— Ma noi non la vogliamo fare più, questa guerra! — dicevano I nuovi ministri. — Noi non siamo come Giacomone!
Un giornalista andò a intervistare Gelsomino, che studiava musica per prepararsi a dare finalmente un vero concerto.
— La guerra? — disse Gelsomino. — Proponete al nemico di sospenderla e di fare al suo posto una partita di calcio. Ci sarà qualche stinco ammaccato, ma scorrerà in ogni caso pochissimo sangue.
Per fortuna l'idea piacque anche ai nemici, che di fare la guerra, in fondo, non avevano nessuna voglia.
La partita di calcio ebbe luogo la domenica successiva. Gelsomino, naturalmente, faceva il tifo contro i nemici. E si lasciò tanto trascinare dall'entusiasmo che ad un certo punto, gridando «Forza!», spedì un pallone nella rete avversaria, come aveva già fatto, se ben ricordate, una volta al suo paese.
«Non sia mai, — si disse subito Gelsomino, — che questa guerra finisca con una vittoria rubata. Qui siamo su un campo di calcio: le bugie non sono ammesse dal regolamento».
E fece subito un gol anche dall'altra parte! Al suo posto, anche voi avreste fatto lo stesso.
Ho trascritto alcune delle canzoni di Gelsomino: ce n'è di buffe, di bislacche e di serie. Voi potete scegliere quelle piacevoli e di3menticare le altre.
A re Giacomone
A me piacciono le bugie…
Non le tue, non le mie:
quelle che il muto può dire al sordo
e il sordo narrare a un topo morto,
se il topo morto quando le ascolta
fa un inchino e una giravolta.
QUANTI PESCI CI SONO NEL MARE?
A Zoppino, ghiotto di pesce
Tre pescatori di Livorno
disputarono un anno e un giorno
per stabilire e sentenziare
quanti pesci ci sono nel mare.
Disse il primo: «Ce n'è più di sette,
senza contare le acciughette!».
Disse il secondo: «Ce n'è più di mille,
senza contare scampi ed anguille!».
Il terzo disse: «Più di un milione!»
E tutti e tre avevano ragione.
A Bananito, quando fu ministro dei generi alimentari
Pulcinella ed Arlecchino
cenavano insieme in un piattino:
e se nel piatto c'era qualcosa,
chissà che cena appetitosa.
Arlecchino e Pulcinella
pranzavano insieme in una scodella:
e se la scodella vuota non era,
chissà che pranzo, quella sera.
A zia Pannocchia
Vorrei chiamarmi Dante
e scrivere un bel poema,
vorrei chiamarmi Euclide
e inventare un teorema,
vorrei chiamarmi Giotto
e far belle pitture,
vorrei essere il più bravo
in tutte le bravure.
Vorrei chiamarmi… (Mettete il vostro nome al posto dei puntini!)
come mi chiamo e sono,
per diventare ogni giorno
almeno un po' più buono.
A Romoletta, per fare la conta
An — ghin — go'
tre galline e tre cappo'
dove andavano non so:
forse andavano al mercato
a comprare il pan pepato;
forse andavano nell'orto
a beccare un porro storto;
forse andavano in città
a studiare che cento bugie
non fanno una verità.
A un somaro del paese dei bugiardi che ruggiva per parere un leone
Una volta c'era un somaro
che non sapeva di essere un somaro.
«Forse, — pensava una sera, —
sono un elefante:
difatti, non ho la criniera.
Non sono una pecora
perché non belo,
non sono un passero
perché non volo in cielo,
non sono un avvocato
perché non vado in tribunale.
Ma che sarò: un ministro? un generale?
Tu, specchio, che ne dici?
Un ciuco? Ah, questo no:
ti insegnerò ad offendere gli amici!»
E tosto castigò
l'insolente specchietto
mandandolo con un calcio
in cento pezzi più un pozzetto.
A Zoppino, per consolario della lettura del «Perfetto bugiardo»
I gatti hanno un giornale
con tutte le novità
e sull'ultima pagina
la «Piccola pubblicità».
«Cercasi casa comoda
con poltrone fuori moda:
non si accettano bambini
perché tirano la coda».
«Cerco vecchia signora
a scopo compagnia.
Precisare referenze
e conto in macelleria».
«Premiato cacciatore
cerca impiego in granaio».
«Vegetariano, scapolo,
cerca ricco lattaio».
I gatti senza casa
la domenica dopopranzo
leggono questi avvisi
più belli d'un romanzo:
per un'oretta o due
sognano ad occhi aperti,
poi vanno a prepararsi
ai notturni concerti.
Per un quadro di Bananito
Va per la strada una bambina
con un ombrello di sette colori,
sotto la pioggia grigia cammina
con quel piccolo arcobaleno:
e nel suo cuore c'è sempre il sereno.
A Bananito
Ho pensato un quadro giallo
che rappresenta un gallo,
un timballo
e un caciocavallo.
Ho pensato un quadro blu
che rappresenta un bambù,
uno zulù
e la coda di belzebù.
Ho pensato un quadro verde,
di un bel verde veronese:
rappresenta le mie tasche
verso la fine del mese.
Dedicata a Benvenuto-Mai seduto
Quanti capelli bianchi
ha il vecchio muratore?
Uno per ogni casa
bagnata dal suo sudore.
Ed il vecchio maestro,
quanti capelli ha bianchi?
Uno per ogni scolaro
cresciuto nei suoi banchi.
Quanti capelli bianchi
stanno in testa al nonnino?
Uno per ogni fiaba
che incanta il nipotino.
Dedicata a Benvenuto-Mai seduto
S'io facessi il fornaio
vorrei cuocere un pane
così grande da sfamare
tutta, tutta la gente
che non ha da mangiare.
Un pane più grande del sole,
dorato, profumato
come le viole.
Un pane così
verrebbero a mangiarlo
dall'India e dal Chilì
poveri, i bambini,
i vecchietti e gli uccellini.
Sarà una data
da studiare a memoria:
un giorno senza fame!
Il più bel giorno di tutta la storia.
Chi non ama le querce
al bosco non deve andare.
A pascolar le bisce
un pazzo non mandare.
Non ha due cervelli
chi non ha due teste.
Non accendere i lampi
se non vuoi le tempeste.
Chi ride tutti i mesi
sta allegro tutto l'anno.
Non rifiutare la luna
se te la danno.
Prima tasca il fazzoletto,
seconda tasca il portafortuna,
terza tasca il portamonete,
ma di monete non ce n'è una.
STORIA DEL PESCE-MARTELLO
Il pesce-martello è disperato:
un pesce incudine non ha trovato;
non ha trovato in alcun modo
ne un pesce-muro ne un pesce-chiodo;
non una volta gli succede
di schiacciare un pesce-piede
e nemmeno si è mai sentito
che abbia ammaccato un pesce-dito.
Perciò si lamenta: «Che ci sto a fare
se non ho niente da martellare?
Avevo una scarpa, proprio una sola
mi divertivo a batter la suola.
Uri pescatore me la pescò.
Che dovrei dirgli? Buon pranzo, buon prò».
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