Domenico Petrilli - Principi della conoscenza dell'interno e dell'esterno.

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Principi della conoscenza dell'interno e dell'esterno.: краткое содержание, описание и аннотация

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Approcci alla psicologia da un punto filosofico secondo una descrizione che abbraccia la fisica, ovvero l'essere organo e il partire da un organo della conoscenza secondo una analisi anche quantica del funzionamento cerebrale, ovvero in quanto implicita al testo e non esplicitata

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ovvero è il carattere erotico del proprio sé linearmente adiacente all’autoerotismo e dunque alla perversione, compreso il sadismo, la sublimazione. Importante la comprensione inconscia delle modalità comunicative dell’istinto di conservazione, che si esprimono necessariamente, nella dialettica essere o nulla ,visto che l’istinto ha due poli che sono vita, nutrizione, e non attacco, cui si aspira nell’istinto, e morte, la cui rappresentazione e percezione è formativo dell’attacco- fuga come distanza ed avvicinamento. Ciò dovrebbe portare ad una ratifica di Freud sulla legittimità esistenziale della pulsione di morte. Esse non promanerebbero solo dall’Io nella figura prospettica e opposta del non Io anche come oggetto, ma dall’istinto di conservazione, ovvero anche dalla parte inconscia ed essendo l’Io soprattutto conservazione, ovvero invadendo la stessa così i due settori dell’attività neuronale ,conscio ( di qui lo sbaglio in quanto l’inconscio ci dà una percezione vaga) e inconscio, di cui non abbiamo una pienamente cosciente elaborazione, e cosi via con tutto il trauma del lutto e della sua elaborazione a partire dalla soggettività della struttura della pulsione di morte. Ciò porta alla qualifica e conseguentemente, passando ad altro, al carattere dell’inconscio come non cosciente, e irrazionale, ma non in toto, e ciò struttura l’importanza dell’insight, e spiega l’utilizzo da parte di Freud dell’ipnosi, che essendo equiparata al sogno riguarda la eliminazione del conscio ovvero inconscio anche come luogo del trauma- ristrutturazione, ovvero attraverso il transfert, ed insufficienza della ipnosi per svariate ragione. Sembra che l’ipnosi determini uno slegamento ,e un rallentamento del pensiero ,che determina da un lato la non coscienza ,e il suo fondarsi sulle suggestioni, quelle anteriori e quelle dell’ordine successivamente eseguito, mentre per il resto e la suggestionabilità bisogna fare riferimento a Pavlov e al condizionamento, suggestionabilità e condizionamento che risulta essere agevole per l’adatto al riflesso condizionato, ovvero per colui su cui il condizionamento agisce e dunque anche la suggestione. Ritorniamo alla dialettica tra essere e niente, titolo dell’opera di Sartre, le cui tesi sono interessanti e per me giuste. Ossia lo strutturarsi sensistico presuppone il nulla ,a livello di elaborazione delle sensazioni, da cui in virtù dell’esplicarsi del nulla potremmo prescindere costituendoci nella dinamica dell’Io penso che si esplica attraverso la conservazione perpetrata dall’identità io sono io rispetto cui si pone la dinamica del non Io, ovvero Io che si scinde dallo spazio esterno, nullificandolo ,e nella possibilità di nullificazione si basa il prescindere che dà corpo all’ irrazionale, che determina la stasi trascendentale, e la materialistica, di predominio, tale ultima, della sensazione e della sua centralità, che ci consente la possibilità di interpretazione ,attraverso lo svolgersi del costituirsi a centrale la elaborazione, ovvero la attivazione dell’Io e di colui che per l’io lavora, servo-padrone , condeterminando la stasi materialistica nel tempo ovvero la possibilità di estroversione-edonismo. Ma la stasi materialistica che determina la interpretazione e decodificazione della materia in modalità linguistica, e rappresentativa , trascendente ,o meglio figurativa , materialistico- trascendente, rimanda al simbolo inconscio. Ci si potrebbe chiedere dove si struttura la capacità di stasi, se nel conscio o nell’inconscio, o se in entrambi. Questa ultima probabilità pone il problema tra lo strutturarsi della stasi inconscia ,rispetto alla conscia. Con ciò il concetto di stasi prescinde dalla categoria di esistenza, e presuppone un equilibrio fisso che prescinde dal movimento-vita, in cui l’equilibrio è mobile e va ricercato, il principio di costanza come ritorno alla quiete e attivazione dell’Io conservativa. Nel movimento si radica la possibilità della cosa in sé di rendersi impenetrabile, sempre che il movimento esista ,ovvero comunque esiste in noi. Ricevono una più compiuta analisi le categorie di equilibrio e movimento che hanno una strutturazione cui dovremmo con presunzione attribuire la qualità di funzioni delle sostanze. Se mai il problema è se siano sostanze, in quanto se si dovesse optare per una classificazione che si ponesse all’interno di una tesi che miri a legittimare l’idea della derivazione dalla materia e la dipendenza della nostra esistenza da un Dio esse dovrebbero assurgere alla denominazione di attributi o modi di esistenza. Tali modi ,la stasi e il movimento sono apparentemente tra loro opposti. Ciò non esclude la possibilità dell’instaurarsi della stasi nel movimento, altrimenti non si avrebbe godimento né tantomeno memoria, e questa è parte di una apparenza di opposizione in senso hegeliano, dunque dialettico, in cui il concetto del movimento e del tempo conduce ad una immutabilità necessaria del tempo in cui il movimento è esplicabile. Alle posizioni di stasi e movimento corrispondono all’interno del flusso da cui scaturisce il movimento e la molteplicità ideale, gli istinti di conservazione e la libido di cui l’aggressività è una componente degenerativa della volontà di prorompimento e appropriazione, che partecipa anche agli istinti meccanici ,anche se conservatori, di fame e sete ,che derivano ,come da una necessità imposta all’uomo, necessità che lo rende autore della distruzione e della nullificazione dell’oggetto che ingerisce anche in forma di attacco e difesa. Si potrebbero valutare da tale visuale le pulsioni di morte ,come una degenerazione dell’istinto di aggressività, che è degenerazione o specificazione della libido, data nel godimento della distruzione-omicidio e dipendenza da esso, e che potrebbe darsi derivi dalla volontà di nullificazione dell’identità io sono io espressa in volontà dell’amore dettato dalla proiezione sensibile, proiezione in quanto ideativa o rappresentativa e non percettiva, e che implica nel complesso un flusso tra soggetto e oggetto, tra soggetto e spazio esterno, che deve essere colto se si vogliono intendere le affermazioni hegeliane sulla coscienza universale. Ovvero siamo sia sul piano in tale ultimo caso della distruzione dell’edonismo assoluto dell’oggetto attraverso la distruzione di sé sia su quello del distacco dal reale nell’amore ideatorio e contemplativo della proiezione organica e mentale dell’oggetto dentro di sé, in tal caso ulteriore piacere e ritorno al reale o divorazione. Riprendendo quanto detto poco più sopra dal discorso su fatto si evince l’importanza sensistica che determina la genesi aprioristica della matematica e della geometria, come innata alla attività cerebrale, in quanto insita nella contrapposizione piccolo-grande, o meglio, piccolo incognita esterna ,che solidifica, a partire dalla quantità ovvero dal suo grado, ovvero dalla qualità e da cui associazionisticamente (processo primario a livello emotivo) deriva la categoria di rapporto. Esplicito poi anche a proposito dell’auspicio di una migliore comprensione dell’importanza sensistica del tatto in relazione agli atteggiamenti di chiusura e schiusura dell’essere rispetto all’ente ,che concretizzano e danno corpo al Dasein hedeggeriano, ovvero il dialogo tonico e la esplorazione. La nullificazione delle corrispondenti intensità delle sensazioni ,e conseguenti percezioni ,non determinerebbe stando alla nostra tesi il cessare della identità io sono io, e quindi della percezione di esistenza. Esprimiamo a livello ideale ciò, correlando il discorso alle affermazioni fatte in relazione alla tesi sulla spazialità della idea ,desumendo che la esistenza promana dalla identificazione dell’io con se stesso, e non vi è migliore espressione conservativa a prescindere dalla consapevolezza che si abbia di ciò. Tale coincidenza consente la stasi, che è racchiusa nella idea che conferisce ad essa senza dubbio la qualifica di Uno scisso ,di cui sia Platone ,ma in particolare Parmenide intuirono il carattere. L’uno è qualifica dell’essere o dell’idea? Implica divisibilità o indivisibilità e quale il suo rapportarsi allo 0 di lui minore o parte? Si rifletta. Il fatto che percepiamo qualcosa grande indipendentemente dalla vista si spiega in base alla innatezza della derivazione di materia e spirito da qualcosa di grande ,ossia l’Architettura, ovvero la Creazione, di un Dio che può essere anche il Niente, essendo il Creatore del Tutto o il legittimato all’uso del Niente. Niente che coincide nelle evidenti diversità come anche niente ed assenza di percezione ,o sensazione, determinativo la atarassia, come dimostrano anche i riflessi Pavlov e stante la vicinanza di sonno coincidente con la soppressione degli organi di senso, e assenza di movimento ed ancora con annessa aponia , la quale è derivante dalla scissione determinata o divenuta costituiva tra Io e spazio esterno o disinvestimento inteso anche come cosa che presiede al condizionamento e alla sua struttura. Ma se permane la coincidenza dell’Io il niente diviene compatibile alla stasi nella esistenza, ipotesi ,queste ambigue ,ma matematicamente rappresentabili nel flusso dello zero. L’unità dunque rappresentata dall’Uno non implica necessariamente stasi, ma la necessaria riduzione di presenza di parti , con rispetto al due che implica un flusso di diversa velocità ed esplicazione, la cui armonia realizza l’apparenza della stasi. L’importanza della parvenza con le stimolazioni scettiche che il principio comporta ,la cui derivazione espressa in termini sensistici e soggettivi è l’illusione , deriva e risiede nella impossibilità di determinare il movimento ,da cui la parvenza si struttura in impenetrabilità , o reale, che dà corpo alla tesi di non possibilità di comprensione della cosa in sé kantiana. Il niente evoca la stasi ,al pari di atarassia e aponia, il concetto di morte epicureo. L’importanza della stasi si evince anche nelle qualifiche aristoteliche di motore immobile, ma le stesse parlano di altro , ovvero della origine del movimento, e penso siano anche applicate a differenza delle parti aristoteliche sul geocentrismo. Ma se la stasi ,e la assenza di percezione coincidono, come raggiungiamo la coscienza della stasi? Si evince che necessaria alla esistenza è l’identità dell’io con se stesso e che la costituzione attuale dello stato da definirsi cosciente è strutturata sulla percezione, che a sua volta è una conseguenza del prorompimento caratteristico della libido nello spazio esterno. Bisognerebbe studiare quanta coscienza si esplichi nel prorompimento libidico, e nella conflittualità-armonia io e spazio esterno, ovvero nella sua distruzione-contemplazione, e quanta ne derivi dalla percezione di se stesso riflesso(il che implica il processo degenerativo della ragione che incontra con ciò attraverso il prorompimento libidico uno scopo, che potremmo paragonare al soddisfacimento libidico, che si esplica, invece , a livello materiale. Si potrebbe ritenere che il procedimento di elaborazione razionale goda della scissione io -spazio esterno ed interno- esterno che consente la applicazione e il prolungamento della identità io sono io nello spazio. Ovvero noi percepiamo quella stasi dell’io con se stesso attraverso il movimento, ovvero attraverso altre ipotesi che non esplicito, e il movimento è dato dal desiderio ovvero dalla conservazione che nello stesso tempo fa essere quella unità indifferente una come descrisse HegeL). Vi sono due modalità costitutive della coscienza. La prima è data dalla coscienza che si esprime nella identità io sono io ,che permette di ipotizzare la possibilità di stasi ,che dovrebbe racchiudersi nella unità della idea di sé che è pur sempre in oppositum una idea che ne legittima altre, una idea, continuando, che quindi dovrebbe essere semplice ,ossia una unità. Bisognerebbe leggere a fondo scritti di Platone e le sue lezioni visto il suo considerare sia l’Uno sia la Diade. La molteplicità corrisponde alla diade. La semplicità della idea è poi paradossale. E’ la semplicità a determinare unità e stasi. Si postula che il nulla sia in opposizione alla forma con ciò sottolineando che già la definizione implica un concetto di forma e la forma contiene anche la assenza di forma per lo meno dialetticamente, pena il vigere della follia ovvero la presenza di una perdizione. L’assenza di forma sembra, e dico sembra, contraddistinguere l’inconscio la cui assenza di forma è una conseguenza del raggiungimento nel maggior grado di attività dell’inconscio, ovvero della assenza di temporalità che si determina in virtù della impetuosità della pulsione o delle pulsioni che determina una velocità che neutralizza la percezione, e dunque è una assenza di forma funzionale e non strutturale, e non antagonista all’essere dell’organo, e neutralizza tale assenza di tempo la percezione del conscio considerato o lo scarso tempo di contatto o la bassa intensità della sensazione, fino a giungere al concetto puro della percezione della morte propria dei poli esistenza- inesistenza, ed ovviamente quella della velocità è una delle dinamiche di a-temporalità. Questa capacità del togliere e dare la forma a sé stesso come alla materia postula la ideazione, e legittima meritando dovuti approfondimenti il rapportarsi dell’essere al nulla a livello di un ideativo che diviene il percorso della azione e del suo essere, ovvero del suo essere anche un disimpasto e a livello di un materiale che differentemente incide come struttura del niente, ovvero da qui la necessità di ideazione e movimento. Cos’è il nulla? Ultimo la mia considerazione sul niente o nulla rimandando ad una lettura di Sartre con l’Essere e il Nulla e ad un testo di Italo Valent da lui redatto sulla dinamica della follia. L’uno esplicita la sua interpretazione delle codificazioni interiori al concetto di Nulla, in chiave sensistica e fisica, l’altro riporta la ricerca nell’ottica delle pulsioni di morte di Freud, e quindi in chiave idealistica e psichiatrica. Se si pone come inizio il principio di forma ed assenza di forma ,ossia essere e nulla , vi devono essere pulsioni che spingono lo spirito alla assenza di forma, e tali sono le pulsioni di morte, cui si oppone l’istinto di conservazione che dà inizio alla attività cosciente. Le pulsioni di morte hanno dunque un contatto rispetto alla legittimità del loro essere con l’inconscio, maggiore dell’istinto di conservazione e della conservazione, tranne per il nulla racchiuso nella stasi identitaria, e fattore quello di pulsioni di vita-istinto di conservazione e pulsioni di morte che scinde la demarcazione tra conscio e inconscio che esso pone. In altre parole l’istinto di conservazione si basa sulla unione delle pulsioni dell’Io ,rappresentate da quella identità, che ne legittima la esistenza con una pulsione aggressiva, il cui indice di intensità della aggressività è relativo e si affida e sfrutta per il soddisfacimento i prorompimenti della libido, ovvero un aspetto della socialità quello della soddisfazione al pari della trasformazione libidica omosessuale in pulsione sociale. Le pulsione dell’Io che rientrano in questo schema includono le pulsioni di morte ,che sono originarie, attenendo alla opposizione forma-non forma, e che racchiudono una pulsione aggressiva masochista, che si differenzia dal sadismo visto la posizione cosciente del sadico che ama l’esibizionismo della schiavizzazione ,equivalente al potere, ovvero ciò fa parte anche dell’ideatorio quale dialettica del servo e del padrone, ovvero sadomasochistica, mentre l’emotivo ci porta ad altre strutture. Tale situazione che descrive lo status quo del sadico ci rimanda ad una costituzione cosciente, per quanto originaria, in quanto risalente a quella identità che postula la coscienza, dato che nel prorompimento il cui sviluppo logico è la sottomissione all’oggetto nutritivo e meno, si denota e ne deriva la scarsa legittimazione del potere ,che implica la sottomissione del o di più soggetti alla altrui personalità cosciente, o meno, fino al concetto di distruzione di sé che non è masochismo ma sadismo ovvero la distruzione della identificazione con sè che può tradursi anche nella follia-dissociazione del sadico. La psichiatria deriva il suo natale, e in ciò sta il suo derivare dalla filosofia ,dall’opposizione tra interno e esterno. E tale opposizione, che scinde lo spazio dal senso interno che trova la sua spazialità nella materia , e che è già manifestatamente idealista, innesta l’assurgere della psichiatria a scienza dell’interno ,in opposizione alla fisica ,come esprimente le determinazioni spaziali. Le fluttuazioni delle indagini psichiatriche e il proliferare di tesi che assurgono a ipotesi sulle caratteristiche strutturali della sensazione derivano da una volontà di unificare i campi, ma la percezione della materia è soggettiva, e la oggettività deriva dalla condivisione, ovvero pur sempre è soggettiva, ed ancora oggettività per quanto anche organica, ovvero comune alla materia. E’ in tale settore , ovvero quello esplicitato sopra l’ultimo paragrafo, che si sviluppa un etica morale e la dinamica dell’influenzamento in opposizione al volere del nulla quale risultante ed espressione del risultato del nulla del sadico. La morale è innata solo se non è esterna alla identità io sono io. Si noti la mia critica, e non il criticare Kant, critica all’imperativo categorico per giungere a Platone, ovvero la mia adesione ad altro come il misticismo ,e se non fosse altro che Kant l’a-priori lo pose, e poi lo negò con la antinomia e con la struttura della ragione e il suo ruolo, e con la conseguente impossibilità del trascendente, ovvero sulla assenza di soluzione della antinomia a livello morale, perché di quello si parla anche se ci si esprime a proposito del fisico, ovvero ciò può essere visto come il bivio della ragione e il terreno della ragione stessa, ed in tal caso non sarebbe affatto una critica, ma se l’intelletto è puro deve avere un ruolo nella purezza della ragione, ovvero nel terreno della deduzione che pone in modo differente la induzione, e ciò in senso popperiano, osservazioni e logica. La prefigurazione di un giudizio delle Sacre Scritture porta ad una contestazione di Kant sia pure siano accettabili le sue tesi sullo svolgimento istituzionale della classe organizzata a clero ,e sulla utilità delle cerimonie. L’imperativo categorico non è innato, ovvero puro, ovvero non è determinato, seppure si possa fare riferimento alla sintesi pura, ma la migliore prefigurazione della retta azione è quella di Kierkegaard, seppure si possa accettare molto del parziale idealismo kantiano, comprese antinomie che antinomie non sono, ma sono possibilità dell’ esistente,e meno ,ed è per tale via che si torna all’intelletto come sede delle categorie ed anche ad Aristotele, il cui ruolo strutturale e il cui ruolo di Kant che comunque aveva buona vista riguarda altro. Ovvero una cosa non può essere e non essere allo stesso tempo, ovvero può non essere qui ed essere altrove ,e può non essere adesso ed essere dopo, ed in tale esaltazione dello spazio della possibilità propria di Hegel ma anche di Heidegger ,quale con- determinismo, tale ultimo, non materiale, la antinomia non ha senso, anche se può avere senso lo scetticismo, e con ciò la inconoscibilità, e tale ultima non è una antinomia altrimenti si cadrebbe nel pensare di sapere, e, fermo restando la legittimità teologica della ignoranza, la colpa ricade anche sulla intenzione, e sulla inescusabilità della ignoranza, teologicamente. Ma forse pure Kant alludeva riprendendo Socrate ad un presunto legame di virtù e conoscenza e con ciò siamo già altrove, ovvero al perché affidarsi al sentimento non ha senso per via del desiderativo, e codesto è uno sbaglio affermativo, e se il desiderio nel sogno si traveste ogni processo desiderativo è fatto di travestimenti e dunque con ciò sia il desiderio del bene che del male, precisando che il travestimento fa parte dell’inganno del male, in barba al vizio della superbia e precisando che il travestimento attraverso il desiderio del bene fa parte del peccato, ovvero della teologia del peccato. Siamo così arrivati a Platone e alla teoria dell’Iper- Uranio che implica una scissione tra l’io che è esistenza nella identità, e l’idea ,che comunque implica una primigenia idea del sé, e le idee. Ovvero forse la collocazione della idea ,per quanto opera, è esterna a chi l’ha pensata ed in quanto comprendente verità e illusione di verità, e la verità non è nostra fino a giungere alla delucidazione del so di non sapere, la quale celatamente è la umiltà del vero saggio. Secondo un punto di vista teoretico, lo stesso implica una presunzione di possibilità della stasi ,ovvero la idea si separa dalla identità io sono io, il che implica la considerazione di attribuzione di indipendenza a quel mondo da Platone definito super uranio, e tale separazione della idea è la stasi nel senso di non essere e essere della idea allo stesso tempo, ovvero del suo non essere soggettiva ed essere oggettiva e per quanto soggettiva nella emozione nel far parte della categoria dell’interno- esterno del pensante cui l’idea pertiene. Successivamente forse riprenderò la questione. Riprendendo e partendo dalle considerazioni di Italo Valent per una più esatta comprensione delle dinamiche culturali che sottostanno alla patologia derivante dall’esplicitarsi di ciò che racchiude il concetto storico di follia, unitamente alla percezione storica nei suoi confronti, sviluppata da parte di coloro che entrarono in contatto con persone assoggettate a tale forma di pensiero (considero insomma la pazzia una diversa forma sintetica, ovvero nel vero senso del termine dialogico) ricollego il testo al testo interessantissimo di Focault la Storia della Follia in alcuni punti medico e biologico, che spiegano tanto della angolazione del punto di vista nazista sulla follia al pari del concetto di inutilità, e ciò in quanto si danno colpe ad altri rispetto a colpe già avvenute dato che nei manicomi venivano rinchiusi come pazzi anche i mendicanti e trattavasi di un circo dove le belle signore si intrattenevano pagando come narrato da Erasmo da Rotterdam nella eresia di Elogio della Follia, il quale in realtà è una condanna. La distinzione ,su fatta, tra l’atteggiamento di annullamento e l’atteggiamento di dipendenza deve essere presa in considerazione nella esplicitazione della tipologia psicologica dei soggetti con cui veniamo in contatto, ma anche in merito all’atteggiamento di dipendenza e annullamento delle funzioni junghiane, un samsara. L’atteggiamento di annullamento dovrebbe in ulteriore analisi caratterizzare il tipo introvertito di Jung, mentre quello di dipendenza il tipo estrovertito. Nel primo caso si struttura la trascendenza che è una derivazione della astrazione, ovvero una sua direzione insita nel carattere e nell’ambiente e emergente anche nella dialettica frustrazione-onnipotenza e dilazione della onnipotenza della nutrizione, ovvero della situazione che si crea, e dell’Edipo, il peso del voler essere il Padre che ci abbandona al regno dell’ideale-ideativo, come adorazione e come distruzione, come sacro e profano o blasfemo, come Totem e come Tabù, nel secondo si struttura l’imprigionamento dell’io nella materialità della percezione sensoriale ,non solo materiale, ma anche sentimentale, e tale coacervo incastra, e da esso deriva la volontà di ripetere le percezioni che poi sono gli atteggiamenti che derivano dalla volontà di determinazione alla percezione del dato materiale, per cui la unica coscienza o ideazione deriva dal raggiungimento del desiderio di riassaporare l’oggetto, e la incapacità del bambino di controllare il rantolo, la incapacità ad esplorare, che è anche una ossessione considerata la possibilità della trama possono derivare da tale rapporto con la oggettualità. Il tipo introvertito è invece indipendente ma solo, il tipo estrovertito è dipendente e solo ma in quanto la solitudine deriva dalla soggettività e da quella scissione io-spazio ideale esterno che radica e rende innata la distinzione e la differenziazione desiderativa, ovvero quello spazio che l’estrovertito desidera e che l’introverso trascende, fino al concetto della collocazione del ritiro traumatico e del suicidio in esso , nel ritiro cui fa da contrappeso la attrazione del reale, la resistenza particolare dell’introverso e non dell’estroverso, giovandosi maggiormente nell’introverso una ricostruzione identitaria nel senso lacaniano e dunque anche desiderativo, la parte rifiuta parte del desiderio di sé quale godimento, che dovrebbe essere analizzata . La dipendenza dell’introvertito, comunque, al pari del saggio e non del folle deriva dalla necessità della assunzione di cibo, ovvero dalla adorazione del Totem, dal Sacro, dalla contemplazione, di una Madre che bisogna contemplare con il contrappeso dell’opposto a livello caratteriale, ovvero l’incesto, feno- ambientazione, e ciò nella considerazione del ruolo della follia a livello biblico, diametralmente opposto alla costruzione orientale della follia, come stadio, quella abbracciata da Nietzsche, e forse anche dai maledetti. In questa radicale distinzione –opposizione della soggettività si radica il male, ovvero due differenti modi di intendere il reale che danno luogo ad un conflitto sia soggettivo che sociale. In mezzo vi è la situazione che connota la soggettività sana , e sottolineo sana la cui sanità è data dalla constatazione che siamo in relazione o contatto con la apparente passività della materia, e con l’apparente movimento del soggetto , principi di unità nel soggetto, ed in quanto come avevano individuato gli scettici il movimento e la stasi sono difficilmente percepibili , ovvero sono il gioco della follia nel tempo e nella assenza di tempo, ma anche del sano, ovvero ancora movimento e stasi non enucleabili necessitandosi una situazione dualistica di riferimento, in realtà per quanto affermo nel finale neppure quella, ed in cui comunque la pluralità dei punti eventuali di riferimento, la disintegrazione , sembra occultare la capacità o lo stato di movimento, o di stasi del soggetto-oggetto, tranne, riprendendo, che a livello della dualità della idea che permane e della idea che muta di Bergson, e della dualità del concetto di evoluzione del prima e del dopo, i quali potrebbero essere anche illusioni in caso di una aprioristica determinazione e determinismo, ovvero l’essere oggetto di un oggetto statico che muove solo le lancette, scetticismo e contestazione ma anche sanità soggettiva e non collettiva,in una assenza di temporalità che non è ricerca blasfema di tale assenza, e ciò mentre mi interrogo, in conclusione, sui paradigmi della tartaruga ed Achille, ovvero sulla possibile illusione del prima e del poi e sulla soggettività kantiana del movimento, ossia del tempo e tale vuole essere solo una analisi critica che si muove tra la fisica e i caratteri temporali o meglio a-temporali della follia, oltre ed unitamente al fatto che si potrebbe dare del folle ad un altro essendo se stessi folli senza saperlo. La stasi e il movimento sono occultati dalla molteplicità dei punti di riferimento, ma eventualmente la assenza di percezione della stasi e del movimento derivano dalla deficienza della nostra percezione, in ogni caso annullata dalla stasi stessa, il racchiudimento in se stessi, senza luogo tranne il prima e il dopo, e sempre che si debba precisare che il dopo deve essere una schiusura, ovvero ancora derivano dall’essere della percezione stessa kantianamente, e pensate con ciò al discorso su un tempo soggettivo e su un tempo assoluto, dove collochiamo il tempo soggettivamente, ovvero ciò dà valore fondante al realismo delle affermazioni kantiane sulla esistenza della cosa in sé la cui caratteristica è la impenetrabilità, e con ciò senza riferirmi al tempo. La sostanza di un corpo non è impenetrabile , da una angolazione , ma la sua impenetrabilità deriva dalla incapacità di percepire l’interno dell’oggetto, e forse anche l’esterno, da tale punto di vista. In ciò come detto gioca un ruolo centrale il movimento, il tempo, ma la stessa comunque

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