Miguel Cervantes - Don Chisciotte della Mancia

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Don Chisciotte della Mancia: краткое содержание, описание и аннотация

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Don Chisciotte della Mancia è annoverato non solo come la più influente opera del Siglo de Oro e dell'intero canone letterario spagnolo, ma un capolavoro della letteratura mondiale nella quale si può considerare il primo romanzo moderno. Vi si incontrano, bizzarramente mescolati, sia elementi del genere picaresco sia del romanzo epico-cavalleresco, nello stile del Tirant lo Blanch e del Amadís de Gaula. I due protagonisti, Alonso Chisciano e Sancho Panza, sono tra i più celebrati personaggi della letteratura di tutti i tempi. L'opera di Cervantes fu pubblicata nel 1605 quando l'autore aveva 57 anni. Il successo fu tale che Alonso Fernández de Avellaneda, pseudonimo di un autore fino ad oggi sconosciuto, pubblicò la continuazione nel 1614. Cervantes, disgustato da questo sequel, decise di scrivere un'altra avventura del Don Quijote – la seconda parte – pubblicata nel 1615. Con oltre 500 milioni di copie, è il romanzo più venduto della storia.

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CAPITOLO XXIX

CHE TRATTA DEL PIACEVOLE ESPEDIENTE E PROCEDIMENTO CHE SI USÒ PER RITRARRE IL - фото 31

CHE TRATTA DEL PIACEVOLE ESPEDIENTE E PROCEDIMENTO CHE SI USÒ PER RITRARRE IL NOSTRO INNAMORATO CAVALIERE DALLA DURISSIMA VITA DI PENITENZA CHE SI ERA IMPOSTO

— Questa è, signori, la veridica storia dei miei dolorosi casi203: guardate e giudicate voi adesso se i sospiri che sentiste, le parole che ascoltaste e le lacrime che mi scaturivano dagli occhi non avevano motivo bastevole per essere anche più copiosi. Considerata poi quale è stata la mia sventura, voi vedrete che sarà inutile il conforto, poiché non ne è possibile il rimedio. Soltanto vi prego (il che facilmente potete e dovete fare) che mi vogliate consigliare dove potrò trascorrer la vita senza che la paura e il sussulto di essere scoperta da coloro che mi cercano mi uccida; perché, sebbene io sappia che il grande amore che hanno per me i miei genitori mi fa sicura di essere da essi bene accolta, è tanta la vergogna che m'invade solamente al pensare di dovere, non quale essi mi credevano, comparire alla loro presenza, che, per me, meglio bandirmi per sempre dalla loro vista anziché guardarli in volto pensando che essi guardano il mio, ben lontano da quella verecondia che si erano a ragione da me ripromessa.

Ciò detto tacque, e il volto gli si coprì di un rossore che mostrò ben chiaro l'interno rammarico e la vergogna. Nei loro animi sentirono, quei che l'avevano ascoltata, tanta commiserazione non meno che stupore per la sua sventura; e sebbene il curato volesse subito confortarla e consigliarla, Cardenio lo prevenne dicendo:

— Dunque, signora, tu sei la bella Dorotea, l'unica figlia del ricco Clenardo?

Rimase meravigliata Dorotea all'udire il nome di suo padre e al vedere di quanto poco conto fosse colui che lo pronunziava, poiché già abbiamo detto come male era vestito Cardenio; perciò gli disse:

— E chi siete voi, fratello, che conoscete così il nome di mio padre? Perché io finora, se mal non ricordo, in tutto il corso della narrazione della mia disgrazia non l'ho nominato.

— Sono — rispose Cardenio — quello sventurato di cui, secondo che voi, signora, avete detto, Lucinda affermava essere la sposa. Sono il disgraziato Cardenio cui l'ingiusto agire di colui che ha messo voi nella condizione nella quale siete, ha ridotto a farmi vedere da voi nello stato in cui mi vedete, strappato, ignudo, privo d'ogni umano conforto e, ciò che è peggio di tutto, privo di senno, poiché non l'ho se non quando piace al cielo di concedermelo per qualche breve spazio di tempo. Io, Dorotea, son quegli che mi trovai presente al torto fattomi da don Fernando e che aspettò di sentire il «sì» che Lucinda pronunziò in assenso di esser sua sposa; io sono quegli che non ebbe coraggio di vedere come andava a finire il suo svenimento né ciò che derivasse dal foglio che le fu trovato nel petto, perché il cuore non ebbe la fermezza di resistere a tante sventure in una volta. E così, lasciata la casa, lasciato di più sopportare e lasciata una lettera a uno che mi aveva dato ricetto, pregandolo che la facesse pervenire alle mani di Lucinda, me ne venni a questi luoghi solitari con proposito di terminarvi la vita che, quale mia mortale nemica, aborrii da quel momento. La sorte però non ha voluto togliermela, contentandosi di togliermi il senno, forse per serbarmi la buona ventura che ho avuto con incontrar voi; poiché essendo vero, come credo che sia, ciò che qui avete raccontato, potrebbe ancora darsi che a tutti e due il cielo avesse riserbato, nelle nostre calamità, un esito migliore di quel che noi si pensi. Perché, stabilito che Lucinda non può sposarsi con don Fernando, essendo ella mia com'ella ha dichirato tanto apertamente, né don Fernando con lei, essendo egli vostro, ben possiamo sperare che il cielo ci restituisca ciò che ci appartiene, dal momento che è tuttora esistente, né è stato ancora alienato né distrutto. E giacché abbiamo questo conforto, sorto non da una molto lontana speranza né basato su folli fantasie, vi supplico, signora, di volgere a diversa meta i vostri retti pensieri, come io intendo di fare con i miei, preparandoci ad attendere fortuna migliore, ché io vi giuro, in fede di cavaliere e di cristiano, che non vi abbandonerò finché non vi veda in possesso di don Fernando e che, se con le parole non riuscirò a indurlo a riconoscere quel che vi deve, allora mi varrò del diritto che mi dà l'essere io cavaliere e potrò a giusto titolo sfidarlo in ragione del torto che vi fa, senza badare all'offese arrecate a me, la vendetta delle quali rimetterò al cielo per venire in soccorso, sulla terra, a quelle arrecate a voi.

Le parole di Cardenio misero il colmo alla meraviglia di Dorotea che, non sapendo come render grazie a così grandi profferte, tentò di gettarglisi ai piedi per baciarglieli, ma non lo permise Cardenio. Il Licenziato rispose per entrambi, approvò il giusto ragionamento di Cardenio e, soprattutto, li pregò, consigliò e persuase di recarsi con lui al suo villaggio, dove avrebbero potuto rifornirsi delle cose che loro occorrevano e dove si sarebbe veduto modo come cercare don Fernando o come condurre Dorotea dai suoi genitori o fare ciò che più lor paresse opportuno. Cardenio e Dorotea lo ringraziarono e accettarono il favore che loro veniva offerto. Il barbiere, il quale a tutto questo era stato attento e zitto, fece anche lui il suo garbato discorso e si offrì con non minor buona voglia del curato a tutto ciò che potesse essere utile in loro servigio; raccontò pure brevemente il motivo che li aveva condotti lì nonché la strana pazzia di don Chisciotte, e come fossero in attesa del suo scudiero che ne era andato in cerca. A Cardenio tornò in mente, come un sogno, il litigio che aveva avuto con don Chisciotte e lo narrò agli altri, ma non seppe dire da cosa fu cagionata quella sua contesa.

In questo mentre udirono delle grida e videro che era Sancio Panza, il quale, non avendoli trovati nel luogo dove loro aveva detto, li chiamava forte. Gli andarono incontro e, domandandogli di don Chisciotte, egli disse loro che lo aveva trovato spogliato in camicia, secco, giallo e morto di fame, a sospirare per la sua signora Dulcinea; e che, sebbene lui gli avesse detto che ella gli ordinava di venir via di lì e di andare al Toboso, dove stava ad aspettarlo, aveva risposto essere deciso a non comparire davanti alla sua bellezza finché non avesse compiuto gesta che lo facessero degno della sua grazia. Sancio disse anche che se seguitava così, correva pericolo di non diventare imperatore, come era in obbligo, e neanche arcivescovo, che era il meno che potesse darsi. Perciò vedessero cosa bisognava fare per trarlo di là. Il Licenziato gli rispose di non darsene pena, poiché essi ne lo avrebbero tratto suo malgrado; e raccontò quindi a Cardenio e a Dorotea quel che avevano pensato per salvezza di don Chisciotte o almeno per ricondurlo a casa sua. Al che Dorotea disse che avrebbe lei fatto la parte di donzella, bisognosa di soccorso, meglio del barbiere, molto più che seco aveva vestiti con cui far vedere naturale la cosa; che lasciassero l'incarico a lei di sapere rappresentare quanto occorresse per condurre avanti il loro disegno, poiché lei aveva letto molti libri di cavalleria e sapeva bene la maniera che le afflitte donzelle usavano quando imploravano dai cavalieri erranti i loro favori.

— Allora non c'è bisogno d'altro — disse il curato — se non di mettersi subito all'opera, poiché, senza dubbio, la buona sorte ci si mostra favorevole, in quanto che, senza neanche pensarci, a voialtri, signori, ha cominciato ad aprire una via in vostro aiuto, e a noi ha agevolato quella di cui avevamo bisogno.

Dalla sua sacca cavò subito fuori Dorotea tutta una veste di certa ricca stoffa e una mantiglia di altro bel panno verde; e poi da una scatola una collana e altri gioielli con i quali si adornò in un momento, sì da parere ricca e grande dama. Tutto questo e più ancora disse che aveva portato da casa per quel che potesse occorrerle, ma che fino allora non le si era offerta occasione di averne necessità. Tutti furono quanto mai allietati dalla sua tanta grazia, leggiadria e avvenenza e ritennero don Fernando per poco buon intenditore dal momento che disprezzava così grande bellezza. Ma chi più ne fu ammirato fu Sancio Panza, sembrandogli (e così era infatti) di non aver mai visto in tutta la vita sua tanto bella creatura; e perciò domandò al curato, con grande interesse, che volesse dirgli chi era quella così bella signora e cosa cercava per quei luoghi inaccessibili.

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