Xisco Bonilla - Samos

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Romanzo storico che narra le esperienze dei membri di una famiglia di pescatori greci durante la Prima Guerra Punica.
Almices Teópulos, un giovane pescatore, vive con la sua famiglia a Samo, isola del Dodecanneso greco. Il salvataggio casuale di due naufraghi, in pochi anni scatenerà la tragedia nella sua famiglia. L'anno è il 264 a.C., dopo Alessandro Magno, in Grecia, sullo sfondo Cartagine e Roma, le due superpotenze dell'epoca, che si affrontano nella Prima Guerra Punica. In un dramma appassionante i personaggi sono immersi nella guerra che li circonda, combattendo contro padroni, crisi, malattie e contrattempi del destino. Una tela che mostra la vita quotidiana del periodo preromano del Mediterraneo, dalle isole greche a Tiro, Alessandria o Cartagine. Un romanzo che combina l'evoluzione dei personaggi principali con gli eventi storici; il risultato di un'indagine approfondita che viene presentata al lettore in un'epoca tanto sconosciuta quanto affascinante: quel Mediterraneo di Cartaginesi, Romani e pirati, schiavi e liberti. Quanto potrà essere grande?

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Hermes, spaventato dalle forze naturali e soprannaturali del mondo, alzò le mani ringraziando gli dèi per il cibo che avrebbero mangiato, mormorando una semplice preghiera. I bambini, in silenzio, ascoltavano attentamente il padre mentre Niobe aveva gli occhi fissi oltre la finestra. Hermes terminò la sua preghiera e fece segno loro di iniziare a mangiare. Un unico piatto di cibo regnava sul tavolo, al suo interno delle verdure bollite accompagnate da gustosi pezzi di pesce di diversi tipi, Hermes li aveva espressamente messi da parte dalla vendita per poter celebrare il compleanno di suo figlio. Janira allungò la mano con determinazione e prese un pezzo di spigola. Almice, Telma e Nerisa la seguirono, mentre Niobe lanciava occhiate gelide e penetranti al marito.

«Avresti potuto consultarmi prima di soccorrerli. Non mi consulti mai, non sai chi sono né da dove vengono» sussurrò con una voce che suonava accusatrice mentre sbirciava il muro dietro il quale riposavano i naufraghi, nascosti alla vista, assorti nei loro pensieri.

«Aiutare le persone bisognose non è una cosa per cui bisogna consultarsi, è nostro dovere» rispose Hermes con voce calma. «Il mare non fa distinzione di tribù o razze o classi sociali, ci tratta tutti allo stesso modo. Sembra che tu dimentichi che tuo padre, come il mio, morirono ingoiati dal mare.» Sua moglie abbassò gli occhi, ricordando il padre. Il commento di suo marito l'aveva ferita. «Poseidone può essere molto convincente quando vuole, e se i nostri ospiti sono sopravvissuti, non siamo noi a dover mettere in discussione la giustizia divina.»

«Ci porteranno problemi, sono stranieri, sai che non è stata una buona idea portarli qui.» Niobe, con il volto teso e preoccupato, negava con la testa i ragionamenti del marito. I loro figli ascoltavano senza interrompere, continuando a mangiare.

«Sono cartaginesi. Mi hanno ringraziato e mi hanno chiesto di lasciarli andare il più presto possibile, ma ho rifiutato, devono recuperare le forze, non possono continuare il viaggio in quelle condizioni.» Niobe lanciò un'esclamazione alzando le mani. La sua pazienza stava per esaurirsi.

«Ti chiedono di andarsene e tu dici di no, non pensi mai a me?»

«I nostri figli devono imparare cosa è giusto e cosa non lo è. Questi uomini hanno bisogno di aiuto e nessun Teópulos glielo negherà. Non ammetto alcuna discussione al riguardo» il tono di Hermes suonava drastico.

«Avete ragione, padre» osservò Nerisa annuendo.

«Tu non ti intromettere nelle conversazioni degli adulti!» sua madre la rimproverò con uno sguardo che la trafisse. La bambina abbassò la testa.

«Che cosa gli è successo?» chiese Almice nel tentativo di ammorbidire la situazione.

«Sarà meglio che ce lo spieghino loro stessi, ora mangiamo tranquilli e quando avremo finito entreranno. Loro hanno già mangiato qualcosa prima e hanno preferito lasciarsi mangiare senza disturbarci, ci diranno tutto e li lasceremo dormire per un po' per recuperare le forze.»

Il pasto proseguì teso, in un profondo silenzio, un silenzio che nessuno spezzò. Alcune mele rosse segnarono la fine del pasto e Telma si alzò per preparare un infuso.

«Almice, esci e chiedi educatamente se vogliono entrare a bere un po' dell'infuso caldo che tua sorella sta preparando.» Il giovane si alzò incerto. «Padre, non parlo cartaginese» si scusò. «Non preoccuparti, parlano greco e ci capiscono perfettamente» spiegò il padre sorridendo.

Almice rientrò e attese accanto alla porta per lasciare entrare i naufraghi. I due uomini entrarono lentamente, inchinandosi in segno di saluto, ancora avvolti nelle loro coperte. Telma avvicinò al tavolo due sgabelli e si preparò a servire l'infuso fumante.

«Sedetevi, amici.» Hermes si alzò mentre indicava loro gli sgabelli.

«Grazie» risposero i nuovi arrivati in greco.

«Questi sono i miei figli. Oggi Almice compie dieci anni ed è già un buon pescatore.» Il giovane sembrò gonfiarsi di adulazione. «Telma è la più grande delle mie figlie, dobbiamo iniziare presto a cercarle un marito affinché ci dia nipoti forti. Nerisa e Janira sono le più piccole e con le loro risate riempiono di gioia la nostra casa.» Le bambine risero mentre Telma arrossiva.

«Vi siamo molto grati per la vostra ospitalità» il più robusto dei cartaginesi parlava un greco un po' diverso, ma era ben comprensibile. «Sono state delle giornate molto difficili quelle che abbiamo trascorso.» Guardò il suo compagno e questo annuì.

«Cosa vi è successo esattamente?» chiese Almice con indiscreta curiosità. «Come siete riusciti ad arrivare fino a qui?»

«Vedi, ragazzo, la storia è un po' lunga da raccontare, risale a diversi mesi fa e non vogliamo annoiarvi.»

«Avanti, vorremmo conoscere la vostra storia, se non vi dispiace» li incoraggiò Hermes, tenendo in mano la tazza con l'infusione.

«Va bene. Come ho detto, tutto è iniziato diversi mesi fa, quando è morto Agatocle da Messina. Conoscete Messina?» I bambini si guardarono l'un l'altro senza saperlo. Hermes annuì senza esserne sicuro e guardando di lato sua moglie. «È una città che si trova sull'isola della Sicilia, un'isola come la vostra, ma molto più grande. Bene, alla morte di Agatocle, la sua guardia d'élite, chiamati Mamertini o figli di Marte, si ribellarono contro il potere di Siracusa con l'intenzione di trasformare Messina in un regno indipendente.» I bambini e i loro genitori ascoltavano attentamente.

«Gerone, che è il nuovo legittimo re di Sicilia,» continuò l'altro naufrago, «li sconfisse e accerchiò la città di Messina; allora i Mamertini chiesero aiuto a Roma e di fronte a tanta disuguaglianza, Gerone, a sua volta, chiese aiuto alla nostra città, Cartagine, per consolidare il suo regno e in questo modo i romani non lo avrebbero catturato in una sconfitta della battaglia, poiché Messina è un città situata in un posto strategico molto importante che controlla il passaggio di tutte le merci nella penisola italica.»

«Avevamo la situazione sotto controllo» continuò il naufrago più robusto «quando le truppe romane, inviate dal console Appio Claudio, ci sorpresero sbarcando dietro le nostre linee e sconfissero le truppe del re Gerone per poi attaccarci alla nostra base del promontorio Peloro. Il fatto è che l'esercito romano era impressionante, molto ben organizzato; eppure, l'abbiamo quasi sconfitto, ma la battaglia si estese fino al mare e diverse navi, compresa la nostra, furono separate dal gruppo principale. I romani se ne accorsero e una mezza dozzina di trireme romane ci inseguirono per darci la caccia. Senza dubbio hanno pensato che Gerone stesso o un suo parente fosse su una delle nostre navi. Il primo giorno distrussero le altre due navi, noi riuscimmo a fuggire per giorni fino ad avere in vista la vostra isola.» Bevve un po' dell'infusione aromatica per schiarirsi la gola. Alla fine, la scorsa notte ci hanno dato la caccia, ci hanno abbordato di sorpresa e hanno scatenato una carneficina a bordo. Tre di noi, gettandoci in mare, siamo riusciti a sfuggire al massacro a cui siamo stati sottoposti.

«Ma voi siete solo in due» lo interruppe Almice con ansia.

«Sì, hai ragione, Ascipo è annegato poco prima dell'alba.» L'espressione dello straniero era triste.

«Ci dispiace» Hermes voleva scusare suo figlio per l'indiscrezione.

«Non preoccupatevi, sono cose che accadono, il destino che gli dèi hanno in serbo per noi è inappellabile; Melkart ed Eshmun lo sanno bene. Ora dobbiamo prepararci a tornare al più presto nel nostro Paese. Non sappiamo cosa sarà successo in Sicilia.»

«Stamattina, io e mio figlio abbiamo visto una nave romana in navigazione qui vicino.»

«È possibile, i romani sono esperti nel trovare e finire i naufraghi, forse altri compagni sono riusciti a fuggire gettandosi in acqua per cercare di salvarsi la vita.» I bambini erano rimasti con gli occhi spalancati.

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