Volodyk - Paolini2-Eldest
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«Vrron!» latrò Thorv, tagliando corto, poi i due nani cominciarono a litigare. Malgrado l'asprezza dei toni, Eragon si accorse che Thorv provava rispetto per l'altro nano.
Il giovane si spostò di lato nel tentativo di vedere meglio la scena da dietro la Feldùnost di Thorv, e il nano velato tacque di colpo, indicando inorridito l'elmo di Eragon.
«Knurlag qana qirànù Dùrgrimst Ingietum!» strillò. «Barzul ana Rothgar oen volfild...»
«Jok is frekk dùrgrimstvren?» lo interruppe Orik a voce bassa, estraendo l'ascia. Preoccupato, Eragon rivolse un'occhiata ad Arya, ma anche lei era troppo assorbita dal confronto per notarlo. Senza farsi notare, fece scivolare la mano sull'impugnatura di Zar'roc.
Lo strano nano guardò truce Orik, si tolse un anello di ferro dalla tasca, si strappò tre peli dalla lunga barba e li avvolse intorno a esso, poi lo scagliò sulla strada e sputò. Senza altre parole, i nani ammantati di viola se ne andarono. Thorv, Orik e gli altri guerrieri trasalirono quando l'anello rimbalzò tintinnando sul selciato di granito. Perfino Arya parve sconcertata. Due dei nani più giovani sbiancarono e misero mano alle lame, poi le abbassarono quando Thorv gridò: «Età!»
La loro reazione turbò Eragon molto più del rauco alterco. Mentre Orik si chinava a raccogliere l'anello per infilarlo in un sacchetto, Eragon chiese: «Cosa significa?»
«Significa» rispose Thorv «che hai dei nemici.»
Oltre il barbacane si apriva un ampio cortile apparecchiato con tre tavoli da banchetto, decorato da lanterne e stendardi. Trovarono un nutrito gruppo di nani ad attenderli davanti ai tavoli, fra cui spiccava uno dalla barba grigia vestito con una pelle di lupo. Allargò le braccia e disse: «Benvenuti a Tarnag, dimora del Dùrgrimst Ragni Hefthyn. Ho sentito tessere le tue lodi, Eragon Ammazzaspettri. Io sono Ùndin, figlio di Derùnd, e capoclan.» Un altro nano si fece avanti. Aveva le spalle e il torace da guerriero, con un paio di occhi neri infossati che non si staccarono dal volto di Eragon nemmeno per un secondo. «E io sono Gannel, figlio di Orm Scuredisangue, capoclan del Dùrgrimst Quan.»
«È un onore essere vostri ospiti» disse Eragon chinando il capo. Percepì l'irritazione di Saphira nell'essere ignorata. Pazienza, mormorò, con un sorriso forzato.
La dragonessa sbuffò.
I capiclan salutarono Arya e Orik a turno, ma la loro cordialità fu inutile con Orik, il quale per tutta risposta tese la mano col palmo aperto, mostrando l'anello di ferro.
Ùndin sgranò gli occhi, e prese l'anello con cautela, tenendolo fra il pollice e l'indice come se fosse uno scorpione velenoso. «Chi te lo ha dato?»
«L'Az Sweldn rak Anhùin. E non l'ha dato a me, ma a Eragon.»
Quando sui volti dei nani si dipinse un'espressione allarmata, Eragon si sentì di nuovo cogliere dalla preoccupazione. Aveva visto nani che da soli affrontavano un gruppo di Kull senza battere ciglio. L'anello doveva simboleggiare qualcosa di spaventoso, se poteva minare il loro coraggio.
Ùndin si accigliò mentre ascoltava i mormorii dei suoi consiglieri, poi disse: «Dobbiamo consultarci su questo argomento. Ammazzaspettri, è stata preparata una festa in tuo onore. Se vuoi essere così gentile da seguire i miei servitori, ti mostreranno i tuoi alloggi, dove potrai rinfrescarti, e poi potremo cominciare.»
«Prego» disse Eragon, porgendo le redini di Fiammabianca a un nano in attesa, e ne seguì un altro nel palazzo. Nel varcare la soglia, scoccò un'occhiata indietro ad Arya e Orik, impegnati con i capiclan, le teste chine e ravvicinate. Non ci metterò molto, promise a Saphira.
Dopo aver percorso a schiena curva una serie di passaggi a misura di nano, fu sollevato nel vedere che la stanza che gli era stata assegnata era abbastanza spaziosa da consentirgli di stare dritto. Il servitore s'inchinò e disse: «Tornerò non appena Grimstborith Ùndin sarà pronto.»
Come il nano lo lasciò da solo, Eragon trasse un profondo respiro, godendosi il silenzio. L'incontro con i nani velati continuava a turbarlo, impedendogli di rilassarsi. Se non altro non resteremo a lungo qui a Tarnag. Questo dovrebbe far sì che non ci facciano del male.
Si tolse i guanti e si avvicinò a un bacile di marmo posato sul pavimento, accanto al letto basso. Infilò le mani nell'acqua e le ritrasse di scatto con un gridolino involontario. L'acqua era bollente. Dev'essere un'usanza dei nani, pensò. Attese che si raffreddasse un po', poi si lavò la faccia e il collo, strofinandoli con cura mentre il vapore si levava dalla sua pelle.
Rinvigorito, si sfilò i calzoni e la tunica, e indossò gli abiti che aveva usato per le esequie di Ajihad. Toccò Zar'roc, poi decise che sarebbe stato un insulto alla tavola di Ùndin, e alla cintura allacciò soltanto il suo coltello da caccia. Estrasse dallo zaino la pergamena che gli aveva affidato Nasuada con l'incarico di consegnarla a Islanzadi e la soppesò, domandandosi dove nasconderla. La lettera era troppo importante per lasciarla incustodita nella stanza, dove avrebbero potuto leggerla o rubarla. Non trovando posto migliore, se la infilò in una manica. Qui sarà al sicuro, purché non capiti di combattere, e in questo caso avrò problemi ben più grossi di cui preoccuparmi.
Quando il servitore tornò a chiamare Eragon, era passata un'ora o poco più da mezzogiorno, ma il sole era già calato dietro le montagne torreggianti, immergendo Tarnag nell'oscurità. Uscito nel cortile, Eragon rimase sorpreso dalla trasformazione della città. Con la notte prematura, le lanterne dei nani rivelavano la loro vera potenza, inondando le vie di una luce pura e intensa che faceva risplendere l'intera valle.
Ùndin e gli altri nani erano disposti intorno ai tavoli, insieme a Saphira, che si era sistemata a un capotavola. Nessuno sembrava intenzionato a contestare la sua scelta.
Successo niente? chiese Eragon, affrettandosi verso di lei.
Ùndin ha convocato altri guerrieri, e poi hanno sbarrato i cancelli. Si aspetta un attacco?
Quantomeno lo considera un'eventualità.
«Eragon, ti prego, unisciti a noi» disse Ùndin, indicando la sedia alla propria destra. Il capoclan si sedette non appena lo fece Eragon, e il resto della compagnia li imitò.
Eragon fu contento quando Orik prese posto accanto a lui, con Arya seduta dall'altro lato del tavolo, anche se entrambi erano scuri in volto. Prima di poter chiedere a Orik dell'anello, Ùndin battè le mani e ruggì: «Ignh az voth!» I servitori sciamarono dal palazzo, portando vassoi d'oro massiccio carichi di carni, torte e frutta. Si divisero in tre colonne - una per ciascun tavolo - e deposero i vassoi profondendosi in inchini.
Davanti a loro c'erano zuppe e stufati guarniti di una grande varietà di tuberi, cacciagione arrosto, lunghi filoni di pane lievitato, e schiere di torte al miele grondanti di marmellata di lamponi. Su un letto d'insalata erano adagiati filetti di trota profumata al prezzemolo, e l'anguilla in salamoia fissava mesta un vaso di formaggio molle, come se sperasse in qualche modo di tornare in un fiume. Un cigno troneggiava su ciascun tavolo, circondato da stormi di pernici, anatre e oche ripiene.
C'erano funghi dappertutto: soffritti in succosi filetti, infilati sulla testa di un volatile a mo' di cuffia, o tagliati a forma di castelli in mezzo a fossati ricolmi di sugo. Ce n'era una varietà incredibile: da bianchi funghi carnosi grandi quanto il pugno di Eragon, ad alcuni che avrebbe potuto scambiare per corteccia secca, a delicati funghetti tagliati a metà a mostrare la polpa azzurrognola.
Poi venne introdotto il piatto forte del banchetto: un gigantesco cinghiale arrosto, lucente di sugo. Almeno, Eragon pensò che fosse un cinghiale, perché la carcassa era grande quanto Fiammabianca, e ci erano voluti sei nani per portarlo. Le zanne erano più lunghe del suo braccio, il muso tozzo grande quanto la sua testa. E l'odore sovrastava tutti gli altri in ondate pungenti che gli facevano lacrimare gli occhi.
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