Volodyk - Paolini2-Eldest

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«E allora sorridi, perché se non è una condanna a morte, allora devi essere contento! Sei flaccido come il ratto di Solembum. Flaccido. Che bella parola, non trovi?»

Eragon non potè fare a meno di sorridere, e anche Saphira ridacchiò, con un profondo brontolìo gutturale. «Non sono sicuro che sia bella come dici, ma sì, capisco il tuo punto di vista.»

«Ne sono lieta. La comprensione è un'ottima cosa.» Inarcando le sopracciglia, Angela infilò un'unghia sotto un fungo e lo capovolse per esaminarne le lamelle, mentre diceva: «Che fortunata coincidenza esserci incontrati stanotte, proprio mentre tu stai per partire e io... andrò ad accompagnare i Varden nel Surda. Come ti dissi tempo fa, mi piace trovarmi dove succedono le cose, e quello è il posto giusto.»

Eragon sorrise ancora di più. «Be', allora questo significa che faremo un viaggio tranquillo, altrimenti accompagneresti noi.»

Angela si strinse nelle spalle, poi si fece seria e disse: «Sta' attento nella Du Weldenvarden. Solo perché gli elfi sono misteriosi e imperscrutabili, non vuol dire che non siano soggetti alla rabbia e alle passioni come il resto di noi mortali. Ciò che le rende letali, però, è come le nascondono, a volte per anni.»

«Ci sei stata?»

«Tanto tempo fa.»

Dopo una pausa, Eragon chiese: «Cosa ne pensi dei progetti di Nasuada?»

«Mmm... è predestinata! Tu sei predestinato! Sono tutti predestinati!» Scoppiò a ridere, piegata in due, poi si raddrizzò di colpo. «Nota bene che non ho specificato quale tipo di destino vi attende, perciò non importa quel che accadrà, io l'ho predetto. Molto saggio da parte mia.» Sollevò di nuovo la cesta, posandola su un'anca. «Suppongo che non ti vedrò per un bel pezzo, perciò stammi bene, buona fortuna, evita i cavoli arrosto, non mangiare moccio, e guarda il lato bello della vita!» E con una strizzatina d'occhio, si allontanò, lasciando Eragon perplesso e imbarazzato. Dopo una pausa appropriata, Solembum raccolse la sua cena e la seguì, con la sua solita aria sdegnosa e noncurante.

Il dono di Rothgar

Mancava ancora mezz'ora all'alba quando Eragon e Saphira giunsero al cancello nord di Tronjheim. Il cancello era sollevato quel tanto da permettere a Saphira di passare, così si affrettarono a varcarlo e si disposero all'attesa sotto la volta vicina, dove torreggiavano pilastri di diaspro rosso, e sculture di bestie ringhianti si affacciavano fra le colonne color del sangue. Più avanti, due grifoni d'oro alti trenta piedi montavano guardia perenne ai confini di Tronjheim. Coppie identiche si trovavano davanti a ciascun cancello della città-montagna. Non c'era anima viva. Eragon teneva le redini di Fiammabianca. Lo stallone era stato strigliato, ferrato e sellato, con le bisacce che traboccavano di provviste. Scalpitava impaziente; Eragon non lo cavalcava da oltre una settimana. Poco dopo arrivò Orik, con la sua peculiare andatura dondolante, un grosso zaino in spalla e un voluminoso involto sotto il braccio. «Niente cavallo?» domandò Eragon, piuttosto stupito. Si aspetta che andiamo a piedi fino alla Du Weldenvarden?

Orik grugnì. «Faremo sosta a Tarnag, il primo insediamento a nord. Da lì navigheremo lungo l'Az Ragni fino a Hedarth, un avamposto per il commercio con gli elfi. Non ci serviranno cavalcature prima di Hedarth, perciò userò i miei piedi fino a lì.»

Lasciò cadere il fagotto, che produsse un sonoro clangore; quando lo aprì, comparve l'armatura di Eragon. Lo scudo era stato ridipinto - l'albero di quercia al centro era tornato smagliante - e tutte le ammaccature e i graffi erano scomparsi. Sotto c'era la lunga cotta di maglia, lucidata e oliata fino a far scintillare l'acciaio. Non c'era traccia dello squarcio lasciato da Durza quando aveva colpito Eragon alla schiena. Allo stesso modo erano stati riparati la calotta, i guanti, i bracciali, gli schinieri e l'elmo.

«I nostri migliori fabbri si sono adoperati per le tue armi» disse Orik, «come anche per la tua bardatura, Saphira. Ma poiché non possiamo portare con noi un'armatura per draghi, è stata affidata ai Varden, che la custodiranno fino al nostro ritorno.»

Per favore, ringrazialo da parte mia, disse Saphira.

Eragon eseguì, poi si allacciò i bracciali e gli schinieri, riponendo gli altri pezzi nelle bisacce. Per ultimo, stava per prendere l'elmo, quando vide che lo reggeva Orik. Accarezzando pensieroso il copricapo d'acciaio, il nano disse: «Non essere troppo precipitoso nell'indossarlo, Eragon. Devi prima fare una scelta.»

«Di quale scelta parli?»

Il nano sollevò l'elmo e ne rivelò la lucida visiera, che, Eragon notò, era stata alterata: incisi nell'acciaio c'erano il martello e le stelle del clan di Rothgar e Orik, l'Ingietum. Orik aggrottò la fronte, con un'espressione a metà fra il compiaciuto e il preoccupato, e disse in tono formale: «Il mio re, Rothgar, desidera farti dono di questo elmo come pegno dell'amicizia che prova per te. E con esso, Rothgar ti porge l'offerta di adottarti come uno del Dùrgrimst Ingietum, quale membro della nostra famiglia.»

Eragon fissò l'elmo, sconcertato dal gesto di Rothgar. Questo vuol dire che sarò soggetto alla sua autorità? Se continuo a promettere fedeltà e alleanze a questo ritmo, mi ritroverò presto imbrigliato, incapace di fare qualsiasi cosa senza infrangere un giuramento!

Non devi indossarlo per forza, precisò Saphira.

E rischiare di offendere Rothgar? Siamo di nuovo in trappola.

D'altro canto, potrebbe essere un dono sincero, un altro segno di otho, non una trappola. Credo che sia un modo per ringraziarci della mia promessa di risanare Isidar Mithrim.

Eragon non ci aveva pensato, troppo assorto a immaginare in che modo il re dei nani volesse approfittare di loro. Giusto. Ma credo sia anche un tentativo di correggere lo squilibrio di poteri creatosi quando ho giurato fedeltà a Nasuada. I nani non devono essere rimasti molto soddisfatti della piega che hanno preso gli eventi. Si rivolse a Orik, che attendeva ansioso: «Quante volte è stata fatta una simile offerta?»

«A un umano? Mai. Rothgar ha discusso con le famiglie dell'Ingietum un giorno e una notte prima di convincerle ad accettarti. Se acconsenti a portare il nostro emblema, avrai tutti i diritti di un membro del clan. Potrai venire ai nostri consigli e intervenire su ogni questione. E» aggiunse solenne, «se lo desideri, avrai il diritto di essere seppellito con i nostri defunti.»

Fu allora che il valore del gesto di Rothgar si rivelò a Eragon in tutta la sua grandiosità. I nani non potevano offrire onore più immenso. Con un rapido movimento, Eragon prese l'elmo dalle mani di Orik e se lo calcò in testa. «È un vero privilegio per me unirmi al Dùrgrimst Ingietum.»

Orik annuì soddisfatto e disse: «Ora prendi questo Knurlien, questo Cuore di Pietra, fra le tue mani... sì, così. Adesso devi tagliarti una venuzza per bagnare la pietra. Qualche goccia sarà sufficiente... E per finire, ripeti con me: Os il dom qirànù earn dùr thargen, zeitmen, oen grimst vor formv edaris rak skilfz. Narho is belgond...» Fu un lungo discorso, ancora più prolisso perché Orik si fermava a tradurre ogni singola frase. Alla fine, Eragon si guarì la ferita con un semplice incantesimo.

«Checché ne dicano i clan» osservò Orik, «ti sei comportato con integrità e rispetto. Non possono ignorarlo.» Sogghignò. «Facciamo parte dello stesso clan, adesso. Sei mio fratello adottivo! In circostanze normali, Rothgar ti avrebbe donato l'elmo di persona, e avremmo organizzato una lunga cerimonia per festeggiare il tuo ingresso nel Dùrgrimst Ingietum; tuttavia il precipitare degli eventi non ci permette di perdere altro tempo. Ma non pensare di cavartela così! La tua adozione sarà celebrata con i rituali del caso quando tu e Saphira tornerete nel Farthen Dùr. Brinderai e danzerai, e dovrai firmare molti pezzi di carta per formalizzare la tua nuova posizione.» «Non vedo l'ora che arrivi quel giorno» disse Eragon, ancora intento a esaminare ogni possibile sottinteso della sua affiliazione al Dùrgrimst Ingietum.

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