Lionel C - Vivere La Vita
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Non saprei dire se era perché mi dovevo arrendere per forza, oppure ad altro, ma ritornato al letto, ricordo le mie prime domande, dubbi, perplessità .
La mia domanda più grossa che e rimasta lì fresca e presente nella mia mente per tanto tempo era:
< Ma se non era con me nella cameretta, come fa a sapere se sono stato nel letto, il tempo giusto o di meno? >.
Arrivavano poi di corsa le altre domande, sorelle della prima:
< Come può se ho dormito oppure no? >
< Come può sapere se devo ancora dormire? >
Queste sono le mie prime domande di vita vissuta.
Le prime che ricordo.
Tutto capitava quando ero appena un po' più alto di uno sgabello di quelli attorno alla tavola della cucina, e tutto in casa era molto grande.
Cosi come grande mi sembrava mio padre.
Molto grande e molto forte, quasi un gigante.
Un gigante buono.
Quando mi prendeva tra le sue braccia, oppure veniva a giocare con me.
Mi piaceva moltissimo, ma ogni tanto, mi chiudevo un po', perché le sue mani forti e ruvide, mi facevano male sulla pelle.
Questo non diminuiva il mio desiderio di stare con lui.
Anzi, il desiderio era sempre più forte ogni volta, perché mi sentivo sicuro, protetto, ma soprattutto, con la certezza di avere un aiuto forte vicino a me.
Sempre pronto.
Un aiuto sempre pronto, come quando non riuscivo a salire sullo sgabello per sedermi a tavola in cucina, e per me sembrava lo sforzo più grande del mondo, ma la sua mano sul mio sederino, quando meno me lo aspettavo, mi dava una spinta così dolcemente forte che mi sembrava di volare.
Volevo stare sempre con lui.
In qualsiasi momento.
Come quando si faceva la barba e li restavo vicino nel bagno.
In piedi, sul coperchio del wc e dalla prima pennellata di schiuma che si metteva sulla faccia, e fino all'ultimo passaggio della macchinetta in qui metteva la lametta, non mi muovevo e non toglievo mai lo sguardo dal suo viso.
Osservavo con la più grande attenzione ed in silenzio assoluto, ogni movimento della sua mano.
Quasi non respiravo.
Sarei rimasto sempre con mio padre.
Non capivo perché non era possibile, non capivo perché ogni giorno ci lasciava ed andava via. Capivo ancora meno quando questo succedeva di sera e appena lui usciva di casa, noi tre, mia mamma, mio fratello ed io, andavamo a dormire.
Da soli.
Non comprendevo perché non restava a dormire con noi ed ancora meno, comprendevo quello che succedeva ogni volta, prima che lui andava via.
Eravamo tutti lì, nelâ ingresso, d'avanti alla porta di casa mentre si preparava, e prima di uscire, baciava me, poi mio fratello ed alla fine, mia mamma. Era una cosa tutta strana che non capivo.
Come un rito.
Ogni volta mi dava quattro baci.
In fronte, sulla bocca, su una guancia e poi sull'altra guancia.
In quei momenti, mi sembrava che fosse meno gigante del solito e non sapevo, non capivo il perché.
Ho capito poi, crescendo, che ogni volta usciva per andare a lavorare ed ogni volta ci baciava a tutti con il segno della croce.
Come se fosse per l'ultima volta che ci vedeva.
Infatti capitava molto spesso, troppo spesso che mariti e padri uscivano di casa per andare a lavorare e non tornavano mai più.
Era il prezzo che la miniera si faceva pagare.
Mi sono sempre sentito fortunato, privilegiato, perché il mio papà e sempre ritornato a casa, fino al giorno in qui non e più andato via.
Era arrivato il giorno della pensione.
Soltanto da quel giorno in poi, ho vissuto finalmente in totale tranquillità .
Quella tranquillità che ho sempre respirato in casa, come quando con le mie macchinine giocavo sui tappeti che coprivano il pavimento e passando indisturbato da una camera all'altra, facevo dei grandissimi viaggi conosciuti soltanto a me. Ricordo più di una volta le persone grandi della mia famiglia oppure ospiti, che per spostarsi all'interno della casa passavano con tanta attenzione sopra me, che in quel momento, mi trovavo sul loro cammino.
Nessuno mi ha mai disturbato.
Nessuno mi ha mai detto che stavo disturbando.
A viaggio finito, portavo sempre tutte le macchinine nel loro garage, al proprio posto.
Non erano tante.
Semplici, ma belle.
Il giusto di qui avevo bisogno per stare bene, e che non mi è mai mancato.
Il necessario non è mai mancato, e la convivenza nella famiglia andava avanti in modo molto naturale. Non si parlava tantissimo e sempre, ma quando si faceva, era in modo semplice ed essenziale.
Molto naturale.
Ci si capiva molto bene ed i risultati erano subito visibili.
Invece, erano molto più presenti e forse anche più importanti i gesti, gli esempi.
Da molto piccoli e semplici, ai più grandi che toccavano dal più profondo del proprio essere fino alla parte esterna. Ogni volta, subito dopo aver vissuto qualcuno di questi gesti, di questi esempi, mi sentivo più grande, più ricco ed anche più responsabile nei confronti dei miei famigliari.
Quasi tutto si faceva con i fatti, con tanti fatti.
Ogni volta, il risultato si vedeva subito, ed ognuno riusciva a trovare sempre il proprio posto, fare le sue cose e soprattutto rispettare gli altri in tutto e per tutto. Dai propri spazi nella vita vissuta in casa, alle cose materiali, facendo nascere e crescere sempre di più una convivenza molto equilibrata e pacifica.
Quei gesti mi hanno aiutato molto a non sentirmi fuori luogo, estraneo ed impacciato, nel giorno in qui ricordo la mia prima uscita, quando tenendo la mano di mia mamma, sono sceso di casa.
Uscendo dal portoncino d'ingresso del condominio ed appena varcata la soglia, ricordo che fuori c'era tantissima luce e che sul viso mi ha colpito dolcemente forte, un piacevole calore. Nelle orecchie ho sentito un boato molto forte, ma bello.
Erano le grida dei tantissimi bambini che giocavano.
In casa mi sembrava tutto molto grande, ma lì fuori era tutto gigantesco.
Sui due lati del marciapiede, subito prima dell'ingresso c'erano, una di fronte all'altra, due panchine di legno. Abbastanza lunghe, molto ampie e comode, verniciate di un bel colore verde.
Erano quasi piene tutte due di persone.
Più donne che uomini, e subito ero rimasto impressionato che tutti si avvicinavano a me. Volevano toccarmi, e quasi ognuno di loro mi stava chiedendo qualcosa. Non ho capito quasi nulla, ma mi chiedevo come facevano a conoscermi tutti.
Dietro le panchine, sui due lati e per tutta la lunghezza del condominio, c'erano dei giardini molto belli. La terra, tutta zappata era di un bel colore marrone scuro, con attorno una fascia di erba bassa, di un verde molto intenso.
Tutto era chiuso con una recinzione in ferro non alta e fatta di tante forme diverse tra di loro, colorata con dei colori vivi e molto belli.
L'interno dei giardini, era pieno di fiori ben ordinati, da molto piccoli e bassi, a più grossi ed abbastanza alti. Tutti fioriti ed i colori erano tanti e molto belli. Mi sembrava che qualcuno di quelli più alti e grossi, avevano anche un buon profumo.
Lâho sentito molto bene, quando con per mano mia mamma, abbiamo cominciato a passeggiare sul marciapiede vicino ai giardini ed in quei momenti, non sapevo a cosa fare più attenzione.
Dare più importanza.
Ai giardini da una parte, oppure a quello che vedevo da l'altra parte, perché la c'era una cosa impressionante. Una costruzione con tantissime finestre, che prendeva tutta la mia attenzione.
Un condominio gemello al nostro.
Sembrava vicino, ma era abbastanza lontano da poter lasciare lo spazio in mezzo, ad un campo che a me sembrava molto grosso. Su quel campo, in quel momento, in mezzo alla polvere sollevata da loro stessi, ed accompagnati da tantissime grida, un bel gruppo di ragazzi molto più grandi di me, correvano dietro ad un pallone.
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