Volodyk - Paolini2-Eldest
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Resta da vedere, pensò Eragon, se questo trasferimento di poteri sarà pacifico. Si strofinò un occhio per asciugare le ultime lacrime; la cerimonia lo aveva profondamente scosso.
Sulle ceneri del suo cordoglio cominciò a ribollire l'ansia: lo impensieriva il proprio ruolo negli eventi imminenti. Se anche tutto fosse filato liscio, lui e Saphira stavano per farsi dei nemici potenti. La sua mano si spostò su Zar'roc, stringendone il pomo.
Ci vollero parecchi minuti perché l'anfiteatro si riempisse. Poi Jòrmundur salì sul podio. «Popolo dei Varden. Quindici anni or sono ci siamo qui riuniti alla morte di Deynor. Il suo successore, Ajihad, ha fatto molto per opporsi all'Impero e a Galbatorix, più di chiunque prima di lui. Ha vinto innumerevoli battaglie contro forze superiori. Ha quasi ucciso Durza, imprimendo una scalfittura sulla lama dello Spettro. E ha accolto il Cavaliere Eragon e Saphira a Tronjheim. Tuttavia è il momento di scegliere un nuovo capo, che ci assicuri la gloria finale.»
Qualcuno dalle gradinate più in alto gridò: «L'Ammazzaspettri!»
Eragon cercò di non reagire, e fu lieto di notare che Jòrmundur non battè ciglio nel replicare: «Forse negli anni a venire, ma per il momento egli è chiamato ad altri dovéri e responsabilità. No, il Consiglio degli Anziani ha riflettuto a lungo. Ci occorre qualcuno che comprenda i nostri bisogni e i nostri desideri, qualcuno che ha vissuto e sofferto insieme a noi. Qualcuno che si è rifiutato di fuggire, anche quando la battaglia era imminente.»
In quel momento Eragon sentì che il pubblico aveva capìto. Il nome si diffuse come un sussurro esalato da mille gole e fu pronunciato da Jòrmundur stesso: «Nasuada.» Con un inchino, Jòrmundur si fece da parte.
Fu il turno di Arya. L'elfa scrutò il pubblico in attesa, poi disse: «Gli elfi onorano Ajihad questa notte... E in nome della regina Islanzadi, riconosco l'ascesa di Nasuada e le offro il medesimo sostegno e la medesima amicizia che tributavamo a suo padre. Che le stelle la proteggano.»
Rothgar salì sul podio e dichiarò asciutto: «Anch'io sostengo Nasuada, come i nostri clan.» E si allontanò subito. Toccava a Eragon. Eretto davanti alla folla, con tutti gli sguardi puntati su lui e Saphira, annunciò: «Anche noi sosteniamo Nasuada.
» Saphira ringhiò la sua approvazione.
Pronunciate le dichiarazioni, i membri del Consiglio si disposero sui lati del podio, Jòrmundur davanti a tutti. Con fiero contegno, Nasuada si avvicinò e s'inginocchiò umilmente davanti a lui, l'abito disposto in pieghe corvine. Alzando la voce, Jòrmundur disse: «Per diritto di eredita
e successione, abbiamo scelto Nasuada. Per i ineriti di suo padre e la benedizione dei suoi pari, abbiamo scelto Nasuada. Ora vi chiedo: abbiamo scelto bene?»
Il ruggito di acclamazione fu unanime. «Sì!»
Jòrmundur annuì. «E dunque, per i poteri conferiti a questo consiglio, passiamo i privilegi e le responsabilità accordati ad Ajihad alla sua unica discendente, Nasuada.» E depose un cerchietto Prendendola per mano, la fece alzare e annunciò: «Ecco la nostra nuova guida!» Per dieci minuti i Varden e i nani esultarono, gridando la loro approvazione finché l'arena non riverberò tutta del loro clamore. Una volta placati gli animi, Sabra fece cenno a Eragon, mormorando: «È tempo di mantenere la tua promessa.» In quel momento, per Eragon cessò ogni rumore. Anche il suo nervosismo scomparve, inghiottito dall'importanza del momento. Facendosi forza, con un profondo respiro, lui e Saphira si avvicinarono a Jòrmundur e Nasuada, ogni passo lungo un'eternità. Mentre camminavano, Eragon guardò Sabra, Elessari, Umérth e Falberd, notando i loro mezzi sorrisi, il loro compiacimento e, da parte di Sabra, un evidente disdegno. Alle spalle dei membri del consiglio c'era Arya, che annuì in suo sostegno.
Stiamo per cambiare la storia, disse Saphira.
Ci stiamo gettando da una rupe senza sapere quanto è profonda l'acqua di sotto.
Già, ma che volo magnifico!
Con un'occhiata fugace al volto sereno di Nasuada, Eragon s'inchinò e s'inginocchiò. Estrasse Zar'roc dal fodero, la prese di piatto con entrambe le mani e la levò, come per offrirla a Jòrmundur. Per un istante, la lama rimase fra Jòrmundur e Nasuada, in bilico fra due differenti destini. Eragon trattenne il fiato: quale semplice scelta su cui basare una vita. Più di una vita: un drago, un re, un Impero!
Poi il fiato tornò a riempirgli i polmoni, il tempo riprese a scorrere, e lui si volse verso Nasuada. «In nome del più profondo rispetto e apprezzamento per le difficoltà che incontrerai, io, Eragon, primo Cavaliere dei Varden, Ammazzaspettri e Argetlam, ti faccio dono della mia spada e della mia fedeltà, Nasuada.»
d'argento sulla fronte di Nasuada. I Varden e i nani ammutolirono, esterrefatti. Nel medesimo istante, il Consiglio degli Anziani passò dal trionfo alla rabbia impotente. I loro sguardi ardevano con la forza e il veleno di chi si sente tradito. Persino Elessari lasciò che la collera le cancellasse il suo cortese contegno. Soltanto Jòrmundur - dopo un breve sussulto di sorpresa - sembrò accettare l'annuncio con equanimità.
Nasuada sorrise e prese Zar'roc, posando la punta della spada sulla fronte di Eragon, come aveva già fatto. «Sono onorata che tu abbia scelto di servirmi, Cavaliere Eragon. Accetto, come tu accetti, tutte le responsabilità derivanti da questa posizione. Levati come mio vassallo e riprendi la tua spada.»
Eragon obbedì, poi indietreggiò insieme a Saphira. La folla balzò in piedi fra grida di esultanza; i nani pestavano gli stivali chiodati al ritmo dei guerrieri umani che battevano le spade sugli scudi.
Voltandosi sul podio, Nasuada afferrò la balaustra con le mani e guardò la folla dell'anfiteatro. Il suo volto irradiava gioia pura. «Popolo dei Varden!»
Silenzio.
«Come mio padre prima di me, darò la mia vita per voi e per la nostra causa. Non smetterò mai di combattere finché gli Urgali non saranno annientati, Galbatorix morto, e Alagaèsia ancora una volta libera!»
Un boato di applausi e grida.
«Perciò vi dico che è tempo di prepararci. Qui nel Farthen Dùr, dopo infinite schermaglie, abbiamo ottenuto la nostra più grande vittoria. È il nostro turno di reagire. Galbatorix è debole per aver perso così tante forze, e non ci sarà mai più un'occasione simile.
«Perciò, vi ripeto, è tempo di prepararci, affinchè la vittoria finale ci arrida!»
Dopo altri discorsi di svariati personaggi - fra cui un Falberd ancora schiumante di collera - l'anfiteatro cominciò a svuotarsi. Mentre Eragon si alzava per andarsene, Orik lo afferrò per un braccio e lo fermò. Il nano aveva gli occhi sgranati. «Eragon, avevi già deciso tutto?»
Eragon riflettè brevemente sull'opportunità di dirglielo, poi annuì. «Sì.»
Orik si lasciò sfuggire un lungo sospiro, scuotendo la testa. «È stata una mossa molto scaltra, direi. Hai dato a Nasuada una posizione molto forte per cominciare. Ma anche pericolosa, a giudicare dalle reazioni del Consiglio degli Anziani. Arya sapeva?»
«Ha convenuto che era necessario.»
Il nano lo studiò meditabondo. «Ne sono convinto. Ma hai appena alterato l'equilibrio dei poteri, Eragon. Nessuno oserà più sottovalutarti... Attento alla roccia che frana. Ti sei fatto dei nemici potenti, quest'oggi.» Batte il palmo sulla schiena del giovane e si allontanò.
Saphira lo osservò andar via, poi disse: Dobbiamo prepararci a lasciare il Farthen Dùr. Il Consiglio sarà assetato di vendetta. Prima ci troveremo lontani dalla loro portata, meglio sarà.
La maga, il serpente e la pergamena
Quella sera, quando tornò ai suoi alloggi dopo essersi lavato, Eragon rimase sorpreso nel trovare una donna alta che lo aspettava nel corridòio. Aveva i capelli scuri, gli occhi azzurri e le labbra atteggiate a un sorriso sardonico. Al polso portava un bracciale d'oro a forma di serpente sibilante. Eragon sperò che non fosse venuta a chiedergli consiglio, come facevano molti Varden.
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