Volodyk - Paolini2-Eldest

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Baldor fu il primo a rispondere al suo richiamo, poi Albriech. Qualche secondo dopo, arrivarono i figli di Loring, seguiti da una ventina di altri uomini. Dalle vie laterali, donne e bambini scagliavano pietre contro i soldati. «Restate uniti» ordinò Roran, mantenendo la posizione. «Noi siamo molti di più.»

I soldati si fermarono mentre la folla davanti a loro continuava a ingrossarsi. Con oltre cento uomini alle spalle, Roran avanzò lentamente.

«Attaccate, ssstupidi!» strillò un Ra'zac, chinandosi per schivare il forcone di Loring.

Una freccia solitària sibilò verso Roran. La parò con lo scudo e rise. I Ra'zac erano schierati insieme ai soldati, adesso, e sibilavano di frustrazione, fissando i villici con sguardi di fuoco da sotto i cappucci neri. All'improvviso Roran si sentì pervaso da uno strano stordimento che gli impediva qualsiasi mossa; gli era difficile persino pensare. La stanchezza sembrava inchiodargli braccia e gambe.

Dal cuore di Carvahall, proruppe il grido rauco di Brigit. Un secondo dopo, una pietra volò sopra la sua testa, diretta contro il Ra'zac in prima linea, che si scansò a velocità soprannaturale per evitare il proiettile. La distrazione, per quanto minima, liberò la mente di Roran dall'influenza soporifera. Magia? si domandò.

Lasciò cadere lo scudo, afferrò il martello con entrambe le mani e lo levò sopra la testa, proprio come faceva Horst quando batteva il metallo. Roran si alzò in punta di piedi, inarcò il corpo all'indietro, poi abbassò le braccia di colpo ruggendo un possente huhl Il martello piroettò in aria e rimbalzò sullo scudo del Ra'zac, lasciando una profonda ammaccatura.

I due attacchi bastarono a disgregare gli ultimi residui dello strano potere del Ra'zac. I due si scambiarono rapidi schiocchi, mentre gli uomini sbraitavano e avanzavano minacciosi. I Ra'zac strattonarono le redini e fecero voltare i cavalli.

«Ritirata» ringhiarono, passando fra i soldati. I guerrieri cremisi cominciarono a indietreggiare da Carvahall, agitando le spade contro chiunque osasse avvicinarsi troppo. Soltanto quando furono a una discreta distanza dai carri in fiamme, osarono voltare la schiena.

Roran sospirò e recuperò il martello, sentendo per la prima volta il dolore dei lividi sul fianco e sulla schiena, dove aveva urtato contro il muro. Chinò la testa nel vedere che l'esplosione aveva ucciso Parr. Altri nove uomini erano morti. Già le mogli e le madri levavano al cielo notturno i loro lamenti di dolore.

Com'e potuto succedere quii

«Venite tutti!» chiamò Baldor.

Roran battè le palpebre e barcollò verso il centro della strada, dove si trovava Baldor. Un Ra'zac era curvo come uno scarafaggio sulla sella del cavallo, a non più di venti iarde da loro. La creatura tese un indice adunco verso Roran e disse: «Tu... tu hai lo ssstesso odore di tuo cugino. Non dimentico mai un odore.»

«Cosa vuoi?» gridò Roran. «Perché siete qui?»

Il Ra'zac emise un'orribile risatina da insetto. «Vogliamo... informazioni.» Si guardò alle spalle, dove i suoi compagni si erano già dileguati, poi gridò: «Lasssciateci Roran, e sssarete venduti come ssschiavi. Proteggetelo, e vi mangeremo tutti. Ci darete la vossstra risssposta quando torneremo. E fate che sssia quella giusssta.»

AZ SWELDN RAK ANHÙIN

La luce inondò il tunnel quando le porte si spalancarono. Con una smorfia, Eragon socchiuse gli occhi, non più avvezzi alla luce del giorno dopo tutto il tempo passato sotto terra. Al suo fianco, Saphira sibilò e inarcò il collo per vedere meglio la loro destinazione.

Avevano impiegato due interi giorni per attraversare il passaggio sotterraneo dal Farthen Dùr, anche se a Eragon era sembrato molto di più, per colpa del buio eterno e del silenzio che incuteva nel gruppo. Ricordava di aver scambiato con gli altri al massimo una decina di parole, durante le soste.

Eragon aveva sperato di sapere qualcosa di più sul conto di Arya, mentre viaggiavano insieme, ma l'unica informazione l'aveva ottenuta grazie al proprio spirito di osservazione. Non aveva mai mangiato con l'elfa prima, ed era rimasto sorpreso nel vedere che si era portata una provvista personale e non mangiava carne. Quando le aveva chiesto spiegazioni, lei si era limitata a rispondere: «Nemmeno tu mangerai più carne di animale quando avrai terminato il tuo addestramento, o se lo farai, sarà in rarissime occasioni.»

«Perché dovrei smettere di mangiare la carne?» domandò lui, accigliato.

«Non so spiegartelo a parole, ma capirai quando arriveremo a Ellesméra.»

Ma adesso che correva verso l'uscita, non pensava ad altro che alla meta agognata. Si ritrovò in cima a un rilievo di granito, che sovrastava di oltre cento piedi un lago dalle sfumature violacee, splendente sotto il sole a oriente. Al pari del Kóstha-mérna, lo specchio d'acqua si estendeva da montagna a montagna, riempiendo il fondo valle. Sulla sponda opposta del lago, il fiume Az Ragni scorreva verso nord, serpeggiando fra i monti finché in lontananza si perdeva fra le pianure a est.

Alla sua destra, le montagne erano spoglie, fatta eccezione per qualche raro sentiero, ma alla sua sinistra... alla sua sinistra c'era la città dei nani, Tarnag. Qui i nani avevano rimodellato gli immutabili Monti Beor in una serie di terrazze. Quelle più basse erano in gran parte fattorie scure mezzelune di terra in attesa della semina - punteggiate da basse e tozze casupole che, da lontano almeno, sembravano costruite interamente di pietra. Al di sopra di quelle brulle terrazze si susseguivano vari livelli di edifici comunicanti, che culminavano in una gigantesca cupola bianca e oro. Era come se la città non fosse altro che un'enorme scalinata che conduceva alla cupola, scintillante come un opale, una perla lattiginosa in cima a una piramide di grigia ardesia.

Orik anticipò la sua domanda, dicendo: «Quello è Celbedeil, il più grande tempio della razza nana, dimora del Dùrgrimst Quan, il clan dei Quan, che sono servi e messaggèri degli dei.»

Sono loro a governare Tarnag? chiese Saphira, ed Eragon ripetè la domanda ad alta voce.

«Nooo» fece Arya, sorpassandoli. «Anche se i Quan sono forti, il loro numero è esiguo, malgrado il potere che detengono sull'aldilà... e sull'oro. Sono i Ragni Hefthyn, i Guardiani del Fiume, che controllano Tarnag. Saremo ospiti del loro capoclan, Ùndin, finché restiamo qui.»

Mentre seguivano l'elfa giù dal pendio roccioso, attraversando l'arida foresta che ricopriva la montagna, Orik mormorò a Eragon: «Non farci caso. Non sopporta i Quan, e ogni volta che visita Tarnag e parla con un sacerdote, si scatenano discussioni così feroci da terrorizzare un Kull.»

«Arya?»

Orik annuì sogghignando. «Non ne so molto, ma ho sentito dire che non approva le pratiche dei Quan. A quanto pare gli elfi disdegnano il "borbottare all'aria in cerca di aiuto".»

Eragon guardò la schiena di Arya mentre scendevano, chiedendosi se fosse vero quanto affermava Orik, e in tal caso, in cosa credesse Arya. Trasse un profondo respiro e respinse la questione in un angolo della mente, per godere la meravigliosa sensazione di essere di nuovo all'aria aperta, dove poteva sentire l'odore del muschio, delle felci e degli alberi della foresta, dove il sole gli riscaldava il viso, e le api e gli altri insetti ronzavano.

Il sentiero li condusse sulla riva del lago prima di risalire verso Tarnag e i suoi cancelli aperti. «Come avete fatto a tenere nascosta Tarnag a Galbatorix?» chiese Eragon. «Il Farthen Dùr posso capirlo, ma questo... non ho mai visto nulla di simile.»

Orik ridacchiò. «Nasconderla? Impossibile. No, dopo la caduta dei Cavalieri, siamo stati costretti ad abbandonare le nostre città in superficie e a ritirarci nei tunnel, per sfuggire a Galbatorix e ai Rinnegati. Sorvolavano spesso i Monti Beor, uccidendo chiunque incontrassero.»

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