Sentii qualcosa nella tasca. Tirai fuori la bustina del tabacco, aprii la chiusura ermetica. Sia i filtri sia le cartine sia il tabacco al suo interno erano rimasti asciutti. Rullai una sigaretta, la infilai in bocca e sollevai una chiappa per prendere l’accendino dalla tasca posteriore dei jeans. Provai ad accenderlo, ma si era bagnato. Mi alzai e mi misi a camminare nel buio. Continuai a spingere la rotella dell’accendino mentre mi osservavo intorno. Forme appena visibili, curve come pance di donne incinte attraversate da vene nere, erano sospese nell'oscurità. Qualcosa sembrava muoversi al loro interno. Mi avvicinai a una pancia più grande delle altre nel momento in cui l'accendino aveva ripreso a funzionare. Portai la fiamma in avanti per fare luce, allungai una mano. Le dita passarono attraverso la superficie, come se fosse fatta di fumo, facendo vibrare tutto, ma quando ritirai la mano, la pancia riprese la sua forma.
Qualcosa cigolò in fondo al buio. Mi voltai e vidi in lontananza una porta nera senza pareti attorno. Mi avvicinai, la spinsi piano. Un lungo corridoio buio si proiettava su una nuova oscurità. Attraversai la porta e andai avanti. Arrivai in fondo al corridoio. Un abisso infinito si apriva sotto i miei piedi. Mi inclinai in avanti, tenendomi a una parete, e mi affacciai. Allungai un passo che restò sospeso nel vuoto. Oltre il corridoio non esisteva più niente.
Avvicinai l'accendino alla punta della sigaretta per darle fuoco, ma al contatto con la fiamma, il buio iniziò a incendiarsi come un gigantesco foglio di carta nera. Il chiarore si diffuse allargandosi concentricamente, scintille di fuliggine cadevano leggere dal cielo staccandosi dai bordi del buio bruciato dal fuoco. Una luce livida e fredda, una strana luce turchese, avanzò attraverso il buco che continuava ad allargarsi. Indietreggiai, mi misi una mano davanti agli occhi per vedere cosa si nascondeva al di là del buio.
Un sentiero di terra era steso in un campo di sterpaglia a pochi passi da me, fuori dal corridoio. La punta del piede attraversò il confine. La gramigna secca ai lati del sentiero si faceva più alta man mano che andavo avanti, lunghi e sottili giunchi si piegavano tetramente al vento in fondo al campo. Attraverso i banchi di nuvole che percorrevano il cielo notturno filtrava la presenza di stelle lontane che emanavano quel freddo chiarore turchese che si riversava su una prateria spoglia proiettata verso un’alta collina spettrale. Una corona di rovi, sulla quale scheletri di alberi allungavano le loro ombre, si infittiva alla base della collina. Un riflesso della luce turchese si stendeva sulle increspature di un corso d'acqua che proveniva da uno sfondo di colline più lontane e si immergeva tra i giunchi per riapparire al di là del canneto e superare il confine della prateria, serpeggiando per un tratto nel mezzo del nulla. Alla fine del sentiero si allargava un grande campo circolare di terra battuta, al riparo del fianco curvo verso l’interno della collina.
Quando arrivai al centro del campo, il terreno iniziò a vibrare sotto di me. Indietreggiai, inciampai nelle mie stesse scarpe e mi ritrovai seduto a guardare una gigantesca nuvola di terra che si gonfiava. Qualcosa stava risalendo dal profondo. Strisciai all’indietro. Il terremoto si fermò, la nube si disperse lentamente in direzione della collina. Davanti ai miei occhi si erano innalzate due enormi braccia emerse fino ai gomiti con i pugni serrati verso l'alto, completamente rivestite di rampicanti.
Le dita del pugno di sinistra si aprirono, lentamente, dal palmo rivolto al cielo. Una figura seduta, con la testa tra le gambe raccolte e le braccia intorno alle ginocchia, era nascosta dal morbido volume dei capelli ricci e castani. Le lunghe braccia sottili si distesero. Un collo esile sollevò la testa verso l’alto mentre le mani spinsero verso il basso, ai lati delle caviglie. Le ginocchia si portarono in avanti, rette dagli stinchi neri e lucidi. Occhi dalla lucentezza dorata mi guardarono dal viso di lucida ossidiana di una ragazza dalla bellezza impossibile che si metteva in piedi.
Aveva le braccia nelle maniche bianche di una vestaglia che scendeva lungo i fianchi e lungo l'esterno delle gambe e lasciava nuda la parte centrale del seno, del ventre, dell’incisione dell’ombelico e dell’incontro fra le cosce nere e lucide. Bianchi arabeschi di stoffa attraversavano la parte scoperta e univano i due lembi della veste che ondeggiava nella brezza notturna. La ragazza si affacciò dal palmo della mano gigante, con la faccia incuriosita.
«Tu» disse. Il riverbero della sua voce era simile a un lamento di balena «Hai camminato attraverso il nulla e la sostanza eterea dei tuoi sogni. Sai perché sei qui?».
Scossi la testa.
«La realtà si è frantumata, qualcosa di soprannaturale è accaduto, qualcosa che succede una volta ogni generazione» le sue labbra modulavano le parole lentamente, quasi in ritardo rispetto alla voce. Il corpo si muoveva languidamente, come se fosse immerso in un fluido attraverso cui parlava.
Voltò la testa alla sua sinistra, tra i capelli si intravedeva l’incredibile lucentezza della nuca. Il pugno rivesito di rampicanti sulla destra si aprì. Un’altra figura piegata, avvolta da una morbida massa di capelli ricci e biondi iniziò a stiracchiarsi come se si fosse appena svegliata. Due mani bianche, dalle dita lunghe e sottili, sollevarono i capelli sopra la fronte. Gli zigomi sporgenti, attraversati da riflessi azzurri, tendevano la pelle delle guance bianca e lucida come alabastro. Anche il suo corpo era nudo, dentro il vestito nero unito da ricami sul seno bianco e pieno, sul ventre morbido, sulle gambe scolpite. Si alzò in piedi e si affacciò come aveva fatto l’altra, osservandomi con gli occhi d’argento.
«Una volta ogni generazione» disse. La sua voce era come un rumore, un disturbo, come il crepitio del ghiaccio che si incrina.
«In una notte d’inverno che ha invaso l'estate» iniziò la prima voce «Un’essenza sente il presagio della morte che la sta cercando. I suoi sensi si allertano e si acuiscono fino a permetterle di vedere l'invisibile, di sentire il silenzio, di credere all'incredibile e di affacciarsi su una dimensione oscura, al di là della vita, prima ancora che la morte sia riuscita ad afferrarla».
«Da una porta aperta tra le due dimensioni è possibile guardare la morte dalla vita, ma è anche possibile guardare al contrario, la vita dalla morte. La morte sopraggiunge, la porta resta aperta, l’essenza non è più viva, non è ancora morta, non del tutto. La morte non può impossessarsene completamente, ma soltanto per una notte. Questa è una di quelle notti» continuò la seconda voce.
«Tu sei l’essenza che ha sentito la morte arrivare, le sei sfuggito attraverso il passaggio che hai lasciato aperto. Hai portato la morte nella vita e la vita nella morte, hai generato un paradosso che dovrai risolvere fino alla fine di questa notte, quando la porta dovrà essere di nuovo chiusa» concluse la prima voce.
L’eco delle due voci mi volteggiò intorno come un vento che saliva a spirale, intrecciandole. Chiusi e riaprii gli occhi un paio di volte, guardai prima una e poi l'altra ragazza. Avevano un’età indefinita. Alcuni riflessi, sui loro volti, rischiaravano lineamenti morbidi di adolescenti, altri tagli di luce incidevano profonde rughe sulla loro pelle. Mi portai le mani alle tempie, cercai di contenere la velocità con cui avevano preso a rincorrersi i pensieri.
«D’accordo» dissi «L’unica cosa che si è aperta questa sera è stata la mia testa. C’era una crepa larga quanto un dito proprio qui, sulla tempia, che deve aver danneggiato il cervello, ma non importa. Come avete fatto ad apparire? E come si fa ad uscire da questa allucinazione?».
«Non siamo apparse per nostra volontà, non senza che tu ci abbia cercato» la ragazza dalla pelle bianca aprì un braccio verso l'altra per poi ripiegarlo su di sé.
Читать дальше