflessione, però, Eragon riconobbe che la richiesta di Rothgar era molto saggia, perché garantiva a Eragon e Saphira una parvenza di imparzialità di fronte alle diverse razze. Sorrise. «D'accordo. Questo ci rallenterà, ma suppongo di dover cedere a Rothgar. A dire il vero, sono contento di avere la compagnia di Orik. Attraversare Alagaèsia soltanto con Arya era una prospettiva inquietante. Lei è...»

Anche Nasuada sorrise. «È diversa.»

«Già.» Eragon tornò serio. «Hai davvero intenzione di attaccare l'Impero? Tu stessa hai detto che i Varden sono deboli. Non mi pare una mossa saggia. Se aspettiamo...»

«Se aspettiamo» lo interruppe lei, decisa, «Galbatorix diventerà sempre più forte. Questa è la prima volta da quando Morzan fu ucciso che abbiamo una sia pur minima opportunità di coglierlo impreparato. Non aveva ragioni per sospettare che avremmo sconfitto gli Urgali - un successo che dobbiamo a te - perciò non ha ancora preparato l'Impero a un'invasione.»

Invasione! esclamò Saphira. E come pensa di uccidere Galbatorix quando interverrà ad annientare il loro esercito con la magia?

Nasuada scrollò la testa in risposta, quando Eragon diede voce all'obiezione. «Da quanto sappiamo di lui, non combatterà finché la stessa Urù'baen non sarà minacciata.

A Galbatorix non importa se mezzo Impero viene distrutto, purché siamo noi ad andare da lui, e non viceversa. Perché dovrebbe preoccuparsi? Se mai riuscissimo a raggiungerlo, le nostre rendendogli ancor più facile il compito di distruggerci.»

«Non hai ancora risposto alla domanda di Saphira» protestò Eragon. «Perché ancora non lo so. Sarà una lunga campagna. Quando volgerà abbastanza potente da sconfiggere Galbatorix, o gli elfi potrebbero essersi uniti a noi, e i loro maghi sono i più potenti di Alagaésia. Non importa quel che accade, non possiamo permetterci altri indugi. È il momento di rischiare e osare quel che nessuno pensa che possiamo realizzare. I Varden sono vissuti nell'ombra troppo a lungo: dobbiamo sfidare Galbatorix, oppure sottometterci e perire.»

La portata di quanto Nasuada stava suggerendo lo turbava. Implicava così tanti rischi e pericoli ignoti che era quasi assurdo prendere in considerazione una simile impresa. Tuttavia non spettava a lui decidere, e doveva accettarlo. Né aveva intenzione di discuterne oltre. Dobbiamo confidare nel suo giudizio.

«Ma che ne sarà di te, Nasuada? Sarai al sicuro quando ce ne saremo andati? Devo pensare al mio giuramento. Ora è mia responsabilità garantire la tua incolumità.»

truppe sarebbero decimate ed esauste,

al termine, tu potresti essere diventato La donna serrò la mascella e agitò una mano. «Non devi temere, sono ben protetta.» Abbassò lo sguardo. «Tuttavia devo ammettere... una delle ragioni per cui voglio andare nel Surda è che Orrin mi conosce da tanto tempo e mi ha offerto la sua protezione. Non posso restare qui senza te e Arya, e con il Consiglio degli Anziani ancora troppo potente. Non mi accetteranno come loro capo finché non proverò oltre ogni dubbio che i Varden sono sotto il mio controllo, e non il loro.»

Poi sembrò attingere a una misteriosa forza interiore, che le raddrizzò le spalle e le sollevò il mento, dandole un'aria distante e altezzosa. «Ora va', Eragon. Prepara il tuo cavallo, riempi le bisacce, e trovati al cancello nord al sorgere del sole.»

Eragon s'inchinò, rispettando il suo ritorno alle formalità, e uscì con Saphira.

Dopo cena, Eragon e Saphira volarono insieme. Si librarono sopra Tronjheim, dove ghiaccioli scintillanti guarnivano le pendici interne del Farthen Dùr come un gigantesco merletto bianco. Anche se mancava ancora qualche ora alla notte, era già quasi buio dentro la montagna.

Eragon reclinò indietro la testa, assaporando l'aria sul viso. Gli mancava il vento: il vento che soffiava sui prati e sospingeva le nuvole, il vento che portava la pioggia e i temporali, e sferzava gli alberi tanto da piegarli. A dire il vero, mi mancano anche gli alberi, pensò. Il Farthen Dùr è un luogo incredibile, ma è privo di piante e animali come la tomba di Ajihad.

Saphira assentì. I nani sembrano pensare che le gemme possano prendere il posto dei fiori. Poi rimase in silenzio, mentre la luce sbiadiva a poco a poco. Quando fu troppo buio per gli occhi di Eragon, Saphira disse: È tardi. Sarà meglio rientrare.

Va bene.

La dragonessa cominciò a scendere tracciando ampie e pigre spirali, avvicinandosi a Tronjheim che riluceva come un faro al centro del Farthen Dùr. Erano ancora lontani dalla città-montagna, quando volse la testa e disse: Guarda. Eragon seguì il suo sguardo, ma non scorse altro che la grigia e piatta landa sotto di loro. Cosa? Invece di rispondere, la dragonessa inclinò le ali e virò a sinistra, sorvolando una delle quattro strade che partivano da Tronjheim seguendo i quattro punti cardinali. Mentre atterravano, Eragon notò una macchia bianca su una collinetta poco distante. La macchia ondeggiò stranamente nell'oscurità, come la fiamma di una candela, poi si trasformò in Angela, che indossava una tunica di lana candida.

L'indovina portava una grossa cesta di vimini carica di funghi delle più svariate specie; Eragon non ne riconobbe la maggior parte. Mentre lei si avvicinava, il giovane li indicò e disse: «Stai raccogliendo funghi?»

«Ciao» lo salutò Angela con una risata, e posò in terra il pesante fardello. «Oh no, funghi è un termine troppo generico.» Li sparpagliò con le mani. «Questo è una famigliola cattiva, questo è un coprino chiomato e qui c'è un gallinaccio, e un pletus, un cantarello, una colombina rossa e quello è un agarico ametistino. Una meraviglia, non trovi?» Indicò ciascuno a turno, per finire con un fungo dal cappello screziato di rosa, lavanda e giallo. «E quello?» domandò Eragon, indicando un fungo dal gambo azzurro folgore, le lamelle color arancio acceso e il cappello nero e lucido come inchiostro.

Lei lo guardò con orgoglio. «La Fricai Andlàt, come direbbero gli elfi. Il gambo provoca la morte istantanea, mentre il cappello può curare la maggior parte dei casi di avvelenamento. È da esso che si estrae il Nettare di Tunivor. La Fricai Andlàt cresce soltanto nelle grotte della Du Weldenvarden e del Farthen Dùr, ma qui morirebbe se i nani cominciassero a depositare i loro rifiuti da qualche altra parte.»

Eragon si guardò intorno, scrutando la piccola collina, e si rese conto di cosa voleva dire esattamente: un letamaio. «Salute a te, Saphira» disse Angela, oltrepassandolo per accarezzare la dragonessa sul naso. Saphira socchiuse gli occhi e sospirò di piacere, dimenando la coda. In quello stesso momento arrivò Solembum trotterellando, con un ratto inerte che gli penzolava dalla bocca. Senza scomporsi, il gatto mannaro si acciambellò sul terreno e cominciò a mordicchiare il roditore con deliberata indifferenza.

«Dunque» disse Angela, scostando una ciocca dell'enorme massa di riccioli, «si parte per Ellesméra?» Eragon annuì. Non si prese la briga di chiederle come lo sapeva: Angela sembrava sapere sempre tutto quel che accadeva. Quando lui rimase in silenzio, lei lo rimbrottò: «Perché quella faccia scura? Non è mica una condanna a morte!» «Lo so.»

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