Volodyk - Paolini2-Eldest

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La voce di Gannel si ridusse a un sussurro. «Gùntera sarà anche il re degli dei, ma è Helzvog che regna nei nostri cuori. Fu lui che avvertì l'esigenza di ripopolare la terra dopo la scomparsa dei giganti. Gli altri dei non erano d'accordo, ma Helzvog li ignorò e in segreto plasmò il primo nano dalle radici di una montagna.

«Quando il suo gesto fu scoperto, gli dei si ingelosirono e Gùntera creò gli elfi per controllare Alagaésia in sua vece. Allora Sindri generò gli umani dal suolo, mentre Urùr e Morgothal fusero le loro conoscenze per dare origine ai draghi. Soltanto Kilf si astenne. Fu così che le prime razze comparvero sulla terra.»

Eragon ascoltava le parole di Gannel, riconoscendo la sua sincerità, ma non poteva fare a meno di chiedersi: Come fa a saperlo? Eragon capì che sarebbe stata una domanda indelicata, e si limitò ad annuire.

«Questo» disse Gannel, bevendo l'ultimo sorso di birra «ci porta al nostro rito più importante, di cui so che Orik ti ha già parlato... Tutti i nani devono essere sepolti nella pietra, altrimenti i nostri spiriti non si uniranno mai a Helzvog nella sua dimora. Non siamo fatti di terra, aria o fuoco, ma di pietra. E come membro dell'Ingietum è tuo dovere assicurare una degna sepoltura a qualunque nano muoia in tua compagnia. Se mancherai di farlo, in assenza di ferite o nemici, Rothgar ti esilierà, e nessun nano riconoscerà la tua presenza fin dopo la tua morte.» Raddrizzò le spalle, fissando Eragon negli occhi. «Hai ancora molto da imparare, ma fa' tesoro degli insegnamenti di oggi, e le tue azioni seguiranno il giusto corso.»

«Non li dimenticherò» promise Eragon.

Soddisfatto, Gannel si allontanò dalle statue per imboccare una scala a chiocciola. Mentre salivano, il capoclan s'infilò una mano nella veste e ne trasse una collana, una semplice catena che passava in un ciondolo d'argento a forma di martello in miniatura. La diede a Eragon.

«Questo è un altro favore che mi ha chiesto Rothgar» spiegò Gannel. «Teme che Galbatorix possa aver scorto una tua immagine dalla mente di Durza, o dei Ra'zac, o di qualcuno dei soldati che hai incontrato viaggiando per l'Impero.» «Cosa avrei da temere?»

«Galbatorix potrebbe divinarti. Forse lo ha già fatto.»

Un brivido di apprensione gli corse lungo la schiena, come un serpente di ghiaccio. Avrei dovuto pensarci, si rimproverò. «La collana impedirà a chiunque di divinare te o il tuo drago, purché la indossi sempre. Ho formulato io l'incantesimo, perciò dovrebbe resistere anche alla più potente delle menti. Ma ti avverto: quando si attiva, la collana attingerà alla tua forza finché non la toglierai, o il pericolo sarà cessato.»

«E quando dormo? La collana potrebbe consumarmi tutta l'energia senza che me ne accorga?»

«No. Ti sveglierà.»

Eragon si fece rotolare il piccolo martello fra i polpastrelli. Era difficile bloccare gli incantesimi di un'altra persona, soprattutto quelli di Galbatorix. Se Gannel è così potente, quali altri incantesimi può aver nascosto nel suo dono? Notò una riga di rune incise sul manico del martello. Dicevano Astim Hefthyn. La scala terminò mentre chiedeva: «Come mai i nani scrivono con le rune degli umani?»

Per la prima volta da quando si erano conosciuti, Gannel scoppiò a ridere; le sue larghe spalle tremavano e il tempio riecheggiò della sua voce profonda. «È il contrario: gli umani scrivono con le nostre rune. Quando i vostri antenati giunsero in Alagaésia, erano illetterati come conigli. Tuttavia adottarono il nostro alfabeto e lo adattarono al loro linguaggio. Alcune delle vostre parole addirittura derivano dalle nostre, come padre, che in origine era farthen.» «Quindi Farthen Dùr significa...?» Eragon s'infilò la collana e la nascose sotto la tunica.

«Nostro Padre.»

Fermandosi davanti a una porta, Gannel invitò Eragon a entrare in una galleria che correva tutto intorno alla cupola di Celbedeil; gli archi aperti che la fiancheggiavano offrivano una visuale completa delle montagne alle spalle di Tarnag, come della città terrazzata sottostante.

Tuttavia Eragon notò a malapena il panorama, poiché la parete interna della galleria era coperta da uno straordinario fregio ininterrotto, una gigantesca fascia narrativa che cominciava con la creazione dei nani da parte di Helzvog. Le figure e gli oggetti spiccavano in rilievo, donando allo sfondo una qualità iperrealista, con i suoi colori saturi e scintillanti e i dettagli minuti.

Affascinato, Eragon chiese: «Com'è stato fatto?»

«Ogni scena è stata scolpita su piccole lastre di marmo, che in seguito sono state smaltate a fuoco e unite a formare un unico pezzo.»

«Non sarebbe stato più facile usare colori normali?»

«Sì» rispose Gannel, «ma non sarebbero durati secoli, millenni, senza cambiare. Lo smalto non sbiadisce né si opacizza, come accade ai colori a olio. La prima sezione è stata realizzata soltanto un decennio dopo la scoperta del Farthen Dùr, molto prima che gli elfi mettessero piede in Alagaésia.»

Il sacerdote prese Eragon sotto braccio e lo guidò lungo il fregio. A ogni passo, percorrevano innumerevoli anni di storia.

Eragon vide che un tempo i nani erano nomadi che vagavano per una sconfinata pianura, finché la terra non era diventata così rovente e desolata da costringerli a migrare a sud, verso i Monti Beor. Ecco come si è formato il Deserto di Hadarac, pensò, stupito.

Via via che fiancheggiavano il murale, girando intorno a Celbedeil, Eragon fu testimone di ogni momento cruciale della storia, dall'addomesticamento delle Feldùnost alla creazione di Isidar Mithrim, dal primo incontro fra nani ed elfi alle incoronazioni dei re dei nani. I draghi apparivano di frequente, ma sempre nell'atto di incendiare e uccidere. Eragon ebbe difficoltà a trattenersi dai commenti davanti a quelle sezioni.

Rallentò il passo quando si accorse che la fascia istoriata si stava avvicinando all'evento che aveva sperato di trovare: la guerra fra elfi e draghi. Qui i nani avevano dedicato ampio spazio alle devastazioni che le due razze avevano arrecato ad Alagaésia. Eragon rabbrividì di orrore alla vista di elfi e draghi che si uccidevano a vicenda. Le battaglie si susseguivano per diverse iarde, ogni immagine più sanguinosa della precedente, finché le tenebre non s'illuminarono, mostrando un giovane elfo inginocchiato sull'orlo di una rupe, con in mano un bianco uovo di drago. «È... ?» mormorò Eragon.

«Sì, è Eragon, il Primo Cavaliere. È un ritratto fedele, poiché lui acconsentì a posare per i nostri artigiani.» Affascinato, Eragon studiò il volto del suo omonimo. L'ho sempre immaginato più vecchio. Gli occhi dal classico taglio obliquo, il naso adunco e il mento aguzzo gli conferivano un'aria feroce; era un viso remoto, completamente diverso dal suo... eppure l'atteggiamento dell'elfo, le spalle dritte e tese, gli rammentavano come si era sentito lui quando aveva trovato l'uovo di Saphira. Non siamo poi tanto diversi, tu e io, pensò, accarezzando il freddo smalto. E una volta che le mie orecchie saranno diventate come le tue, saremo davvero fratelli nel tempo... Mi domando se approveresti le mie azioni. Sapeva che avevano fatto almeno una scelta identica: entrambi avevano tenuto l'uovo. In quel momento, sentì una porta aprirsi e chiudersi; si volse e vide Arya che si avvicinava dal fondo della galleria. L'elfa scrutò la parete istoriata con la stessa espressione neutra che Eragon le aveva visto usare al cospetto del Consiglio degli Anziani. Quali che fossero le sue particolari emozioni, Eragon capì soltanto che lei trovava la situazione sgradevole.

Arya chinò la testa. «Grimstborith.»

«Arya.»

«Stai insegnando a Eragon la vostra mitologia?»

Gannel le rivolse un sorriso glaciale. «Un individuo deve sempre conoscere la fede della società cui appartiene.» «Ma la conoscenza non sempre implica la fede.» L'elfa sfiorò con l'indice il pilastro di un arco. «Né significa che coloro che alimentano tali credenze lo facciano per scopi che non siano... puramente materiali.»

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