Michel Faber - A voce nuda

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A voce nuda: краткое содержание, описание и аннотация

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Un castello gotico nel bel mezzo di una foresta. Un gruppo di eccentrici musicisti alle prese con una partitura estremamente complicata e con la convivenza forzata. Le tensioni sessuali tra i membri del gruppo rivelano in realtà una più profonda, segreta nevrosi, resa ancor più minacciosa dalla clausura. E una donna fragile, alla deriva, è affascinata da strane urla nella notte... L’autore di “Il Petalo cremisi e il bianco” (2003) e di “Sotto la pelle” (2004) è nato in Olanda e cresciuto in Australia. Ora vive nelle Highlands scozzesi.

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Lui sospirò, girando la minestra con il cucchiaio.

— Tra i cinque e i dieci secondi, non serve di più, — le ricordò.

— Mm, — fece lei, l’attenzione che già vagava fuori dalla finestra sopra la spalla di Roger. Per quanto meticolosa in materia di tempi musicali, ultimamente aveva grossi problemi, nella cosiddetta vita normale, a distinguere dieci secondi da dieci anni.

— Mi auguro proprio che questo castello sia un posto allegro , — mormorò, mentre lui cominciava a mangiare. — Dovrebbe esserlo, non trovi? Per indurre persone della nostra levatura ad andarci.

Roger la rassicurò con un grugnito, la faccia leggermente arcana al bagliore del monitor attraverso il vapore della minestra.

Il Coro Courage di Roger Courage era, senza tema di esagerare, il settimo ensemble vocale più famoso del mondo. Di sicuro era più intransigente rispetto ad alcuni fra i gruppi più celebri: non era mai sceso così in basso da accompagnare i sassofonisti New Age con salmodie rinascimentali, o da gorgheggiare le solite cantilene di Lennon-McCartney nei concerti alla Royal Albert Hall.

Un dato di fatto noto a pochi era che, di tutti gli ensemble puramente vocali del mondo, il Coro Courage vantava la percentuale più alta di brani contemporanei nel suo repertorio. Mentre altri adottavano una dieta a base di successi antichi facendo sporadiche incursioni nel Ventesimo secolo, il Coro Courage era sempre pronto ad accogliere la sfida lanciata dall’avanguardia. Nessuno aveva eseguito la Stimmung di Stockhausen con altrettanta frequenza (quattro volte a Monaco, due a Birmingham e una, memorabile, a Reykjavik) e accettava sempre di buon grado l’invito ad affrontare nuove opere di compositori promettenti. Poteva rivendicare a buon diritto un’amicizia con l’ultima generazione — anzi, due dei componenti erano meno che quarantenni, e Dagmar Belotte aveva solo ventisette anni. Impavidamente lungimirante, il Coro aveva già firmato un contratto con il Festival di Barcellona del 2005 per cantare un’opera bellicosamente post-millenaristica dal titolo 2K + 5 composta dall’ enfant terrible della musica vocale spagnola, Paco Barrios.

E adesso, al gruppo venivano concesse due settimane di prove in un castello settecentesco nel Belgio rurale, per prepararsi a sguinzagliare l’impressionante Partitum Mutante di Pino Fugazza in un mondo ignaro.

♫♫

Arrivati al sei luglio, se l’aria del primo mattino inglese era ancora pungente, il mezzogiorno belga risultava decisamente soffocante. Il messaggio inviato da Dio sembrava essere che il Coro Courage non doveva lasciarsi ingannare dalla brevità del tragitto aereo e ferroviario né dalla minima differenza di latitudine: avevano oltrepassato un confine che separava due mondi a sé stanti.

Nel parcheggio di acciottolato fuori dalla stazione di Duidermonde li aspettava un minibus a undici posti, la carrozzeria giallo banana che scintillava al sole. Al posto di guida, dietro un paio di strepitosi occhialetti tondi, un giovanotto elegante occhieggiava a caccia di cantanti inglesi. Era Jan van Hoeidonck, il direttore del Benelux Contemporary Music Festival. Individuati i suoi ospiti che scendevano dal treno troppo infagottati, fece lampeggiare gli abbaglianti del minibus a rao’ di benvenuto.

— Il Coro Courage, sì? — urlò dal finestrino laterale del veicolo, quasi ad assicurarsi che non fosse un’altra banda di viaggiatori dall’aspetto straniero quella che trascinava i bagagli oltre le transenne dei binari.

Dall’alto della sua stazza, Benjamin Lamb agitò la mano in segno di saluto. Sorrideva sollevato nel vedere che non c’erano tornelli dentro i quali strizzarsi: la maledizione della sua vita di viaggiatore. Le proporzioni ragguardevoli della sua obesità erano la caratteristica precipua del Coro Courage anche se, quando qualcuno che non li aveva mai visti chiedeva come riconoscerli, Roger si limitava diplomaticamente a consigliare: «Cercate un uomo con i capelli grigio argento e gli occhiali»… lui, naturalmente.

— Ma non dovevate essere in cinque? — chiese il direttore mentre Roger, Catherine, Julian e Ben si avvicinavano alla fiancata del minibus.

— Infatti, — disse Roger, aprendo lo sportello scorrevole e caricando a bordo l’enorme valigia della moglie. — Solo che il nostro contralto viaggia con i propri mezzi.

Jan van Hoeidonck tradusse quell’espressione in olandese all’istante, e si rilassò al posto di guida mentre il Coro caricava i suoi averi. Catherine pensò che aveva l’aria di un giovanotto intelligente e alla mano, ma la colpì vederlo tutt’altro che interessato a scendere e aiutarli. Sono in un paese straniero , si disse. Non le era parso reale fino a quel momento. In aereo e in treno dormiva sempre come un cadavere, dal momento della partenza all’istante dell’arrivo.

Dopo aver caricato il proprio bagaglio accanto a quello della moglie, Roger si portò senza pensarci sulla parte anteriore del veicolo e montò accanto al direttore. Non si prese la briga di interpellare nessuno. Era fatto così.

Catherine salì sul pulmino giallo banana insieme ai componenti del Coro Courage. In puro stile britannico, si sedettero tutti quanto più possibile distante dagli altri, distribuendosi nei nove posti disponibili con precisione matematica. Vero è che a Ben Lamb servivano due posti, dati i suoi centotrenta chili di carne.

Catherine lanciò un’occhiata trasversale a Julian. Erano tre mesi che non lo vedeva, almeno così le aveva detto Roger. Sembravano più di tre anni. Di profilo, la faccia altezzosa dalle palpebre pesanti, i capelli neri all’ultima moda e gli zigomi classici lo facevano sembra un divo del cinema, stessa aria da canaglia giovane e scocciata. Avrebbe potuto essere il fratello maggiore che Catherine non aveva mai avuto, il tipo arrogante sempre pronto a buttarsi nelle intemperanze dell’età adulta con aria di sufficienza, pur non riuscendo mai a eclissare del tutto il bimbetto con i calzoni corti e un taglio di capelli dozzinale che lei serbava nel ricordo. Eppure aveva solo trentasette anni, dieci meno di lei.

Mentre il pulmino si allontanava dalla stazione, Catherine rifletté sul fatto che si sentiva quasi sempre molto più giovane degli altri, a meno che non fossero chiaramente minorenni. Non era vanità la sua; era senso di inferiorità. Tutti avevano superato il passaggio all’età adulta tranne lei. Aspettava ancora che arrivasse il suo turno.

Jan van Hoeidonck parlava con suo marito sul sedile anteriore. A sentire il direttore, sembrava che promuovesse eventi culturali dai tempi della Seconda guerra mondiale. Ma del resto avevano tutti lo stesso tono, pensò Catherine, tutti quei giovani amministratori pieni di sé. Il tizio del Barbican non era da meno: nato troppo tardi per ricordare i Beatles, parlava come se Peter Pears avesse pianto sulla sua spalla quando era morto Benjamin Britten.

Strana cosa la fiducia in se stessi, a pensarci. Catherine strizzò gli occhi per guardare fuori dal finestrino, accarezzandosi la spalla, mentre il pulmino li traghettava in un bosco piacevolmente surreale. Condotta da un autista a un nido preparato per lei dagli ammiratori, riusciva comunque a sentirsi un’imbrogliona; anche sotto un sole scintillante, viaggiando senza scosse attraverso un placido paesaggio silvestre, sentiva emergere un alito di paura. Com’era possibile? Eccola lì, un’artista di fama internazionale, a chiedersi in segreto se appariva trasandata e mentecatta agli occhi di Jan van Comesichiama che, dal canto suo, pur essendo un burocrate di primo pelo con ancora i segni dei brufoli sul collo rosa, dava i propri meriti per scontati. Perfino Roger ascoltava rispettosamente mentre Jan esponeva i suoi progetti per dirigere la nave dell’arte dei Paesi Bassi in acque nuove e inesplorate.

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