Miguel Cervantes - Don Chisciotte della Mancia

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Don Chisciotte della Mancia: краткое содержание, описание и аннотация

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Don Chisciotte della Mancia è annoverato non solo come la più influente opera del Siglo de Oro e dell'intero canone letterario spagnolo, ma un capolavoro della letteratura mondiale nella quale si può considerare il primo romanzo moderno. Vi si incontrano, bizzarramente mescolati, sia elementi del genere picaresco sia del romanzo epico-cavalleresco, nello stile del Tirant lo Blanch e del Amadís de Gaula. I due protagonisti, Alonso Chisciano e Sancho Panza, sono tra i più celebrati personaggi della letteratura di tutti i tempi. L'opera di Cervantes fu pubblicata nel 1605 quando l'autore aveva 57 anni. Il successo fu tale che Alonso Fernández de Avellaneda, pseudonimo di un autore fino ad oggi sconosciuto, pubblicò la continuazione nel 1614. Cervantes, disgustato da questo sequel, decise di scrivere un'altra avventura del Don Quijote – la seconda parte – pubblicata nel 1615. Con oltre 500 milioni di copie, è il romanzo più venduto della storia.

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— Ma perché vossignoria vuole spogliarsi? — disse Dorotea.

— Per vedere se ci ho questo neo che disse vostro padre — rispose don Chisciotte.

— Non c'è da doversi spogliare — disse Sancio; — io lo so bene che vossignoria ha un neo appunto così in mezzo al filo delle reni: segno di uomo forte.

— Basta così — disse Dorotea; — perché con gli amici non si deve guardare alle inezie; che sia sulla spalla o che sia sul filo delle reni, importa poco: basta che ci sia un neo; sia poi dove vuol essere, ché è tutta una medesima carne. Senza dubbio, tutto già indovinò il mio buon padre come io l'ho indovinata a raccomandarmi al signor don Chisciotte, essendo colui di cui mi parlò mio padre, poiché i contrassegni del viso corrispondono a quello dell'alta fama che questo cavaliere possiede, non solo in Ispagna ma in tutta la Mancia, tanto vero che appena ebbi sbarcato ad Ossuna207, sentii dire di tante sue imprese che subito un animo mi disse che era proprio quello del quale venivo in cerca.

— Ma come poté sbarcare a Ossuna, signora mia — domandò don Chisciotte, — se non è porto di mare?

Prima però che Dorotea rispondesse, la prevenne il curato dicendo:

— La signora principessa vorrà dire che, sbarcata a Malaga, il luogo dove prima ebbe notizie di vossignoria fu ad Ossuna.

— Questo volli dire — disse Dorotea.

— E questo si deve credere — disse il curato; — ma vada avanti vostra maestà.

— Altro non c'è da dire — rispose Dorotea, — se non che, alla fine, la mia sorte è stata così favorevole in trovare il signor don Chisciotte che già mi considero e ritengo per regina e signora di tutto il mio regno, poiché egli, per sua cortesia e generosità, mi ha promesso la grazia di venir meco dovunque io lo abbia a condurre, che non sarà altrove se non a metterlo faccia a faccia con Pandafilando il Torvo perché l'ammazzi e mi restituisca ciò che contro ragione mi ha usurpato. E tutto ciò deve succedere secondo il mio desiderio, giacché così profetò Trinacrio il Sapiente, il mio buon padre; il quale lasciò anche detto e scritto in lettere caldee e greche, (ma io non le so leggere), che se questo profetato cavaliere, dopo aver troncato il collo al gigante, volesse sposarsi con me, io me gli concedessi subito, senza alcuna esitazione, per sua legittima moglie e lo mettessi in possesso del mio regno insieme con quello della mia persona.

— Che te ne pare, caro Sancio? — disse a questo punto don Chisciotte. — Non senti cosa c'è? Non te l'avevo io detto? Vedi un po' se non abbiamo già un regno da governare e una regina da sposarmici.

— Giurammio se non è così! — disse Sancio — come è vero che un gran... «finocchio» ha da essere chi non se la sposerà dopo una segatina al gorgozzule del signor Pandafilando! Eppoi, sta' a vedere che è brutta la regina! Mi possano diventare così le pulci del letto!

E ciò dicendo, spiccò due pirolette per aria dimostrando grandissima gioia; quindi andò a prender le redini della mula di Dorotea e, facendola fermare, le si mise davanti inginocchiato, supplicandola che gli concedesse di baciarle le mani in segno di sudditanza alla sua regina e signora. Chi dei circostanti non doveva ridere al vedere la pazzia del padrone e la semplicità del servo? E Dorotea, in verità, gli porse le mani a baciare, e gli promise di farlo gran signore nel suo regno quando il cielo le fosse stato così propizio che glielo facesse ricuperare e godere. Sancio la ringraziò con tali parole che tutti si misero a ridere di nuovo.

— Questa, signori — proseguì Dorotea — è la mia storia; rimane soltanto a dirvi che di quanti del mio regno presi con me, per accompagnamento, non è rimasto se non questo barbuto valente scudiero, essendo che tutti, in una gran tempesta da cui fummo colti in vista del porto, affogarono: lui ed io, su due assi, uscimmo a terra, quasi per miracolo; e, in verità, tutto è miracolo e mistero nel corso di mia vita, come avrete notato. Che se sono andata un po' troppo per le lunghe in qualcosa, ovvero non sono stata così precisa come avrei dovuto, datene pur la colpa a quello che il signor Licenziato disse quando cominciai a raccontare, che, cioè, i continui ed eccessivi affanni fanno smarrire la memoria a colui che li soffre.

— Non me la faranno smarrire a me, o alta e valente signora! — disse don Chisciotte — per quanti io ne abbia a soffrire in servirvi, per grandi e inauditi ch'essi siano. Perciò confermo di nuovo la grazia che vi ho promesso e giuro di venire con voi in capo al mondo fino a scontrarmi col fiero vostro nemico a cui spero, con l'aiuto di Dio e del mio braccio, di mozzare la testa orgogliosa col filo di questa... non voglio dire buona spada, grazie a Ginesio di Passamonte che mi portò via la mia208.

Queste parole le mormorò tra i denti: poi continuò a dire:

— E dopo avergliela mozzata e dopo avervi rimesso in pacifico possesso del vostro stato, sarà lasciato al vostro arbitrio di disporre della vostra persona come meglio vi attalenterà; e ciò perché fino a quando io abbia piena la mente e prigioniera la volontà, una volta ormai asservita la ragione, di colei... (e non aggiungo altro), non è possibile che io mi proponga, neanche per idea, di ammogliarmi, fosse pure l'araba fenice.

Tanto dispiacquero a Sancio queste ultime parole che il padrone aveva detto circa il non voler prender moglie, che, con grande stizza, alzando la voce, disse:

— Giurammio, signor don Chisciotte, che vossignoria non è proprio proprio in cervello: perché, come è possibile che stintigni a sposarsi con sì alta principessa come questa? Crede forse che la fortuna abbia a presentarle a ogni cantonata un'occasione propizia come quella che ora le si presenta? Sarebbe forse più bella la mia signora Dulcinea? No, di certo, neanche la metà; starei anzi per dire che a questa qui non gli lega neanche le scarpe. Se poi vossignoria vuole andare a cercare i fichi in vetta, povera la mia contea! Si sposi, si sposi subito, per Satanasso, acciuffi cotesto regno che le capita alle mani senza scomodarsi e quando sarà re, mi faccia marchese o governatore; quanto al resto, che il diavolo se lo porti.

Don Chisciotte che sentì dire di siffatti spropositi contro la sua signora Dulcinea, non poté reggere e levando alta la gran lancia, senza dire a Sancio una parola, senza dire né ai né bai, gli assestò due tali colpi che lo fece stramazzare a terra; e se non fosse stato che Dorotea gli gridò di non dargli ancora, indubbiamente lo avrebbe lì steso morto.

— Ma credete voi — gli disse dopo un tratto — gran villanzone, ch'io abbia sempre a dovermivi levare di tra' piedi e che altro non s'abbia a fare se non voi a peccare e io a perdonarvi? Ma levatelo dalla testa, furfante maledetto; sì, maledetto, di certo, perché hai sparlato della incomparabile Dulcinea. Ma non sapete voi, cafone, facchino, birbante, che se non fosse per il valore che lei infonde nel mio braccio, io non ne avrei neanche per ammazzare una pulce? Ditemi un po', beffeggiatore dalla lingua di vipera, ma chi vi pensate che abbia conquistato questo regno e spiccato la testa a questo gigante e fatto marchese voi (perché tutto ciò lo dò per fatto già e per cosa ormai pacifica), se non il valore di Dulcinea che si è servita del mio braccio come strumento delle sue gesta? Lei combatte in me e lei vince in me; io vivo e respiro in lei, e da lei ho vita ed essere. Furfantaccio, nato d'una troia, come siete sconoscente! Vi vedete elevato dalla polvere della terra a signore titolato e ripagate così buona azione con dir male di chi ve la fece!

Non era Sancio tanto malconcio che non sentisse quanto il padrone gli diceva; e alzandosi con certa prontezza, si andò a mettere dietro il palafreno di Dorotea e di lì disse al padrone:

— Mi dica, signore: se ha deciso di non sposarsi con questa gran principessa, è evidente che il regno non sarà suo; e non essendo suo, quali favori può farmi? Di questo io mi dolgo: si sposi vossignoria a ogni costo con questa regina ora che eccola qui come piovuta dal cielo, e poi potrà ritornarsene alla mia signora Dulcinea, ché nel mondo ce ne deve pur essere stati di re che ci abbiano avuto la ganza. Quanto alla bellezza, non ci voglio entrare, ché, in verità, se devo dire, mi piacciono tutte e due, sebbene io non abbia mai visto la signora Dulcinea.

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