Volodyk - Paolini2-Eldest

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Roran rivolse lo sguardo al villaggio. «Ancora non capisco perché l'Impero si dia tanto da fare per catturarmi. Cosa vogliono da me? Cosa credono che potrei dargli?»

Baldor seguì il suo sguardo. «I Ra'zac hanno interrogato

Katrina stamane. Qualcuno gli ha riferito che voi due siete molto amici, e i Ra'zac volevano sapere se lei era al corrente di dove fossi finito.»

Roran si volse di scatto verso Baldor. «Lei sta bene?»

«Ci vuole ben altro che quei due per spaventarla» lo rassicurò Baldor. Poi pronunciò la frase seguente con cautela. «Magari potresti consegnarti.»

«Preferirei impiccarmi, e loro con me!» Roran scattò in piedi e cominciò a percorrere la solita pista, battendosi le mani sulle gambe. «Come puoi dire una cosa simile, sapendo come hanno torturato mio padre?»

Baldor lo afferrò per un braccio e disse: «Cosa accadrà se resti ancora nascosto e i soldati non si arrendono? Penseranno che stiamo mentendo per aiutarti a fuggire. L'Impero non perdona i traditori.»

Roran si liberò dalla stretta con una scrollata di spalle. Fece qualche altro passo, poi tornò indietro e si sedette. Se non mi consegno, i Ra'zac se la prenderanno con chiunque gli capiti a tiro. Se provo a sviare i Ra'zac... Roran non era abbastanza esperto di montagne e foreste per eludere le ricerche di trenta uomini e dei Ra'zac. Eragon potrebbe farlo, ma non io. Eppure, a meno che la situazione non cambiasse, quella gli pareva l'unica soluzione possibile. Guardò Baldor. «Non voglio che qualcuno passi un guaio a causa mia. Per adesso continuerò ad aspettare, ma se i Ra'zac perderanno la pazienza e minacceranno qualcuno... be', allora penserò a qualcosa da fare.» «Comunque la rigiri, è una situazione difficile» commentò Baldor.

«Ma ho tutte le intenzioni di superarla indenne.»

Baldor se ne andò poco dopo, lasciando Roran solo con i propri pensieri, a macinare miglia su miglia sulla solita pista, dove impresse solchi profondi sotto il peso dei suoi pensieri. Quando scese il freddo crepuscolo, si tolse gli stivali per paura di consumarli - e continuò a piedi nudi.

Proprio mentre sorgeva la pallida luna, scacciando le ombre della notte con i suoi raggi d'argento, notò un certo scompiglio giù nel villaggio. Decine di lanterne sobbalzavano nell'oscurità, scomparendo per poi ricomparire quando passavano dietro le case. I puntini gialli si raggrupparono al centro di Carvahall, come uno sciame di lucciole, poi si mossero verso i margini del paese, dove vennero intercettati da una compatta fila di torce proveniente dall'accampamento dei soldati.

Per due ore Roran osservò le due fazioni affrontarsi a viso aperto: le agitate lanterne baluginavano deboli contro le solide fiamme delle torce. Alla fine i due gruppi si dispersero: chi rientrò nelle tende, chi nelle case. Quando tutto tornò alla calma, Roran srotolò il suo sacco e s'infilò sotto le coperte.

Per tutto il giorno seguente, Carvahall brulicò di insolita attività. Figure si aggiravano per le case e Roran notò con sorpresa che alcuni s'inoltravano nella Valle Palancar diretti alle fattorie. A mezzogiorno vide due uomini entrare nell'accampamento dei soldati e scomparire nella tenda dei Ra'zac per quasi un'ora.

Roran era così preso da quanto accadeva di sotto che non si mosse per tutto il giorno.

Stava cenando, quando, come aveva sperato, ricomparve Baldor. «Fame?» chiese Roran, indicandogli il cibo. Baldor scosse il capo e si lasciò cadere con un sospiro esausto. Aveva gli occhi cerchiati e la pelle del volto cerea e tirata. «Quimby è morto.»

La scodella di Roran cadde con un tonfo. Il giovane imprecò, spazzolandosi i calzoni dai pezzi di carne fredda, poi chiese: «Come?»

«Un paio di soldati hanno cominciato a importunare Tara, ieri sera.» Tara era la moglie di Morn. «Lei non ci ha fatto caso, ma i due hanno cominciato a litigare su chi doveva essere servito per primo. Quimby era lì - stava controllando un barile di birra, perché Morn gli aveva detto che era andata a male - e ha cercato di dividerli.» Roran annuì. Tipico di Quimby, intervenire sempre per garantire l'ordine. «Solo che un soldato ha scagliato un boccale che lo ha colpito alla tempia. È morto sul colpo.»

Con le mani sui fianchi, Roran fissava il terreno, sforzandosi di riprendere il controllo del respiro affannato. Era come se Baldor gli avesse sferrato un pugno allo stomaco. Non è possibile... Quimby, morto? Il contadino birraio faceva parte del panorama quanto le montagne che circondavano il villaggio, una presenza indiscussa radicata nel tessuto di Carvahall. «I soldati saranno puniti?»

Baldor alzò le mani al cielo. «Subito dopo che Quimby è morto, i Ra'zac hanno preso il corpo dalla taverna e se lo sono portato nella loro tenda. Abbiamo tentato di recuperarlo ieri notte, ma non hanno voluto sentire ragioni.» «Capisco.»

Baldor gemette, massaggiandosi il mento. «Papà e Loring si sono incontrati stamattina con i Ra'zac e sono riusciti a convincerli a restituire la salma. I soldati però non subiranno alcuna conseguenza.» Fece una pausa. «Stavo per venire qui, quando è stato consegnato il corpo. Sai che ha ottenuto sua moglie? Ossa.»

«Ossa?»

«Un mucchio di ossa spolpate... si vedevano i segni dei denti... alcune perfino spezzate in cerca di midollo.» Disgusto e orrore s'impadronirono di Roran al pensiero del terribile destino di Quimby. Tutti sapevano che uno spirito non può riposare in pace se al suo corpo non viene data degna sepoltura. Disgustato dalla profanazione, chiese: «Ma chi l'ha mangiato?» «I soldati sono rimasti altrettanto sconvolti. Devono essere stati i Ra'zac.»

«Perché? A quale scopo?»

«Sai» disse Baldor, «io non credo che siano umani. Tu non li hai mai visti da vicino, ma hanno l'alito fetido, e si coprono sempre la faccia con sciarpe nere. Hanno la schiena gobba e deforme, e tra loro comunicano con strani schiocchi. Perfino i loro uomini li temono.»

«Ma se non sono umani, di che razza di creature si tratta?» s'interrogò Roran. «Perché Urgali non sono.» «E chi lo sa?»

La paura, adesso, si aggiunse al disgusto: paura del soprannaturale. La vide riflettersi sul volto di Baldor, mentre il giovane si torceva le mani. Nonostante tutte le storie che si raccontavano sui misfatti di Galbatorix, era terribile accorgersi che i tentacoli malvagi del re si aggiravano anche fra le loro case, adesso. Roran capì di essere entrato a far parte della Storia, dove operavano forze oscure e grandiose che fino a quel momento aveva conosciuto soltanto attraverso le ballate e le leggende. «Bisogna fare qualcosa» mormorò.

Nel corso della notte e durante la mattinata l'aria si fece più tiepida, finché nel pomeriggio la Valle Palancar non brillò di un inatteso fulgore primaverile. Carvahall sembrava tranquilla sotto il cielo azzurro e limpido, ma Roran poteva percepire l'acre rancore che serpeggiava fra gli abitanti con feroce intensità. La calma era come un lenzuolo teso contro il vento.

Malgrado il senso di attesa, la giornata si rivelò noiosa: Roran passò la maggior parte del tempo a spazzolare il manto della giumenta di Horst. Alla fine si coricò, contemplando, sopra le chiome dei pini, le galassie di stelle che illuminavano il cielo notturno. Gli sembravano così vicine da poterle toccare mentre si lasciava cadere in un vuoto di tenebra.

La luna stava tramontando quando Roran si destò, la gola irritata dal fumo. Tossì e si alzò a sedere, battendo le palpebre mentre gli occhi gli bruciavano e lacrimavano. Non riusciva quasi a respirare per il fumo denso. Afferrò le coperte e sellò la cavalla spaventata, poi la spronò a salire ancora più su, in cerca d'aria fresca. Ben presto si rese conto che il fumo lo stava sorpassando, così fece voltare la giumenta e tagliò per la foresta. Dopo lunghi minuti passati a brancolare nel buio, finalmente uscirono allo scoperto e proseguirono lungo una cengia spazzata da una leggera brezza. Inspirando a pieni polmoni, Roran scandagliò la valle in cerca dell'incendio. Lo individuò subito.

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