Johann Widmer - Le Veglie Di Giovanni

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La MAREMMA è il territorio confinante con il Mar Tirreno compreso tra Pisa e Grosseto.
Prima della bonifica era una palude inospitale dove l'aria cattiva, (la malaria) aggravava o rendeva difficile o persino impossibile la vita delle persone.
Una canzone popolare «Maremma amara» maledice questa zona, che oggi è conosciuta come regione fertile e amata dai turisti.
Per me non è una «Maremma maledetta» come dice la canzone, ma una «Maremma benedetta», nella quale vivo e lavoro da molti anni. In questa – oserei quasi dire – «paradisiaca» regione sono ambientate le seguenti storie ed è qui che agiscono i miei personaggi.
Persone come me e come te, con tutti i rispettivi pregi e difetti.

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I poliziotti suonavano il campanello. Niente. Nessun movimento.

Mentre si accingevano a buttare giù la porta, finalmente appariva la faccia addormentata di Giacomo.

Cercavano a spiegarli il fatto.

“Sciocchezze!” era il suo commento, “questi funghi erano ok, questi signori hanno bevuto troppo, tutto qui, per altro anch’io, e adesso buona notte.”

Così parlò tornandosene nel suo letto caldo.

Nei titoli di prima pagina dei giornali della mattina dopo non si raccontava di un terribile massacro causato di nuovo da funghi.

Proprio un bel niente.

La Sagara Del Cinghiale

La caccia al cinghiale costituisce l’apice annuale della stagione venatoria, alla quale partecipa con fervore l’intera popolazione del paese. In modo attivo o passivo. Ruolo attivo come cacciatore, battitore o sponsor, ruolo passivo come criticone, piantagrane, saputello o come attivista della protezione animali.

Cacciare, questa è la grande passione degli uomini veri, qui dalle nostre parti. É la festa degli istinti maschili primordiali; per molti significa la metà della vita, raccontare la caccia e diffondere frottole... è l’altra metà.

L’abbattimento di piccoli uccelli canori, fagiani mansueti e lepri – messi lì per l’occasione - vale come prova di abilità, ma la caccia al cinghiale condotta con successo è un atto di eroismo. Grazie alle innumerevoli e terribili storie dell’orrore che circolano sin dai tempi antichi, la caccia al cinghiale viene considerata come estremamente pericolosa e, come tale, un fenomeno decisamente virile.

I paurosi seguaci di Sant’Uberto – e di questi, da noi, ne esistono parecchi – devono comunque dimostrare coraggio e virilità con la doppietta, preservando la propria vita ed il costoso vestiario da danni accidentali, ma soprattutto sparando su qualsiasi cosa che si muova. Guardando, soltanto dopo, cosa o chi sia stato colpito. Con selvagge sparatorie cercheranno forse di offrire il loro contributo contro la minaccia di sovrappopolazione del nostro pianeta.

La caccia o - meglio detto - l’incidente di caccia, serve spesso per regolare dei conti, faide famigliari o sanare liti tra vicini, ma queste sono, evidentemente, affermazioni non dimostrabili, regolarmente fatte dagli insidiosi nemici della caccia, che vorrebbero soltanto gettare discredito su questa nobile attività sportiva.

Più si avvicina il giorno dell’apertura della caccia al cinghiale, più fervidi diventano i necessari preparativi. Tutte le famiglie vengono coinvolte in una frenetica attività. Bisogna confezionare a misura le nuove tute mimetiche... nessuno vuole fare brutta figura. Bisogna procurarsi fucili nuovi o portare quelli già usati da un armaiolo per la revisione in caso di colpi mancati il cacciatore diventerebbe lo zimbello del paese.

I cani devono essere ben addestrati, bisogna sostituire il coltello da caccia perso, anche il vecchio cappello non va più bene, gli stivali non sono all’ultima moda e forse quest’anno ci si può persino permettere un binocolo nuovo o meglio ancora un walkie-talkie. Quando si tratta della caccia, niente è “abbastanza” visto che si mette in gioco il “tutto”.

Questa collettiva “febbre da caccia” finirebbe per essere un caos tutto meridionale, se non ci fosse il locale Club dei Cacciatori, che, con la sua severa organizzazione, mette ordine nelle cose. Questo Club altro non è che una sotto- organizzazione del partito locale di maggioranza, il quale elegge tutti gli anni la Commissione di Caccia, ovverosia confermare i candidati proposti dal vertice del partito. Lista unica, come al solito.

Non c’era mai stata una opposizione, fatto che di per sé avrebbe costituito una pesante infrazione alla disciplina del partito, quasi nessuno in paese avrebbe potuto permettersi una tale mancanza di rispetto.

Ciò non ostante, un bel giorno è successo l’improbabile.

Un gruppo dei giovani membri del partito si opponeva alla lista unica, con la motivazione che questo metodo di votazione fosse antidemocratico. Volevano allargare la lista, in particolare con persone della loro generazione.

Il litigio era servito!

I dirigenti del partito ed i loro – finora- compagni preferiti, non erano disposti a dialogare. Si era sempre agito così e quello che contava veramente per la caccia era l’esperienza. Non si poteva, da un momento all’altro, mettere da parte i valorosi combattenti ... e, e, e.

I giovani rimanevano inflessibili e infine minacciavano di fondare una Associazione propria.

Questo metteva la vecchia guardia in fermento. La riunione slittava alla sera successiva, di modo che tutti potessero dormirci sopra. C’era ben poco da dormire. Al contrario, le prossime ore furono rimpinzate di intrallazzi, promesse, minacce, proposte di mazzette e di dure trattative segrete.

La sera dopo il segretario del partito in persona proponeva 34 candidati per l’elezione della Commissione di Caccia, composta da 17 persone.

Dopo un animato dibattito il vertice del partito si dichiarava d’accordo. Entrambi – partito e opposizione –potevano fare 17 proposte.

Si era fatto molto tardi, motivo per derubricare l’elezione alla sera successiva.

Ciascun gruppo portava con sé i propri membri e i propri simpatizzanti.

La sala comunale era piena all’inverosimile.

Evidente che la frangia conservatrice del partito aveva organizzato una schiacciante superiorità, presentando i candidati. Tutti cacciatori esperti, compagni meritevoli del partito, rappresentanti comunali e partigiani leggendari. Contro di loro, i candidati dell’opposizione, erano giovanotti immaturi, cacciatori dilettanti e principianti, non avevano nessuna chance.

L’esito del voto sembrava già scontato sin dall’inizio a favore della vecchia guardia. Ed è proprio per questo che il partito, nella convinzione di vincere, aveva rinunciato alle solite manipolazioni. Con molta tranquillità poteva attendere il verdetto.

Dopo lo spoglio delle schede, il cielo del partito si oscurava e regnava un grande sgomento.

9 dei 17 seggi erano stato conquistati dai giovani.

La grande esultazione sovrastava il quasi altrettanto rumoroso digrignare dei denti nei ranghi del governo. La nomenclatura trascorreva il resto della notte in trattive segrete.

Qualcosa doveva essere andato storto, questo era chiaro. Chi non aveva seguito le linee-guida del partito?

Chi aveva votato per l’avversario? Quali erano i franchi tiratori?

Si voleva e si doveva di nuovo far vedere chi aveva l’ultima parola. Un’azione di pulizia si imponeva. Esistevano dei mezzi già sperimentati per far ragionare le pecorelle smarrite.

Per prima cosa c’era bisogno di una piccola correzione della procedura elettorale.

Ma all’improvviso il segretario del partito si opponeva e consigliava di accettare il voto.

Eloquenti scambi di sguardi seguirono.

Dunque, è da quella parte che tirava il vento, un vento che sapeva di tradimento.

Venivano pure consultati influenti personaggi del partito provinciale.

Anch’essi consigliavano di lasciare che le cose seguissero il loro corso perché nella situazione attuale non c’era spazio per manipolazioni senza che qualcuno se ne accorgesse. Si potrebbe anche vincere arrendendosi, e tra l’altro, non si dovevano perdere di vista le prossime elezioni del parlamento, cioè non bisognava indispettire l’elettorato giacché la situazione politica del Paese sarebbe già abbastanza confusa e richiederebbe una acuta sensibilità.

Brontolando, gli sconfitti si arrendevano.

Come da tradizione il presidente del Comitato Organizzativo venne designato dal presidente del partito.

E guarda un po’, costui nominava capo un certo Ferro, un giovane, con la misera scusa che era il suo gruppo ad aver ottenuto la maggioranza in Commissione, e pertanto il diritto alla presidenza.

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