Domenico Petrilli - Principi della conoscenza dell'interno e dell'esterno.

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Principi della conoscenza dell'interno e dell'esterno.: краткое содержание, описание и аннотация

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Approcci alla psicologia da un punto filosofico secondo una descrizione che abbraccia la fisica, ovvero l'essere organo e il partire da un organo della conoscenza secondo una analisi anche quantica del funzionamento cerebrale, ovvero in quanto implicita al testo e non esplicitata

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dimostra prima di tutto la necessità della loro derivazione non dalla materia, ovvero per lo meno una autonomia ed il fatto che la vista possa prescindere dalla visuale della materia per concentrarsi in una prospettiva ideale che non esclude una possibilità di comunicazione sia pure interno- esterno che esce da canoni, basandosi sulla impressione che il contatto non solo con la materia genera, aprendo la prospettiva ad una analisi più accurata del procedimento di elaborazione razionale cui annettiamo l’esistenza dell’inconscio, ovvero la vista pone una ricostruzione associativa basata sul concetto di contingenza temporale (spazio intercorrente tra un ricordo ed un altro) e dunque, spaziale. Quest’ultimo concetto è fisico e quindi organico e noi ci azzardiamo a proporlo con la sollecitazione a studiare le reali possibilità di estrinsecazione del cervello ,visto che stante la sua esistenza deve necessariamente esprimersi in una organicità che ha le sue dinamiche ,che ne attengono la essenza occulta. La psicofisica fechneriana rappresenta una giusta intuizione. Il lettore mi scuserà per i rinvii ma sono necessari stante la necessità etica di muoversi per essere giusti creatori di idee condivise in un ottica di rispetto per ciò che è stato scritto, sebbene la commistione delle mie affermazioni e affermazioni di altri autori presenti il rischio di presentare il mio pensiero come una derivazione. Che sia una derivazione da qualcosa è fuori dubbio ,ma che porti la necessità che presuntuosamente mi attribuisco di rivedere talune posizioni per migliorare, oltre che il progresso filosofico, anche quello scientifico ,nella sua scissione in fisico e psicologico ,inteso, tale ultimo, come interno al Sé che io richiamo solo indirettamente per occuparmi di ulteriori aspetti , riguarda questioni relative a tali termini di classificazione e indagine in altri luoghi. La equiparazione della geometria alla forma, e quindi la logica della grandezza e della relazione tra grandezze ,e non solo, implica una attribuzione di tale facoltà anche alla ragione e quindi critico Kant per aver ristretto il ruolo della ragione al solo imperativo categorico, seppure rettamente vi fa rientrare il sublime, anche come grandezza, ma bisogna dire che la sua analisi o meglio la sua sintesi fu strutturale e non funzionale, ovvero che l’inizio della psicologia si ha con il passaggio dallo strutturale al funzionale, ovvero dalla grandezza della forma alla sua piccolezza, anche importante in quanto ci si può perdere in piccolezze, ed ancora per aver ristretto la collocazione delle categorie al solo intelletto declassificando e depauperando la ragione nelle dialettiche dello scetticismo, in quanto il contatto tra ragione e intelletto è necessario ,e la razionalità pura che Kant ha ricercato risiede nella ragione e nell’intelletto, secondo un continuum non esaminato, e forse non desiderato, ovvero avendo di mira prima di tutto Legge e Comandamento a livello della ragione, e dunque l’irrazionalità ripresa e secondo Kierkegaard che la esaminò nella disperazione. Ammetto comunque tale scissione con ciò postulando la necessità della scissione della attività organica che opera nella generazione della idea, in un ottica che non è funzionale, ma strutturale , ovvero che non considera l’idea oggetto ma la struttura ed ha di mira l’armonizzarsi e combaciare di premessa e conseguenza si ma con ciò determinando la associazione che si determina nella pluralità ideale, la quale potrebbe essere rappresentata analogamente alla categoria di contatto, che esprime la coincidenza spaziale, che quindi determina la necessaria posizione, anche come conseguenza dei tessuti organici ,che presiedono a tale suddivisione del procedimento di elaborazione razionale, e questa è anche essa realtà, come dimostra la medicina già ai tempi di Lurjia e Pavlov. La scissione o distinzione è necessaria non solo alla esplicitazione figurativa, in quanto poggiante sul colore che differenzia interno ed esterno. Analisi del colore sulla vista e sue conseguenze, ossia rapporto tra visibile oggettivo e visibile soggettivo del quale ultimo un esempio si esplica nei sogni , le tracce mnesiche e il loro ruolo a prescindere dalla materia. E’ una derivazione della visione della materia la visione che configura in termini la visione ideale dei sogni o la vista può prescindere dalla materia? Lo schiudersi di questa domanda dovrebbe portarci successivamente ad una analisi delle modalità comunicative dell’inconscio sul conscio, visto che ,secondo gli studi e le tesi ,l’inconscio si esprime nella simbologia, che Jung racchiude in quanto appassionato di genetica nella simbologia collettiva, abbracciando presumibilmente e a differenza di Freud una visione non solo genetica , ovvero neuro-organica dell’inconscio. Se le immagini che l’inconscio sintetizza in simboli rappresentano una derivazione della simbologia di un inconscio collettivo lo stesso risiederebbe al nostro esterno, ovvero sarebbero trasmesse, ma dovrebbero avere una sede non trasmissiva e su cui la trasmissione genetica poggia, nonostante la modalità comunicativa genetica di tale atavico inconscio, che riaffiorerebbe in forma conscia attraverso le associazioni elaborative del pensiero ,che si esercita attraverso il procedimento di elaborazione razionale. Questo è il pensiero di Jung genetico ma anche soprannaturale, come i suoi studi sul paranormale esibiscono e mostrano. E dovremmo parlare anche ed in tal caso di impressione materiale della storia perché questo è il principio su cui si basa la genetica ,il cui sviluppo è legato alla

necessità di approfondire gli aspetti biologici e materiali.e Focault, proseguendo e spezzando, ed anche non, diceva che la classificazione serviva per soddisfare la voglia acquisitiva dello scienziato. Al contrario io affermo che la classificazione è lo specchio della capacità diversificativa della materia , e di nuovo rispecchiamenti e tendenze, unitamente ad una sua divisione rispetto a noi che potrebbe andare al di là della nostra capacità percettiva. L’importanza della divisione come ostacolo alla percezione della cosa in sé di cui cogliamo con gli studi un aspetto prescindendo dal rapporto di elementi la cui scissione attraverso apparecchiature ci diviene visibile, è ribadita ed uno studio approfondito meriterebbe lo studio della parte liquida del cervello. Che l’idea, in corrispondenza a ciò che Jung ed anche Freud che era un organicista ritenevano, si imprime nella materia, ed è ciò che avviene forse a livello organico, altrimenti si deve parlare dell’organico quale funzionale, o strutturale- funzionale, è ovviamente una idea generalmente ammessa come dimostrano le applicazioni compiuteristiche le quali esulano dalla possibilità di un mondo costituito dalla intelligenza artificiale perché non penetrano nel rapporto biologico tra tessuto ed assenza di tessuto. Il pensiero prescinde dal mio punto di vista dalla organicità della strutturazione cerebrale, aderendo a ciò che Jung tacitamente pensava, ma potrebbe pur sempre paradossalmente come in una prigione, socraticamente, lasciar segni , ricevendone una impressione la materia. Il cervello dimostra che la materia lascia un incipit, un incedere come avviene quando poggiamo il dito sulla sabbia ed è la stessa idea di Freud sulla memoria. Analizzo ora la contraddizione che deriva dall’avvicinamento a Dio attraverso il sublime offerto dalla natura la cui capacità o abilità a permetterci di cogliere Dio deriverebbe invece per Kant presumibilmente dal sentimento del bello assoluto, se non si tenesse conto dei riferimenti alla grandezza che implicherebbero una modifica non avvenuta alle tavole della Ragion pura, ovvero una modifica del ruolo dell’intelletto, e ciò in quanto le categorie sono anche geometrico- matematiche, e seppure la ragione sia pura al pari di spazio e tempo, senza la mediazione delle categorie non coglieremmo l’assolutezza del sublime, ovvero non percepiremmo la sua mostruosità-irrazionalità , e si tratta di una armonia che necessariamente ci deve portare ad un ruolo spaziale della ragione, ovvero alla analisi hegeliana. La prima impressione che deriva dalla imago Dei è quella della grandezza del Dio, e della piccolezza dell’uomo, che evoca la stessa percezione che pone la percezione dell’infante rispetto a qualunque spazio esterno da lui non percepibile e percepibile, e dunque la sintesi materialismo-idealismo e dialettica si pone in tal caso differentemente ,ossia idealisticamente. Da ciò si evince il carattere innato delle qualità geometriche ,ed in primis della grandezza, intesa come spazio interno ed esterno, ovvero intesa come riferimento ed anche interno come luogo delle possibilità ideative e ideatorie. Si coglie Dio nel sublime in conseguenza della relazione innata piccolo e grande, ovvero unità e poi quantità, ovvero in intellectu percepiendi. Con ciò tendo a teorizzare il carattere innato di più relazioni che compongono la categoria della relazione, e la relazione è l’ubi e il qui et ora hegeliano la cui migliore evoluzione è quella dell’atomismo, e relazioni tutte innate a differenza della quantità che poggia sulla differenziazione - molteplicità e quindi sulla potenza del numero matematico a livello primordiale e innato. Tornando a Freud e Jung ritengo con Freud che l’inconscio debba ricevere una sistemazione organica ad opera degli studi scientifici. Tornando all’esame della categoria piccolo-grande, individuata da Aristotele nella metafisica, come anche l’altra ovviamente importante uno e molti (questa ultima attiene maggiormente alla fisica, e alla distinzione con cui si figura la diversificazione della materia) si pongono due grandezze una definita dall’essere in una linea che determina l’involgere di una forma nella forma che rappresenta la geometria della materia permessa da colore e vuoto, ovvero non essere come non essere anche della grandezza( pensa alla distanza che si pone tra terre dello stesso colore attraverso la demarcazione di un burrone), l’altra indefinita ma non perciò invisibile, che determina lo sviluppo di ulteriori qualità sensistiche ,che prescindono dalla qualità sensistica della vista, presupponendosi così il partire della conoscenza cui tale invisibilità indefinita non invisibile appartiene anche come percezione da un incognita il cui strutturarsi dà adito alla congettura della dicotomia intuita dai greci tra essere e nulla o non essere, e dunque creazione. La grandezza della incognita struttura il nulla, istigando alla sua nullificazione che la penetrazione fa sua con il prorompimento che implica una lesione violenta dello spazio, oppure una appropriazione, una ingurgitazione, una distruzione: lo stesso implica dunque la ingestione di cibo e acqua che importa la distruzione dello spazio che si è prorotto e che opera in assonanza all’istinto di conservazione. Ci si chiede se la qualifica di forza spetti alla libido, o all’istinto di conservazione. Ritengo che essa spetti in maggior grado alla libido, nelle sue connotazioni energetiche junghiane, trovandosi l’istinto di conservazione in una situazione parassitaria rispetto cui si deve pensare alla esatta definizione di fuga e attacco, perché anche l’attacco è eros ovvero libido,

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