Il secondo cannone fu puntato sulle estreme rocce della punta del Relitto e il proiettile, colpendo una pietra aguzza a circa tre miglia da GraniteHouse, la fece volare in schegge.
Era Harbert che aveva puntato il cannone e sparato, e fu molto fiero del suo colpo di prova. Ma Pencroff ne fu più fiero di lui! Un colpo simile, e tutto il merito spettava al suo caro ragazzo!
Il terzo proiettile, lanciato stavolta sulle dune che formavano la costa superiore della baia dell’Unione, colpì la sabbia a una distanza di almeno quattro miglia; poi, dopo aver rimbalzato, si perdette in mare, entro una nube di spuma.
Per il quarto pezzo Cyrus Smith forzò un poco la carica, allo scopo di provarne l’estrema portata. Poi fu accesa la miccia a mezzo di una lunga corda, poiché ognuno s’era tratto in disparte per l’eventualità che esplodesse.
Fu udita una violenta detonazione, ma il pezzo aveva resistito, e i coloni, che s’erano precipitati alla finestra, poterono vedere il proiettile sfiorare, smussandole, le rocce del capo Mandibola, a circa cinque miglia di distanza da GraniteHouse, e scomparire poi nel golfo del Pescecane.
«Ebbene, signor Cyrus,» esclamò Pencroff, i cui evviva avrebbero potuto gareggiare con le detonazioni prodotte dalle cannonate «che cosa dite della nostra batteria? Tutti i pirati del Pacifico non hanno che da presentarsi davanti a GraniteHouse! Non uno sbarcherà adesso senza il nostro permesso!»
«Credete a me, Pencroff,» rispose l’ingegnere «è meglio non farne l’esperienza.»
«A proposito!» riprese il marinaio «e dei sei furfanti che s’aggirano per l’isola, che cosa ne faremo? Li lasceremo scorrazzare per le nostre foreste, i nostri campi, le nostre praterie? Sono veri giaguari, quei pirati, e mi sembra che non dobbiamo esitare a trattarli come tali. Che cosa ne pensate, Ayrton?» soggiunse Pencroff voltandosi verso il compagno.
Ayrton esitò sulle prime a rispondere, e Cyrus Smith deplorò che Pencroff gli avesse un po’ sbadatamente rivolto quella domanda; provò, quindi, una forte commozione quando Ayrton rispose con voce umile:
«Sono stato uno di quei giaguari, signor Pencroff, e non ho il diritto di parlare…»
E si allontanò lentamente. Pencroff aveva compreso.
«Maledetta bestia che sono!» esclamò. «Povero Ayrton! Eppure egli ha diritto di parlare qui quanto chiunque altro!»
«Sì,» disse Gedeon Spilett «ma la sua riservatezza gli fa onore e conviene rispettare il sentimento di dolore, che conserva per il suo triste passato.»
«Ho inteso, signor Spilett,» rispose il marinaio «e non ricadrò più in simile indelicatezza! Preferirei mangiarmi la lingua piuttosto che esser causa di un dispiacere ad Ayrton! Ma ritorniamo al nostro argomento. Mi sembra che quei banditi non abbiano diritto ad alcuna pietà e che dobbiamo al più presto sbarazzarne l’isola.»
«È proprio questo il vostro parere, Pencroff?» chiese l’ingegnere.
«Assolutamente.»
«E prima di dar loro la caccia senza misericordia, non vorreste aspettare che facciano nuovi atti di ostilità contro di noi?»
«Quello che hanno fatto non basta, dunque?» domandò Pencroff, che non capiva quelle esitazioni.
«Possono rinascere a nuovi sentimenti e, forse, pentirsi…»
«Pentirsi, quelli!» esclamò il marinaio, alzando le spalle.
«Pencroff, pensa ad Ayrton!» disse allora Harbert, prendendo la mano del marinaio. «È tornato un uomo onesto!»
Pencroff guardò i suoi compagni uno dopo l’altro. Non avrebbe mai creduto che la sua proposta dovesse provocare un’esitazione qualunque. La sua rude natura non poteva ammettere che si transigesse con i malfattori sbarcati nell’isola, con i complici di Bob Harvey, gli assassini dell’equipaggio dello Speedy; ed egli li considerava come bestie feroci, che bisognava distruggere senza esitazione e senza rimorsi.
«To’!» fece. «Ho tutti contro. Volete esser generosi con quei miserabili! Sia pure. Voglia il Cielo che non dobbiamo pentircene!»
«Quale pericolo possiamo correre,» disse Harbert «se stiamo in guardia?»
«Uhm!» fece il giornalista, che non si pronunciava. «Sono sei e bene armati. Se ciascuno di loro s’imbosca in un angolo e spara su di noi, saranno in breve padroni della colonia!»
«Perché non l’hanno ancora fatto?» disse Harbert. «Indubbiamente perché trovano che non è nel loro interesse. Del resto, noi pure siamo sei.»
«Bene, bene!» rispose Pencroff, che nessun ragionamento avrebbe potuto convincere. «Lasciamo quei galantuomini dedicarsi alle loro piccole occupazioni e non ci pensiamo più.»
«Andiamo, Pencroff» disse Nab. «Non dimostrarti più cattivo di quel che sei! Scommetto che se uno di quegli sciagurati fosse qui, dinanzi a te, a buon tiro di fucile, tu non gli spareresti addosso…»
«Tirerei su lui come su un cane arrabbiato, Nab» rispose freddamente Pencroff.
«Pencroff,» disse allora l’ingegnere «avete spesso dimostrato molta deferenza verso i miei consigli. Volete anche in questa circostanza rimettervi alla mia decisione?»
«Farò come piacerà a voi, signor Smith» rispose il marinaio, che però non era per nulla convinto.
«Ebbene, aspettiamo, e non attacchiamo che quando saremo attaccati. In questo senso fu decisa la condotta da tenere verso i pirati, benché»
Pencroff non se ne aspettasse niente di buono. I coloni non li avrebbero attaccati, ma sarebbero stati in guardia. Dopo tutto, l’isola era grande e fertile. Se qualche sentimento d’onestà era rimasto in fondo alla loro anima, quei miserabili potevano forse emendarsi. Conveniva loro, nelle condizioni in cui dovevano ormai vivere, rifarsi una vita nuova. A ogni modo, non foss’altro che per umanità, si doveva attendere. I coloni forse non avrebbero più avuta la facoltà d’andare e venire senza timore, come per il passato. Sino allora non avevano avuto da guardarsi che dagli animali selvaggi; ora, invece, sei pirati, forse della peggior specie, s’aggiravano per l’isola. Era grave, indubbiamente, e per uomini meno coraggiosi sarebbe stata la perdita di ogni tranquillità.
Non importa! I coloni avevano ora ragione contro Pencroff. Avrebbero avuto ragione anche in avvenire? Vedremo.
CAPITOLO VI
PROPOSITI DI SPEDIZIONE «AYRTON NEL RECINTO» VISITA A PORTO PALLONE «OSSERVAZIONI FATTE DA PENCROFF A BORDO DEL «BONADVENTURE»«DISPACCIO INVIATO AL RECINTO «AYRTON NON RISPONDE» PARTENZA DEL GIORNO DOPO — PERCHÉ IL FILO NON FUNZIONA PIÙ «UNA DETONAZIONE»
LA PIÙ GRANDE preoccupazione dei coloni era adesso quell’esplorazione completa dell’isola, ch’era stata decisa e che avrebbe avuto ora due scopi: prima di tutto, scoprire l’essere misterioso la cui esistenza non era più discutibile, e nello stesso tempo sapere che cosa ne era stato dei pirati, quale rifugio avevano scelto, che vita conducevano e che cosa si poteva temere da parte loro.
Cyrus Smith desiderava partire senza indugio; ma, dovendo la spedizione durare parecchi giorni, era sembrato opportuno caricare il carro di oggetti diversi per accampamento e di utensili atti a facilitare l’organizzazione delle soste. Ora, in quel momento, uno degli onagri, ferito a una gamba, non poteva essere attaccato; gli erano necessari alcuni giorni di riposo; i coloni ritennero, quindi, di poter senza pregiudizio rimandare la partenza di una settimana, cioè al 20 novembre. Il mese di novembre, alla latitudine di quelle terre, corrisponde al maggio delle zone boreali. Si era, dunque, nella bella stagione. Il sole arrivava sul tropico del Capricorno e rendeva i giorni più lunghi che in ogni altro mese dell’anno. Il tempo sarebbe stato, quindi, in tutto favorevole alla spedizione, la quale, anche se non avesse raggiunto il suo fine principale, poteva essere feconda di scoperte, soprattutto dal punto di vista dei prodotti naturali, poiché Cyrus Smith si proponeva d’esplorare le fitte foreste del Far West, che si estendevano sino alla estremità della penisola Serpentine.
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