Mentre si compiva questo lavoro chimico, Cyrus Smith fece procedere ad altre operazioni. Essi mettevano in tutto, più che zelo, un vero accanimento.
Nab e Pencroff avevano estratto il grasso del dugongo, che era stato raccolto in grandi orci di terra. Ora, si trattava di separare da questo grasso uno dei suoi elementi, la glicerina, saponificando il grasso medesimo. Per ottenere questo risultato, bastava trattarlo con la soda o la calce. Infatti, l’una o l’altra di queste sostanze, dopo aver intaccato il grasso, avrebbe dato del sapone, isolando la glicerina; ed era appunto questa che l’ingegnere voleva ottenere. La calce non gli mancava, come si sa; solo che il trattamento con la calce non poteva dare che dei saponi calcarei, insolubili e di conseguenza inutili, mentre il trattamento con la soda avrebbe fornito, invece, un sapone solubile, che avrebbe trovato la sua applicazione nei vari bisogni della pulizia domestica. Quindi Cyrus Smith, da uomo pratico, doveva preferibilmente cercar di ottenere della soda. Era difficile? No, poiché le piante marine abbondavano sulla spiaggia; salicornie, ficoidi, e tutte quelle fucacee cui appartengono le alghe e i goemoni. Fu quindi raccolta una grande quantità di queste piante, che vennero prima fatte essiccare, poi bruciare in fosse all’aria aperta. La combustione di queste piante fu mantenuta per parecchi giorni, in modo che il calore si elevasse fino a fonderne anche le ceneri, e il risultato dell’incenerimento fu una compatta massa grigiastra, che da un pezzo è conosciuta sotto il nome di «soda naturale».
Ottenuto questo risultato, l’ingegnere trattò il grasso con la soda: si ebbe così un sapone solubile e la sostanza neutra chiamata glicerina.
Ma non era ancora tutto. Occorreva ancora a Cyrus Smith, in vista della sua attività futura, un’altra sostanza: il nitrato di potassio, che è più conosciuto sotto il nome di sale di nitro o salnitro.
Cyrus Smith avrebbe potuto fabbricare questa sostanza, trattando il carbonato di potassio, che si estrae facilmente dalle ceneri dei vegetali, con acido nitrico. Ma l’acido nitrico gli mancava, ed era proprio quello che egli voleva ottenere. Si trovava così dinanzi a un circolo vizioso, da cui non sarebbe mai uscito. Fortunatamente, però, questa volta la natura gli fornì il salnitro, senza che egli avesse altro disturbo che quello di raccoglierlo. Harbert ne scoperse un giacimento al nord dell’isola, ai piedi del monte Franklin, e non vi fu altro da fare che purificarlo.
Questi diversi lavori durarono circa otto giorni. Essi erano, dunque, finiti prima che si fosse compiuta la trasformazione del solfuro in solfato di ferro. Durante i giorni che seguirono, i coloni ebbero il tempo di fabbricare dei vasi refrattari in argilla malleabile e di costruire un fornello di mattoni, di forma speciale, destinato alla distillazione del solfato di ferro, quando questo fosse stato prodotto. Tutte queste utilissime cose furono ultimate verso il 18 maggio, cioè press’a poco allorché la trasformazione chimica volgeva al suo termine. Gedeon Spilett, Harbert, Nab e Pencroff, abilmente guidati dall’ingegnere, erano divenuti i più abili operai del mondo. La necessità è, d’altronde, il maestro che più si ascolta e che meglio insegna.
Quando il mucchio di piriti fu interamente trasformato dal fuoco, il prodotto dell’operazione, consistente in solfato di ferro, solfato d’alluminio, silice, residuo di carbone e cenere, fu deposto in una vasca piena d’acqua. Si agitò questa miscela, la si lasciò posare, poi la si decantò e se ne ottenne un liquido chiaro, contenente soltanto del solfato di ferro e del solfato d’alluminio in soluzione, essendo le altre materie rimaste solide, perché insolubili. Infine, essendo questo liquido in parte evaporato, dei cristalli di solfato di ferro si depositarono sul fondo, e le acque madri, vale a dire il liquido non evaporato, che conteneva del solfato d’alluminio, furono abbandonate.
Cyrus aveva, dunque, a sua disposizione un’assai grande quantità di cristalli di solfato di ferro, dai quali si trattava ora di estrarre l’acido solforico.
Nella pratica industriale, la fabbricazione dell’acido solforico esige degli impianti costosi. Occorrono infatti grandi capannoni, attrezzature speciali, apparecchi di platino, camere di piombo inattaccabili all’acido nelle quali avviene la trasformazione, ecc. L’ingegnere non aveva certo tutti questi mezzi a sua disposizione, ma sapeva che, in Boemia soprattutto, si fabbrica l’acido solforico anche con mezzi più semplici, i quali offrono inoltre il vantaggio di produrlo a un grado superiore di concentrazione. Così si fa l’acido conosciuto sotto il nome di acido di Nordhausen.
Per ottenere l’acido solforico, a Cyrus Smith non restava da fare che una sola operazione: calcinare in un vaso chiuso i cristalli di solfato di ferro, di modo che l’acido solforico si distillasse in vapori, i quali vapori avrebbero poi prodotto l’acido per condensazione.
A questa operazione appunto servirono le terraglie refrattarie, nelle quali furono messi i cristalli, e il forno, il cui calore doveva distillare l’acido solforico. L’operazione fu condotta perfettamente a termine e il 20 maggio, dodici giorni dopo averla iniziata, l’ingegnere era in possesso dell’agente chimico che egli contava di utilizzare in seguito nei più svariati modi.
Ora, perché voleva egli possedere tale agente? Semplicemente per produrre l’acido nitrico, il che fu facile, poiché il salnitro, attaccato dall’acido solforico, gli diede precisamente l’acido nitrico per distillazione.
Ma, in fin dei conti, a quale uso avrebbe egli destinato l’acido nitrico? I suoi compagni lo ignoravano ancora, giacché egli non aveva ancora detto la sua ultima parola.
Intanto l’ingegnere raggiungeva il suo scopo con un’ultima operazione, dalla quale ottenne la sostanza che aveva richiesto tante manipolazioni.
Dopo aver preso dell’acido nitrico, egli lo mise in presenza della glicerina, ch’era stata precedentemente concentrata per evaporazione a bagnomaria, e ne ottenne, pur senza impiegare miscela refrigerante, parecchie pinte di un liquido oleoso e giallastro.
Quest’ultima operazione Cyrus Smith l’aveva fatta da solo, in disparte, lontano dai Camini, in quanto essa presentava pericoli di esplosione, e quando portò ai suoi amici un recipiente di quel liquido, si limitò a dir loro:
«Ecco la nitroglicerina!»
Infatti, quello era proprio il terribile prodotto, la cui potenza esplosiva è forse decupla di quella della polvere ordinaria e che ha già causato tante disgrazie! Tuttavia, da che è stato trovato il modo di trasformarlo in dinamite vale a dire di mescolarlo con una sostanza solida, argilla o zucchero, abbastanza porosa per trattenerlo, il pericoloso liquido ha potuto essere utilizzato con maggior sicurezza. Ma all’epoca in cui i coloni agivano nell’isola di Lincoln la dinamite non era ancora conosciuta.
«Questo è il liquore che deve far saltare i nostri macigni?» disse Pencroff, con aria abbastanza incredula.
«Sì, amico mio,» rispose l’ingegnere «e questa nitroglicerina produrrà tanto maggiore effetto, quanto più il granito duro e opporrà una resistenza più grande allo scoppio.»
«E quando vedremo ciò, signor Cyrus?»
«Domani, dopo che avremo praticato un foro da mina» rispose l’ingegnere.
L’indomani, 21 maggio, all’alba, i minatori si recarono a una insenatura che formava la riva est del lago Grant, a soli cinquecento passi dalla costa. In quel punto l’altipiano cadeva a strapiombo sulle acque, le quali erano trattenute solamente dalla cornice di granito. Era, dunque, evidente che se si abbatteva questa cornice, le acque sarebbero sfuggite per l’apertura e avrebbero formato un ruscello che, dopo essere scorso sulla superficie inclinata dell’altipiano, sarebbe andato a gettarsi sulla spiaggia. Di conseguenza, ci sarebbe stato un abbassamento generale del livello del lago e sarebbe venuta alla luce l’apertura di scarico, il che costituiva lo scopo finale.
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