Jules Verne - L’Isola Misteriosa

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L’Isola Misteriosa: краткое содержание, описание и аннотация

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Questo straordinario romanzo presenta non poche analogie con Robinson Crusoe, dello scrittore inglese Defoe, di cui Verne era un grande ammiratore. Anche qui, la situazione è press’a poco la stessa: alcuni naufraghi approdano fortunosamente su un’isola deserta e lottano disperatamente per sopravvivere. Ma se Robinson, di fronte alla natura selvaggia, incarnava l’uomo del ‘700, che si industria come può, ricorrendo ai piccoli espedienti suggeritigli dalla ragione, senza altri strumenti che le proprie mani, i cinque naufraghi protagonisti di questo libro incarnano la nuova idea dell’uomo «scientifico» qual era concepito nella seconda metà dell’800, l’uomo che domina ormai la natura in virtù di una tecnologia progredita che gli permette di trasformare rapidamente un’isola selvaggia in una colonia civile. Non a caso Robinson è un uomo comune, un marinaio, ed è solo, a lottare contro le forze cieche della natura, mentre qui siamo dì fronte a una vera e propria équipe, composta da persone di estrazione e di competenze diverse, ma guidata da un ingegnere e scienziato, Cyrus Smith…

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Né Cyrus Smith, né i suoi compagni avevano dapprima fatto attenzione allo strano contegno di Top; ma i latrati del cane divennero ben presto così frequenti, che l’ingegnere se ne preoccupò.

«Che cosa c’è, Top?» domandò.

Il cane fece parecchi salti verso il suo padrone, manifestando una vera e viva inquietudine, e si slanciò di nuovo verso la riva. Poi, tutto a un tratto, si precipitò nel lago.

«Qui, Top!» gridò Cyrus Smith, che non voleva lasciare il suo cane avventurarsi in quelle acque sospette.

«Che cosa succede, dunque, là sotto?» domandò Pencroff esaminando la superficie del lago.

«Top avrà sentito qualche anfibio» rispose Harbert.

«Un alligatore, indubbiamente» disse il giornalista.

«Non credo» rispose Cyrus Smith. «Gli alligatori si trovano solo in regioni di latitudine meno elevata.»

Intanto, Top era tornato indietro, in seguito alla chiamata del suo padrone, e aveva riguadagnato la sponda; ma non poteva starsene tranquillo; saltava in mezzo alle alte erbe, e guidato dal suo istinto, pareva seguire qualche essere invisibile, che si fosse furtivamente cacciato sotto le acque del lago, rasentandone gli orli. Nondimeno, le acque erano calme e la loro superficie non era turbata dal più lieve increspamento. Parecchie volte i coloni si fermarono sulla riva, osservando attentamente. Nulla. Ci doveva essere qualche mistero.

L’ingegnere era molto impensierito.

«Proseguiamo questa esplorazione fino alla mèta» disse.

Mezz’ora dopo, tutti erano arrivati all’angolo sudest del lago e si ritrovarono ancora sull’altipiano di Bellavista. A questo punto l’esame delle rive del lago doveva considerarsi terminato, e pur tuttavia l’ingegnere non aveva potuto scoprire dove e come si operava lo scarico delle acque.

«Eppure, lo scarico deve esistere,» egli ripeteva «e poiché non è all’esterno, bisogna ch’esso sia scavato nell’interno della massa granitica della costa!»

«Ma che importanza annettete a tale scoperta, caro Cyrus?» domandò Gedeon Spilett.

«Un’importanza abbastanza grande,» rispose l’ingegnere «poiché, se la dispersione delle acque si compie attraverso la massa granitica, è probabile che vi si possa trovare qualche cavità, che sarebbe facile rendere abitabile, dopo averne allontanato le acque.»

«Ma non può darsi, signor Cyrus, che le acque scorrano lungo il fondo stesso del lago,» disse Harbert «e che vadano al mare per un condotto sotterraneo?»

«Può essere, infatti,» rispose l’ingegnere «e, se così è, saremo obbligati a costruire noi stessi la nostra casa, poiché la natura non ha fatto le prime spese di costruzione.»

I coloni si accingevano, dunque, ad attraversare l’altipiano per ritornare ai Camini, giacché erano le cinque di sera, quando Top diede nuovi segni di agitazione. Esso abbaiava rabbiosamente, e, prima ancora che il suo padrone potesse trattenerlo, si precipitò una seconda volta nel lago.

Tutti corsero verso la riva. Il cane ne era già lontano più di venti piedi e Cyrus Smith lo richiamava vivamente, quando una testa enorme emerse dalla superficie delle acque, che non parevano profonde in quel punto.

Harbert riconobbe subito la specie di anfibio cui apparteneva quella testa conica dai grossi occhi, decorata da baffi di lunghi peli setolosi.

«Un lamantino!» gridò.

Non era un lamantino, ma un esemplare di questa specie, appartenente all’ordine dei cetacei, portante il nome di dugongo, perché le sue narici sono aperte nella parte superiore del muso:

L’enorme animale s’era precipitato sul cane, che cercò invano di evitarlo ritornando verso la sponda. L’ingegnere non poteva far nulla per salvarlo e prima ancora che fosse venuto in mente a Gedeon Spilett o ad Harbert di armare gli archi, Top, afferrato dal dugongo, scomparve sott’acqua.

Nab, con il suo spiedo di ferro in mano, voleva gettarsi in soccorso di Top, deciso a combattere il formidabile animale persino nel suo elemento.

«No, Nab» disse l’ingegnere, trattenendo il suo coraggioso servitore. Frattanto, una lotta si svolgeva sott’acqua, lotta inesplicabile, giacché Top non poteva evidentemente resistere in quelle condizioni, lotta che doveva essere terribile, come si poteva indovinare dalla straordinaria agitazione della superficie del lago; lotta, insomma, che non poteva finire se non con la morte del cane! Ma improvvisamente, in mezzo a un cerchio di spuma, si vide ricomparire Top. Lanciato in aria da qualche forza ignota a una altezza di dieci piedi sulla superficie del lago, esso ricadde in mezzo alle acque profondamente sconvolte e riguadagnò in breve la riva senza ferite gravi, miracolosamente salvo.

Cyrus Smith e i suoi compagni guardavano senza capire. Circostanza non meno inspiegabile, si sarebbe detto che la lotta continuasse ancora sott’acqua.

Indubbiamente il dugongo, attaccato da qualche animale più possente dopo aver lasciato il cane, si batteva ora per suo conto.

Ma lo spettacolo non durò a lungo. Le acque si arrossarono di sangue e il corpo del dugongo, emergente da una gran chiazza scarlatta, che si propagava largamente, venne poco dopo ad arenarsi su di un piccolo greto, all’angolo sud del lago.

I coloni accorsero. Il dugongo era morto. Era un enorme animale, lungo dai quindici ai sedici piedi, che doveva pesare dalle tre alle quattromila libbre. Nel suo collo s’apriva una ferita, che sembrava essere stata fatta con una lama tagliente.

Qual era l’anfibio che aveva potuto eliminare con un colpo così terribile il formidabile dugongo? Nessuno avrebbe potuto dirlo. Abbastanza preoccupati da questo incidente, Cyrus Smith e i compagni fecero ritorno ai Camini.

CAPITOLO XVII

VISITA AL LAGO «LA CORRENTE INDICATRICE» I PROGETTI DI CYRUS SMITH «IL GRASSO DEL DUGONGO» USO DELLE PIRITI SCHISTOSE «IL SOLFATO DI FERRO» COME SI FA LA GLICERINA «IL SAPONE» IL SALNITRO «ACIDO SOLFORICO» ACIDO NITRICO «LA NUOVA CASCATA»

L’INDOMANI, 7 maggio, Cyrus Smith e Gedeon Spilett, lasciando Nab a preparare la colazione, salirono sull’altipiano di Bellavista, mentre Harbert e Pencroff risalivano lungo il fiume, per rinnovare la provvista di legna.

L’ingegnere e il cronista giunsero in breve al piccolo greto, posto alla punta sud del lago, sul quale l’anfibio morto era rimasto incagliato. Già stormi d’uccelli s’erano avventati su quella massa carnosa, e bisognò scacciarli a sassate, poiché Cyrus Smith desiderava conservare il grasso dell’animale è utilizzarlo per le necessità della colonia. Quanto alla carne del bestione, essa poteva anche fornire un eccellente nutrimento, dato che in certe regioni della Malesia essa è particolarmente riservata alla tavola dei principi indigeni. Ma ciò sarebbe stato compito di Nab.

In quel momento, Cyrus Smith aveva altri pensieri per il capo. L’incidente del giorno precedente non si era affatto cancellato dalla sua mente, e non cessava di preoccuparlo. Egli avrebbe voluto penetrare il mistero di quel combattimento sottomarino e sapere che genere di mastodonte o altro mostro marino avesse prodotto una ferita così strana al dugongo.

L’ingegnere se ne stava dunque là, sull’orlo del lago, guardando, osservando: ma nulla si scorgeva sotto le acque tranquille, che scintillavano ai primi raggi del sole.

Intorno al piccolo greto su cui giaceva il corpo dell’anfibio, l’acqua era poco profonda; ma da quel punto il fondo del lago si abbassava a poco a poco, e probabilmente verso il centro la profondità doveva essere notevole. Il lago poteva essere considerato come un’ampia vasca, riempita dalle acque del Creek Rosso.

«Dunque, Cyrus,» disse il giornalista «mi pare che queste acque non presentino niente di sospetto.»

«No, caro Spilett,» rispose l’ingegnere «e non so davvero come spiegare l’incidente di ieri!»

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