Jules Verne - L’Isola Misteriosa

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L’Isola Misteriosa: краткое содержание, описание и аннотация

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Questo straordinario romanzo presenta non poche analogie con Robinson Crusoe, dello scrittore inglese Defoe, di cui Verne era un grande ammiratore. Anche qui, la situazione è press’a poco la stessa: alcuni naufraghi approdano fortunosamente su un’isola deserta e lottano disperatamente per sopravvivere. Ma se Robinson, di fronte alla natura selvaggia, incarnava l’uomo del ‘700, che si industria come può, ricorrendo ai piccoli espedienti suggeritigli dalla ragione, senza altri strumenti che le proprie mani, i cinque naufraghi protagonisti di questo libro incarnano la nuova idea dell’uomo «scientifico» qual era concepito nella seconda metà dell’800, l’uomo che domina ormai la natura in virtù di una tecnologia progredita che gli permette di trasformare rapidamente un’isola selvaggia in una colonia civile. Non a caso Robinson è un uomo comune, un marinaio, ed è solo, a lottare contro le forze cieche della natura, mentre qui siamo dì fronte a una vera e propria équipe, composta da persone di estrazione e di competenze diverse, ma guidata da un ingegnere e scienziato, Cyrus Smith…

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Si trattava, dunque, di abbattere la cornice di granito. Sotto la direzione dell’ingegnere, Pencroff, armato d’un piccone, ch’egli maneggiava accortamente e vigorosamente, attaccò il granito nel suo rivestimento esterno. Il buco che bisognava praticare nasceva da uno scalino sulla riva e doveva addentrarsi nel masso obliquamente, in modo da incontrare un livello sensibilmente inferiore a quello delle acque del lago. In quella guisa, la forza esplosiva, aprendo la roccia, avrebbe permesso alle acque di riversarsi largamente al di fuori, e, quindi, di abbassarsi sufficientemente.

Il lavoro fu lungo, giacché l’ingegnere, volendo produrre un effetto formidabile, si proponeva di consacrare non meno di dieci litri di nitroglicerina all’operazione. Ma Pencroff e Nab, dandosi il cambio, lavorarono tanto bene che verso le quattro della sera il foro per la mina era compiuto.

Rimaneva il problema dell’accensione della sostanza esplosiva. Ordinariamente la nitroglicerina s’infiamma per mezzo dell’esca di fulminato, che, scoppiando, determina l’esplosione. Occorre, infatti, un urto per provocare l’esplosione, giacché, semplicemente accesa, la nitroglicerina brucerebbe senza esplodere.

Cyrus Smith avrebbe certamente potuto fabbricare un’esca. In mancanza di fulminato, egli avrebbe potuto facilmente ottenere una sostanza analoga al cotone fulminante; poiché aveva dell’acido nitrico a sua disposizione. Questa sostanza, chiusa in una cartuccia e introdotta nella nitroglicerina, sarebbe esplosa a mezzo di una miccia e avrebbe così determinato lo scoppio.

Ma Cyrus Smith sapeva che la nitroglicerina ha la proprietà di esplodere in seguito a un urto. Egli risolse dunque, di utilizzare questa proprietà, salvo ricorrere ad altro procedimento, se quello non fosse riuscito.

Infatti, il colpo di un martello su alcune gocce di nitroglicerina sparse sulla superficie d’una pietra dura, basta a provocare l’esplosione. Ma l’operatore non poteva essere là a dare il colpo di martello, senza rimanere vittima dell’operazione. Cyrus Smith pensò dunque di sospendere a un sostegno, sopra il buco della mina, e per mezzo di una fibra vegetale, una massa di ferro pesante parecchie libbre. Un’altra lunga fibra, solforata in precedenza, veniva legata a metà della prima per una delle sue estremità, mentre l’altra estremità terminava al suolo a parecchi piedi di distanza dal buco della mina. Accesa questa

seconda fibra, essa avrebbe bruciato sino a raggiungere la prima, la quale, pigliando fuoco a sua volta, si sarebbe rotta, lasciando precipitare la massa di ferro sulla nitroglicerina.

Tutto fu, dunque, disposto in questo modo, dopo di che l’ingegnere, fatti allontanare i suoi compagni, riempì il foro da mina in guisa che la nitroglicerina arrivasse al livello dell’apertura, e ne gettò alcune gocce anche sulla superficie della roccia, sotto la massa di ferro già sospesa.

Fatto ciò, Cyrus Smith prese l’estremità della fibra solforata, l’accese, e abbandonando il luogo, ritornò ai Camini presso i compagni.

La fibra doveva bruciare per venticinque minuti, e infatti, venticinque minuti dopo rimbombò un’esplosione, di cui sarebbe impossibile dare anche una pallida idea. Tutta l’isola parve tremare dalle fondamenta. Una grande quantità di pietre si proiettò nell’aria, come se fosse stata eruttata da un vulcano. La scossa prodotta dallo spostamento d’aria fu così violenta, che le rocce dei Camini oscillarono e i coloni, benché fossero a più di due miglia dalla mina, furono buttati per terra.

Essi si rialzarono, risalirono sull’altipiano e corsero verso il luogo ove la riva del lago doveva essere stata sventrata dall’esplosione…

Un triplice evviva proruppe dai loro petti! La cornice di granito era aperta per un largo tratto! Un rapido corso d’acqua ne usciva, correva spumeggiando attraverso l’altipiano, ne raggiungeva l’orlo e si gettava da un’altezza di trecento piedi sulla spiaggia!

CAPITOLO XVIII

PENCROFF NON DUBITA PIÙ DI NULLA «L’ANTICO SBOCCO DEL LAGO» UNA DISCESA SOTTERRANEA «LA STRADA ATTRAVERSO IL GRANITO» TOP È SCOMPARSO «LA CAVERNA CENTRALE» IL POZZO INFERIORE «MISTERO» A COLPI DI PICCONE «IL RITORNO»

IL PROGETTO di Cyrus Smith era riuscito; ma egli, secondo la sua abitudine, senza manifestare alcuna soddisfazione, con le labbra strette, lo sguardo fisso, restava immobile. Harbert era entusiasta, Nab saltava dalla gioia, Pencroff dondolava la grossa testa mormorando:

«Via, è proprio bravo il nostro ingegnere!»

Infatti, la nitroglicerina aveva agito potentemente. Lo sfogo aperto al lago era di tale importanza che il volume delle acque che si riversavano dal nuovo sbocco era almeno il triplo di quello che doveva prima scaricarsi per l’antico. Poco dopo l’operazione, ne doveva seguire un abbassamento del livello del lago di almeno due piedi.

I coloni ritornarono ai Camini per prendervi picconi, bastoni ferrati, corde di fibra, un acciarino e dell’esca; indi ritornarono all’altipiano. Top li accompagnava.

Strada facendo, il marinaio non poté fare a meno di dire all’ingegnere:

«Ma sapete, signor Cyrus, che con il delizioso liquore che avete fabbricato si potrebbe far saltare l’intera nostra isola?»

«Senza dubbio: l’isola, i continenti e la terra medesima» rispose Cyrus Smith. «È solo questione di quantità.»

«Non potreste, dunque, usare la nitroglicerina per caricare le armi da fuoco?» domandò il marinaio.

«No, Pencroff, è una sostanza troppo pericolosa. Ma sarebbe invece agevole fabbricare del cotone fulminante, oppure della comune polvere da sparo, dato che abbiamo l’acido nitrico, il salnitro, lo zolfo e il carbone. Disgraziatamente, non abbiamo le armi.»

«Oh! Signor Cyrus,» rispose il marinaio «con un po’ di buona volontà…»

Decisamente, Pencroff aveva cancellato la parola «impossibile» dal dizionario dell’isola di Lincoln.

Giunti all’altipiano di Bellavista, i coloni si diressero immediatamente verso il punto del lago vicino al quale si trovava l’apertura dell’antico sbocco, che ormai doveva essere allo scoperto. Lo sbocco sarebbe divenuto praticabile, poiché le acque non vi si precipitavano più, e sarebbe stato senza dubbio facile studiarne la disposizione interna.

In pochi istanti, i coloni raggiunsero l’angolo inferiore del lago, e bastò loro un colpo d’occhio per constatare che il risultato era stato ottenuto.

Infatti, nella parete granitica del lago, e ora sopra il livello delle acque, appariva l’apertura tanto cercata. Uno stretto rilievo lasciato a nudo dalle acque permetteva di arrivarvi. L’apertura misurava circa venti piedi di larghezza, ma non ne aveva che due di altezza. Era come la bocca di una fogna al margine di un marciapiede. Non avrebbe, dunque, offerto un facile passaggio ai coloni; ma Nab e Pencroff impugnarono i loro picconi e, in meno di un’ora, ne ampliarono sufficientemente l’altezza.

Allora l’ingegnere s’avvicinò e constatò che le pareti dello sbocco, nella parte superiore, presentavano una pendenza di non più di trenta o trentacinque gradi. Esse erano, dunque, praticabili, e, purché la loro inclinazione non aumentasse, sarebbe stato facile discenderle anche fino al livello del mare. Se, dunque, come era probabilissimo, una qualche cavità esisteva nell’interno della massa granitica, si sarebbe forse potuto trovar modo di utilizzarla.

«Ebbene, signor Cyrus, che cosa ci trattiene qui?» domandò il marinaio, impaziente di avventurarsi nel cunicolo. «Vedete, Top ci ha preceduti!»

«Bene» rispose l’ingegnere. «Ma prima bisogna vederci chiaro. Nab, vai a tagliare alcuni rami resinosi.»

Nab e Harbert corsero verso le rive del lago, ombreggiate da pini e da altri alberi verdi, e tornarono tosto con dei rami che prepararono a mo’ di torce. Queste torce furono accese al fuoco dell’acciarino, e con Cyrus Smith alla testa, i coloni s’introdussero nell’oscuro budello, che le acque avevano sino a poco prima riempito.

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