Volodyk - Paolini2-Eldest
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Orik si strinse nelle spalle. «Ho pensato che forse ti andava un po' di compagnia in questa triste notte. Arya è impegnata altrove, e non hai più Murtagh a combattere al tuo fianco.»
Quanto vorrei che ci fosse, pensò Eragon. Murtagh era stato l'unico umano in grado di eguagliare Eragon con la spada, almeno fino all'Agaeti Blòdhren. Duellare con lui era stato uno dei pochi piaceri che Eragon avesse assaporato nel periodo che avevano passato insieme. Mi piacerebbe misurarmi ancora con te, amico mio.
Ripensando a come Murtagh era rimasto ucciso - trascinato nel sottosuolo del Farthen Dùr dagli Urgali - Eragon si trovò ad affrontare una desolante verità: anche se eri un guerriero valoroso, era soltanto il caso che dettava chi doveva vivere o morire in guerra.
Orik dovette avvertire il suo stato d'animo, perché battè
il palmo sulla spalla di Eragon e disse: «Andrà tutto bene. Pensa a come si devono sentire quei soldati là fuori, sapendo che ben presto dovranno affrontare te!»
La gratitudine strappò un sorriso a Eragon. «Sono contento che tu sia venuto.»
La punta del naso di Orik arrossì, e il nano abbassò lo sguardo, rigirandosi l'arco fra le mani nodose. «Ah, be'» borbottò, «Rothgar non mi perdonerebbe mai se permettessi che ti accadesse qualcosa. E poi siamo fratelli adottivi, no?»
Attraverso Eragon, Saphira chiese: E gli altri nani? Non sono ai tuoi comandi?
Uno scintillio illuminò gli occhi di Orik. «Oh, sì, e ci raggiungeranno presto. In quanto membri del Dùrgrimst Ingietum, è nostro sacrosanto dovere combattere insieme l'Impero. Così voi due non sarete troppo vulnerabili; potrete concentrarvi a scoprire gli stregoni di Galbatorix, invece di difendervi da costanti attacchi.»
«Buona idea. Ti ringrazio.» Orik borbottò un assenso. Poi Eragon chiese: «Cosa ne pensi di Nasuada e degli Urgali?» «Ha fatto la scelta giusta.»
«Sei d'accordo con lei!»
«Sì. Non mi piace come non piace a te, ma sono d'accordo.»
Seguì un lungo silenzio. Eragon sedeva appoggiato al fianco di Saphira e guardava l'Impero, sforzandosi di tenere a bada l'apprensione crescente. I minuti passavano lenti e inesorabili. L'attesa della battaglia per lui era snervante quanto la battaglia stessa. Ingrassò la sella di Saphira, lucido il proprio usbergo e riprese a familiarizzare con le menti del Ehi Vrangr Gata, facendo di tutto pur di passare il tempo.
Un'ora dopo, percepì due esseri che si avvicinavano dalla terra di nessuno. Angela? Solembum? Perplesso e allarmato, svegliò Orik, che si era appisolato, e gli disse che cosa aveva scoperto.
Il nano aggrottò la fronte ed estrasse l'ascia di guerra dalla cintura. «Ho incontrato l'erborista soltanto un paio di volte, ma non mi sembra il tipo da tradirci. Frequenta i Varden da decenni ormai.»
«Dobbiamo comunque scoprire che cosa stava facendo» disse Eragon.
Insieme si inoltrarono nell'accampamento per intercettare la coppia che si avvicinava alle fortificazioni. Ben presto Angela arrivò nella luce, con Solembum che le trotterellava dietro. L'indovina era coperta da un lungo, scuro mantello che le consentiva di confondersi nell'ambiente circostante. Mostrando una sorprendente forza e agilità, superò le fortificazioni di diversa natura che i nani avevano eretto, volteggiando di palo in palo e saltando oltre le trincee, e infine corse giù per la scarpata dell'ultimo bastione per fermarsi, ansante, davanti a Saphira.
Gettando indietro il cappuccio, Angela rivolse ai tre un sorriso radioso. «Un comitato d'accoglienza! Gentile da parte vostra.» Mentre parlava, il corpo del gatto mannaro fu percorso da un brivido che gli increspò il pelo. Poi i suoi contorni tremolarono, come visti attraverso l'acqua, e si trasformarono nella nuda figura del giovanetto dai capelli irti. Angela frugò nella propria borsa e gli passò una tunica da ragazzo e un paio di calzoni, insieme al piccolo pugnale nero con cui combatteva.
«Che ci facevate là fuori?» chiese Orik, squadrandoli con sospetto.
«Oh, un giretto.»
«Faresti meglio a dirci la verità» disse Eragon.
Il volto dell'indovina si adombrò. «Ah, sì? Non ti fidi di me e di Solembum?» Il gatto mannaro snudò i denti aguzzi. «Non proprio» ammise Eragon, con un debole sorriso.
«Bravo» disse Angela, e gli posò una mano sulla guancia.
«Così vivrai più a lungo. Se proprio vuoi saperlo, stavo facendo del mio meglio per sconfiggere l'Impero, solo che i miei metodi non prevedono di andare in giro urlando a squarciagola e mulinando una spada.»
«E quali sarebbero i tuoi metodi?» brontolò Orik.
Lì per lì Angela non rispose, ma si tolse il mantello, lo arrotolò e infilò il fagotto nella borsa. «Preferirei non dirlo; voglio che sia ima sorpresa. Non dovrete aspettare molto per scoprirlo. Comincerà fra poche ore.»
Orik si tirò la barba. «Cosa comincerà? Se non ci dai subito una risposta precisa, ti porteremo da Nasuada. Forse lei riuscirà a ridurti alla ragione.»
«È inutile portarmi da Nasuada» ribattè Angela. «È stata lei a darmi il permesso di attraversare le linee.» «Lo dici tu» la sfidò Orik, sempre più bellicoso.
«Lo dico io» dichiarò Nasuada, sopraggiungendo alle loro spalle, come Eragon aveva già percepito. Sentì anche che era scortata da quattro Kull, fra cui Garzhvog. Scuro in volto, si voltò ad affrontarli, senza celare la rabbia che provava davanti agli Urgali.
«Mia signora» mormorò Eragon.
Orik non fu altrettanto composto; fece un balzo all'indietro lanciando una potente imprecazione e brandendo l'ascia. Quando si rese conto che non erano stati attaccati, salutò Nasuada con rispetto. Ma la sua mano non abbandonò mai il manico dell'arma e il suo sguardo non si staccò dai torreggianti Urgali. Angela sembrava non condividere i loro pregiudizi. Tributò a Nasuada il rispetto dovuto, poi si rivolse agli Urgali nel loro rauco linguaggio, e i quattro risposero con evidente entusiasmo.
Nasuada trasse Eragon in disparte per poter parlare da solo. Poi disse: «Voglio che per il momento tu metta da parte i tuoi sentimenti e giudichi quanto sto per dirti con logica e raziocinio. Lo farai?» Lui annuì, impassibile. «Bene. Sto facendo di tutto per scongiurare una sconfitta domani. Ma non servirà a niente combattere con valore, o persino mandare in rotta l'Impero, se tu» e gli piantò l'indice sul petto «resti ucciso. Capisci?» Lui annuì di nuovo. «Non c'è niente che io possa fare se Galbatorix scenderà in campo; in quel caso, dovrai affrontarlo da solo. Per lui, il Du Vrangr Gata non rappresenta una minaccia più di quanto non lo sia per te, e non li manderò allo sbaraglio senza una buona ragione.»
«Ho sempre saputo» disse Eragon «che avrei dovuto affrontare Galbatorix da solo, insieme a Saphira.» Un triste sorriso affiorò sulle labbra di Nasuada. Sembrava molto stanca nella tremula luce delle fiaccole. «Be', non c'è motivo di crearsi problemi che non esistono. È possibile che Galbatorix nemmeno ci sia.» Ma lei stessa sembrava poco convinta delle proprie parole. «Comunque, posso almeno impedirti di morire con una spada infilata nel ventre. Ho sentito che cosa intendono fare i nani, e ho pensato di sfruttare l'idea. Ho chiesto a Garzhvog e a tre dei suoi arieti di farti da guardie del corpo, purché acconsentissero, come hanno fatto, a lasciarsi esaminare la mente da te.» Eragon s'irrigidì. «Non puoi aspettarti che combatta con quei mostri. Oltretutto ho già accettato l'offerta di protezione dei nani per me e Saphira. La prenderebbero male se li allontanassi in favore degli Urgali.»
«Possono entrambi vegliare su di te» ribatte Nasuada. Il capo dei Varden guardò a lungo il volto di Eragon, in cerca di quello che non poteva dire. «Oh, Eragon. Speravo che riuscissi a guardare oltre il tuo odio. Che cos'altro faresti nei miei panni?» Sospirò quando lui rimase in silenzio. «Se c'è qualcuno che ha tutto il diritto di covare rancore per gli Urgali, quella sono io. Hanno ucciso mio padre. Eppure non posso permettere che questo interferisca sulle decisioni da prendere per il bene dei Varden... Almeno chiedi l'opinione di Saphira, prima di rispondere sì o no. Potrei ordinarti di accettare la protezione degli Urgali, ma preferirei di no.»
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