Volodyk - Paolini2-Eldest
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Le nubi di guerra si addensano, pensò Eragon.
Nar Garzhvog
Eragon non aveva fatto che un passo sulla soglia del padiglione, con Saphira che si affacciava dietro di lui, quando il suo ingresso fu accolto da una salva di scatti metallici, mentre Jòrmundur e un'altra mezza dozzina di comandanti sguainavano le spade davanti agli intrusi. Gli uomini si affrettarono ad abbassare le lame quando Nasuada disse: «Vieni avanti, Eragon.»
«Quali ordini?» chiese Eragon.
«I nostri osservatori ci hanno riferito di una compagnia di oltre cento Kull che avanza da nordest.» Eragon s'incupì. Non si era aspettato di incontrare Urgali in questa battaglia, dato che Durza non li controllava più e che molti erano rimasti uccisi nel Farthen Dùr. Ma se erano venuti, non c'era più tempo di chiedersi come era accaduto. Si sentì ribollire il sangue e si concesse un ghigno feroce al pensiero di distruggere gli Urgali con i suoi nuovi poteri. Battendo una mano su Zar'roc, proclamò: «Sarà un piacere sterminarli. Saphira e io possiamo occuparcene da soli, se lo desideri.»
Nasuada scrutò con attenzione il suo volto e disse: «Non possiamo farlo, Eragon. Portano una bandiera bianca e hanno chiesto di parlare con me.»
Eragon la fissò sbalordito. «Non intenderai concedere loro udienza?»
«Gli riserverò la stessa cortesia che offrirei a qualsiasi nemico che sventola la bandiera della tregua.» «Ma sono dei barbari! Dei mostri! È una follia farli entrare nell'accampamento... Nasuada, ho visto le atrocità che commettono gli Urgali. Adorano il sangue e le sofferenze, e non meritano più pietà di un cane rabbioso. Non occorre che tu perda tempo per quella che è sicuramente una trappola. Di' solo una parola, e andrò più che volentieri a uccidere quelle brutali creature per te.»
«Devo ammettere» disse Jòrmundur «che in questo concordo con Eragon. Se non vuoi ascoltare noi, Nasuada, almeno dai retta a lui.»
Nasuada abbassò la voce perché soltanto Eragon udisse. «Il tuo addestramento è davvero incompiuto se sei ancora così cieco.» Poi alzò il tono, e in esso Eragon percepì le stesse adamantine note di comando che possedeva suo padre. «Voi tutti dimenticate che anch'io ho combattuto nel Farthen Dùr, e ho assistito alle atrocità degli Urgali... Tuttavia ho visto i nostri uomini commettere gesti altrettanto spregevoli. Non è mia intenzione sminuire le sofferenze che abbiamo patito per mano degli Urgali, ma nemmeno ignorare potenziali alleati quando l'Impero è in superiorità numerica così schiacciante.»
«Mia signora, è troppo pericoloso incontrarti con un Kull.»
«Troppo pericoloso?» Nasuada inarcò un sopracciglio. «Mentre sono protetta da Eragon, Saphira, Elva e tutti i miei guerrieri? Non credo.»
Eragon digrignò i denti per la frustrazione. Di' qualcosa, Saphira. Tu puoi convincerla a desistere da questo folle progetto.
No, non lo farò. La tua mente è annebbiata in questo momento.
Sei d'accordo con lei! esclamò Eragon, sgomento. Tu eri a Yazuac con me; hai visto che cos'hanno fatto gli Urgali agli abitanti del villaggio. E che mi dici di Teirm, della mia cattura a Gil'ead, e del Farthen Dùr? Ogni volta che abbiamo incontrato Urgali, hanno cercato di ucciderci, o peggio. Non sono altro che bestie spietate.
Gli elfì pensavano la stessa cosa dei draghi, durante la Du Fyrn Skulblàka.
A un cenno di Nasuada, le guardie sollevarono e legarono i lembi di stoffa dell'ingresso e dei lati del padiglione, affinchè tutti potessero vedere, e Saphira si accovacciò accanto a Eragon. Poi Nasuada si sedette sull'alto scranno, mentre Jòrmundur e gli altri comandanti si disponevano in due file parallele, in modo che chiunque volesse parlare con lei dovesse camminare fra di loro. Eragon rimase in piedi alla sua destra, Elva a sinistra.
Meno di cinque minuti dopo, un enorme ruggito di rabbia proruppe dal confine orientale dell'accampamento. La tempesta di grida e insulti si fece sempre più assordante finché non comparve un Kull solitario, che avanzava verso Nasuada, mentre una folla di Varden si divertiva a stuzzicarlo. L'Urgali - o ariete, come Eragon ricordò che venivano chiamati - teneva la testa alta e mostrava le zanne gialle, ma per il resto non reagì in alcun modo agli abusi perpetrati. Era un esemplare magnifico, alto più di otto piedi, con lineamenti forti, orgogliosi, quantunque grotteschi, un paio di enormi corna ritorte e una muscolatura possente che gli dava l'aria di chi avrebbe potuto abbattere un orso con un pugno. Indossava soltanto un cencio annodato sui lombi, alcune placche di ferro grezzo tenute insieme da brandelli di maglia, e un disco di metallo concavo fra le corna per proteggersi la testa. Sulla schiena ondeggiava una lunga, folta coda di capelli neri.
Eragon si sentì contrarre le labbra in una smorfia di puro odio; frenò a stento l'impulso di estrarre Zar'roc per attaccare. Eppure, malgrado tutto, non poteva fare a meno di ammirare il coraggio dell'Urgali nell'affrontare, solo e disarmato, un intero esercito nemico. Con sua sorpresa, trovò la mente del Kull protetta da tenaci barriere.
Quando l'Urgali si fermò davanti all'ingresso del padiglione, esitante, Nasuada ordinò alle sue guardie di intimare il silenzio alla folla. Tutti guardavano l'Urgali, chiedendosi che cosa avrebbe fatto.
L'Urgali alzò le braccia muscolose verso il cielo, trasse un potente respiro, poi spalancò la bocca ed emise un grido belluino contro Nasuada. In un lampo, il Kull si ritrovò circondato da una foresta di spade, ma non vi badò, continuando a ululare fino a svuotarsi i polmoni. Poi guardò Nasuada, ignorando le centinaia di persone che, era ovvio, non vedevano l'ora di ucciderlo, e ringhiò nel suo accento rozzo e gutturale: «Che trappola è mai questa, ledy Furianera? Mi è stato promesso un passaggio sicuro. Gli umani non rispettano forse la parola data?» Fatto un passo avanti, uno dei comandanti di Nasuada disse: «Permettici di punirlo, signora, per la sua insolenza. Una volta che gli avremo insegnato il significato del rispetto, allora potrai ascoltare il suo messaggio, qualunque esso sia.»
Eragon avrebbe voluto restare in silenzio, ma conosceva i suoi obblighi nei confronti di Nasuada e dei Varden, così si chinò su di lei e le mormorò all'orecchio: «Non era un'offesa. Quello è il loro modo di salutare i comandanti. La risposta adeguata sarebbe far cozzare le teste, ma dubito che tu voglia provarci.»
«Sono stati gli elfi a insegnartelo?» mormorò lei, senza staccare gli occhi dal Kull.
«Sì.»
«E cos'altro ti hanno insegnato sugli Urgali?»
«Molte cose» ammise lui, a malincuore.
Nasuada si rivolse al Kull, come a tutti i presenti. «I Varden non sono menzogneri come Galbatorix e l'Impero. Parla liberamente; non devi temere alcun pericolo finché siamo riuniti in consiglio sotto il vessillo della tregua.» L'Urgali grugnì e levò il mento sporgente, esponendo la gola; Eragon riconobbe il gesto d'amicizia. Abbassare la testa, per la loro razza, equivaleva a una minaccia, perché significava che un Urgali intendeva caricare con le corna. «Io sono Nar Garzhvog, della tribù dei Bolvek. Parlo a nome del mio popolo.» Sembrava che masticasse ogni parola prima di sputarla. «Gli Urgali sono odiati più di qualsiasi altra razza. Elfi, nani, umani, tutti ci danno la caccia, bruciano le nostre tane e ci cacciano dalla nostra terra.»
«Non senza buone ragioni» puntualizzò Nasuada.
Garzhvog annuì. «Non senza buone ragioni. Il nostro popolo ama la guerra. Eppure quanto spesso veniamo attaccati solo perché ci trovate ripugnanti, nella stessa misura in cui voi fate ribrezzo a noi? Dalla caduta dei Cavalieri la nostra razza ha prosperato. Le nostre tribù adesso sono così numerose che l'arida terra su cui viviamo non ci basta più.» «E così avete stretto un patto con Galbatorix.»
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