Volodyk - Paolini2-Eldest
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«Credevo che i nani avessero sempre vissuto sottoterra.»
Le folte sopracciglia di Orik si unirono in un'espressione corrucciata. «Perché avremmo dovuto? Certo, condividiamo più di un'affinità con la pietra, ma amiamo l'aria aperta quanto un elfo o un umano. Tuttavia è stato soltanto negli ultimi quindici anni, dalla morte di Morzan, che i nani hanno osato tornare a Tarnag e agli altri nostri antichi insediamenti. Galbatorix sarà anche dotato di poteri soprannaturali, ma non si azzarderebbe mai ad attaccare una città intera da solo. Ovviamente lui e il suo drago potrebbero causarci non pochi problemi se volessero, ma di questi tempi non si allontanano spesso da Urù'baen, nemmeno per brevi viaggi. E Galbatorix non potrebbe portare qui un esercito senza prima conquistare Buragh o il Farthen Dùr.»
Un'impresa che gli è quasi riuscita, commentò Saphira.
Nel superare la cima di una collinetta, Eragon sussultò sorpreso quando un animale sbucò dal sottobosco in mezzo al sentiero. La pelosa creatura somigliava a una capra di montagna come quelle della Grande Dorsale, solo che era grossa il doppio e vantava un paio di gigantesche corna ricurve da far impallidire quelle degli Urgali. Ancora più singolare era la sella che portava sul dorso, e il nano che la montava, con in mano un arco teso.
«Hert dùrgrimst? Fild rastn?» gridò il nano.
«Orik Thrifkz menthiv oen Hrethcarach Eragon rak
Dùrgrimst Ingietum» rispose Orik. «Wharn, az vanyalicarharùg Arya. Né oc Ùndinz grimstbelardn.» La capra guardava Saphira intimidita. Eragon notò quanto fossero limpidi e intelligenti i suoi occhi, malgrado il muso stolido irto di candidi ciuffi. In qualche modo gli ricordava Rothgar, e quasi si mise a ridere al pensiero di quanto fosse adatta ai nani. «Azt jok jordn rast» fu la risposta.
Senza alcun comando udibile da parte del nano, la capra balzò avanti, coprendo una tale distanza che per un momento parve volare. Poi cavaliere e cavalcatura scomparvero fra gli alberi.
«Cos'era?» chiese Eragon, incuriosito.
Orik riprese a camminare. «Una Feldùnost, uno dei cinque animali che vivono soltanto su queste montagne. I clan prendono il nome da ciascuno di essi. Tuttavia, il Dùrgrimst Feldùnost è forse il più valoroso e stimato fra i clan.» «Perché?»
«Dipendiamo dalle Feldùnost per il latte, la lana e la carne. Senza di loro, non potremmo vivere sui Beor. Quando Galbatorix e i suoi Cavalieri traditori ci terrorizzavano, fu il Dùrgrimst Feldùnost che rischiò la vita, e lo fa tuttora, per occuparsi dei greggi e dei campi. Per questo, gli siamo tutti debitori.»
«Tutti i nani cavalcano le Feldùnost?» Eragon pronunciò a fatica quella nuova parola.
«Soltanto fra le montagne. Le Feldùnost sono resistenti e hanno zampe salde, ma sono più adatte alle montagne che non alle pianure.»
Saphira sfiorò Eragon con il muso, facendo indietreggiare Fiammabianca. Ora sì che sarà divertente cacciare. Sono prede ben più appetibili di quelle che ho trovato sulla Dorsale o da qualsiasi altra parte! Se avrò tempo a Tarnag... No! disse Eragon. Non possiamo permetterci di offendere i nani.
La dragonessa sbuffò irritata. Potrei sempre chiedere loro il permesso.
Ora il sentiero che li aveva a lungo nascosti sotto il fogliame scuro entrò nella grande radura che circondava Tarnag. Gruppi di osservatori si erano già radunati nei campi quando sette Feldùnost dai finimenti ingioiellati uscirono dalla città. I cavalieri portavano lance sormontate da lunghi vessilli che schioccavano in aria come fruste. Tirando le redini per fermare la strana bestia, il nano al comando disse: «Vi porgo il benvenuto nella città di Tarnag. Per otho di Ùndin e Gannel, io, Thorv, figlio di Brokk, vi offro in pace l'asilo delle nostre dimore.» Il suo accento era più aspro e rauco di quello di Orik.
«E per otho di Rothgar, noi dellTngietum accettiamo la vostra ospitalità» replicò Orik.
«Anch'io, a nome di Islanzadi» fece eco Arya.
Con evidente soddisfazione, Thorv fece un cenno ai suoi compagni, che spronarono le Feldùnost per disporle in formazione intorno ai quattro. Con gran pompa, i nani li scortarono a Tarnag, attraverso i cancelli della città. Il muro di cinta era spesso quaranta piedi e proiettava la sua ombra sulle prime fattorie che circondavano Tarnag. Altri cinque gradoni - ciascuno difeso da un cancello fortificato - li portarono oltre i campi fino alla città vera e propria. In contrasto con i massicci bastioni e i contrafforti, gli edifici all'interno di Tarnag, sebbene di pietra, erano stati eretti con tale maestria da dare un'impressione di grazia e leggerezza. Eleganti bassorilievi, perlopiù di animali, adornavano le case e le botteghe. Ma ancora più sorprendente era la pietra stessa: vibranti sfumature, dallo scarlatto acceso al più tenue dei verdi, scintillavano nella roccia in strati traslucidi.
E appese in tutta la città c'erano le lanterne senza fiamma dei nani, con le loro scintille multicolori che lasciavano presagire le lunghe notti dei Monti Beor.
Diversamente da Tronjheim, Tarnag era stata costruita a misura di nano, senza alcuna concessione per elfi, umani o draghi in visita. Le porte più grandi erano alte cinque piedi, ma la maggior parte non raggiungevano i quattro. Eragon era di statura media, ma adesso si sentiva un gigante in un teatrino di burattini.
Le strade erano ampie e affollate. Nani di diversi clan si dedicavano laboriosi ai propri mestieri, o si affaccendavano nelle botteghe. Molti indossavano strani, esotici costumi, come un gruppo di fieri nani dai capelli neri che portavano elmi d'argento a forma di teste di lupo.
Eragon guardava soprattutto le donne, poiché le aveva viste soltanto di sfuggita a Tronjheim. Erano più robuste degli uomini, con volti duri ma occhi luminosi e capelli lustri, e mani gentili posate sui minuscoli figli. Non amavano adornarsi di monili preziosi, fatta eccezione per piccole, elaborate spille di ferro e pietra.
Al rumore di zoccoli delle Feldùnost, i nani si voltavano a guardare i nuovi arrivati. Non li acclamarono come Eragon si era aspettato, ma s'inchinavano e mormoravano: «Ammazzaspettri.» Quando videro il martello e le stelle sull'elmo di Eragon, l'ammirazione fu sostituita dallo spavento e, in molti casi, da espressioni offese. Alcuni nani, fra i più arrabbiati, si strinsero attorno a Eragon, imprecando a gran voce.
Eragon si sentì rizzare i capelli sulla nuca. A quanto pare, avermi adottato non è stata la decisione più popolare che Rothgar potesse prendere.
Già, concordò Saphira. Può aver rafforzato il suo controllo su di te, ma a costo di alienarsi molti nani... Sarà meglio che ci togliamo dai piedi, prima che cominci a scorrere il sangue. Thorv e le altre guardie incedevano fra la folla come se non esistesse, sgombrando la strada per altri sette livelli, finché non rimase un ultimo cancello a separarli dalla mole di Celbedeil. Poi Thorv svoltò a sinistra, verso un grande palazzo addossato al fianco della montagna, protetto sul fronte da un barbacane con due torri munite di caditoie.
Mentre si avvicinavano, un gruppo di nani armati uscì da dietro le case, schierandosi a formare una barriera che bloccava la strada. Lunghi veli viola coprivano i loro volti e le spalle, come calotte di maglia.
Le guardie subito arrestarono le loro Feldùnost, scuri in volto. «Cosa c'è?» chiese Eragon a Orik, ma il nano si limitò a scuotere la testa e a farsi avanti, la mano sull'ascia.
«Etzil nithgech!» gridò un nano velato, sollevando un pugno. «Formv Hrethcarach... formv Jurgencarmeitder nos età goroth bahst Tarnag, dùr encesti rak kythn! Jok is warrev az barzulegùr dùr dùrgrimst, Az Sweldn rak Anhùin, mògh tor rak Jurgenvren? Né ùdim etal os rast knurlag. Rnurlag ana...» Per un intero minuto, continuò a blaterare con crescente livore.
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