L’osservazione del cronista era giusta e ognuno la comprendeva.
«Sì,» rispose Cyrus Smith «se abbiamo ormai la certezza dell’intervento di un essere umano, bisogna convenire che esso ha a sua disposizione dei mezzi che sono superiori a quelli di cui dispone l’umanità. Qui è ancora il mistero, ma se scopriremo l’uomo, scopriremo anche il mistero. Il problema è, perciò, questo: dobbiamo rispettare l’incognito di quest’essere generoso, o dobbiamo fare di tutto per arrivare fino a lui? Qual è la vostra opinione?»
«La mia opinione,» rispose Pencroff «è che, chiunque sia, è un brav’uomo e ha tutta la mia stima!»
«Sia,» riprese Cyrus Smith «ma questa non è una risposta sufficiente, Pencroff.»
«Padrone,» disse allora Nab «la mia idea è che potremo cercare quanto vorremo il signore di cui si tratta, ma che non lo scopriremo che quando piacerà a lui.»
«Non è sciocco quello che dici, Nab» rispose Pencroff.
«Sono del parere di Nab,» rispose Gedeon Spilett «ma penso che non sia una ragione per non tentare l’avventura. Che noi troviamo o no quest’essere misterioso, avremo, almeno, compiuto tutto il nostro dovere verso di lui.»
«E tu, figlio mio, vuoi dirci il tuo parere?» disse l’ingegnere, rivolgendosi ad Harbert.
«Ah!» esclamò Harbert, con lo sguardo animato «io vorrei ringraziare colui che ha salvato prima voi e poi noi!»
«Lo credo, ragazzo mio» rispose Pencroff; «anch’io lo vorrei e noi tutti lo vorremmo! Io non sono curioso, ma darei volentieri uno dei miei occhi per vedere di persona quell’uomo! Mi sembra che debba essere bello, grande, forte, con una bella barba, con dei capelli simili a raggi di sole e coricato su una massa di nuvole, con un gran globo in mano!»
«Eh! Pencroff,» disse Gedeon Spilett «ma voi ci fate il ritratto del Padre Eterno!»
«Possibilissimo, signor Spilett» replicò il marinaio; «ma, insomma, io me lo figuro così!»
«E voi, Ayrton?» chiese l’ingegnere.
«Signor Smith,» rispose Ayrton «io non posso darvi un consiglio in questa circostanza. Quello che farete voi sarà ben fatto. Se vorrete associarmi alle vostre ricerche, sarò pronto a seguirvi.»
«Vi ringrazio, Ayrton,» rispose Cyrus Smith «ma vorrei una risposta più diretta alla domanda che vi ho fatta. Voi siete nostro compagno; vi siete già parecchie volte sacrificato per noi, e, come tutti gli altri, dovete essere consultato, quando si tratta di prendere qualche decisione importante. Parlate, dunque.»
«Signor Smith,» rispose Ayrton «penso che dobbiamo fare tutto il possibile per ritrovare l’ignoto benefattore. Potrebbe darsi che sia solo. Forse egli soffre. Forse è un’esistenza da rigenerare. Io pure, come avete detto, ho un debito di riconoscenza verso di lui. È certamente lui, non può essere stato che lui, a venire all’isola di Tabor, dove ha trovato il miserabile che avete conosciuto, e vi ha fatto sapere che c’era là un infelice da salvare!… Per merito suo, dunque, sono ridivenuto un uomo. No, non me ne dimenticherò mai!»
«Allora, è deciso!» disse Cyrus Smith. «Cominceremo le nostre ricerche al più presto possibile. Non lasceremo inesplorata una sola parte dell’isola. La frugheremo fino nei suoi più segreti nascondigli, e l’amico sconosciuto ce lo perdoni grazie alla nostra intenzione!»
Durante alcuni giorni i coloni si dedicarono attivamente ai lavori della fienagione e della mietitura. Prima di mettere in esecuzione il loro proposito di esplorare le parti ancora sconosciute dell’isola, volevano che ogni lavoro indispensabile fosse finito. Era anche il tempo in cui si faceva il raccolto dei diversi ortaggi provenienti dalle piante dell’isola di Tabor. Tutto era, dunque, da mettere in magazzino e, fortunatamente, lo spazio non mancava in GraniteHouse, ove si sarebbero potute riporre tutte le ricchezze dell’isola. I prodotti della colonia erano là, metodicamente sistemati e in luogo sicuro, al riparo dalle bestie e dagli uomini. Non v’erano certo da temere i danni dell’umidità, in mezzo a quel compatto masso di granito. Parecchie delle escavazioni naturali situate nel cunicolo superiore furono ingrandite e approfondite, sia con il piccone, che con le mine e GraniteHouse divenne così un deposito generale, contenente gli approvvigionamenti, le munizioni, gli strumenti e gli utensili di ricambio, in una parola, tutto il materiale della colonia.
I cannoni provenienti dal brigantino erano dei bei pezzi in acciaio fuso che, in seguito alle istanze di Pencroff, furono issati, per mezzo di gru, fino al pianerottolo di GraniteHouse; alcune aperture furono praticate fra una finestra e l’altra e presto si videro sporgere le loro bocche lucenti attraverso la parete granitica. Da quell’altezza, le bocche da fuoco dominavano veramente tutta la baia dell’Unione. Era come un piccolo stretto di Gibilterra e ogni nave, che fosse venuta alla fonda al largo dell’isolotto, sarebbe stata inevitabilmente esposta al fuoco di quella batteria aerea.
«Signor Cyrus,» disse un giorno Pencroff (era l’8 novembre) «adesso che l’armamento è terminato, dobbiamo provare la gittata dei pezzi.»
«Credete che sia utile?» rispose Cyrus Smith.
«È più che utile, è necessario! Altrimenti, come conoscere la distanza alla quale possiamo mandare uno di questi bei proiettili?»
«Proviamo, dunque, Pencroff» rispose l’ingegnere. «Tuttavia, credo che ci convenga fare l’esperimento adoperando non la polvere ordinaria, di cui desidero lasciare intatta la riserva, ma la pirossilina, che non ci mancherà mai.»
«Questi cannoni potranno sopportare la deflagrazione della pirossilina?» chiese il giornalista che non desiderava meno di Pencroff far la prova dell’artiglieria di GraniteHouse.
«Credo di sì. D’altronde,» soggiunse l’ingegnere «agiremo prudentemente.»
L’ingegnere aveva notato che quei cannoni erano di eccellente fabbricazione ed egli se ne intendeva. Fatti in acciaio temperato e a retrocarica, dovevano poter sopportare una carica considerevole e di conseguenza avere un’enorme portata. Infatti, dal punto di vista dell’effetto utile, la traiettoria descritta della palla da cannone dev’essere tesa il più possibile, e questa tensione non si può ottenere che a condizione che il proiettile sia animato da una grandissima velocità iniziale.
«Ora,» disse Cyrus Smith ai compagni «la velocità iniziale è in ragione della quantità di polvere utilizzata. Nella fabbricazione dei pezzi, tutto sta nell’impiego di un materiale quanto più possibile resistente e l’acciaio è incontestabilmente di tutti i metalli quello che resiste meglio. Ho, dunque, ragione di pensare che i nostri cannoni sopporteranno senza rischio l’espansione dei gas della pirossilina e daranno risultati eccellenti.»
«Ne saremo ancora più certi quando avremo provato!» disse Pencroff.
È inutile dire che i quattro cannoni erano in perfetto stato. Dopo che furono tolti dall’acqua, il marinaio s’era assunto il compito di lucidarli coscienziosamente. Quante ore aveva passato a sfregarli, ungerli di grasso, lisciarli, a pulire il meccanismo dell’otturatore e la vite di pressione! E adesso i pezzi erano brillanti come a bordo d’una fregata della marina degli Stati Uniti.
In quel giorno, dunque, alla presenza di tutto il personale della colonia, mastro Jup e Top compresi, i quattro cannoni furono successivamente provati. Vennero caricati con pirossillina, tenendo conto della sua potenza esplosiva, la quale, come si è detto, è quadrupla di quella della polvere ordinaria. I proiettili che dovevano lanciare erano cilindroconici.
Pencroff, tenendo la corda della miccia, era pronto a far fuoco.
A un segno di Cyrus Smith, il colpo parti. Il proiettile, diretto sul mare, passò al disopra dell’isolotto e andò a perdersi al largo, a una distanza che non fu possibile calcolare con esattezza.
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