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Federico Moccia: Tre metri sopra il cielo

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renze e Natali più o meno felici, quasi sempre molto costosi,

sale davanti, le due figlie dietro.

"Si può sapere perché non accostate di più la Vespa al

muro?"

"Ancora più incollata al muro? Papa, ma sei negato..."

"Daniela, non ti permettere di parlare così a tuo padre."

"Senti mamma, domani possiamo andare in Vespa a

scuola?"

"No, Babi, fa ancora troppo freddo."

"Ma abbiamo il parabrezza."

"Daniela..."

"Ma mamma, tutte le nostre amiche..."

"Le devo ancora vedere tutte queste vostre amiche con la

Vespa."

"Se è per questo, a Daniela le hanno fatto il Peugeot nuo-

vo che tra l'altro, visto che ti preoccupi tanto, corre anche di

più."

Fiore, il portiere, alza la sbarra. La Mercedes aspetta, co-

me ogni sera, il lento salire di quel lungo ferro a strisce rosse.

Claudio accenna a un saluto. Raffaella si preoccupa solo di

chiudere la discussione.

"Se la prossima settimana farà più caldo, vedremo."

La Mercedes parte con un briciolo di speranza in più tra i

sedili posteriori, e un graffio sullo specchietto laterale destro.

Il portiere riprende a guardare la sua piccola tivù.

"Allora, non mi hai detto come sto vestita così."

Daniela guarda la sorella. Ha le spalline un po' troppo lar-

ghe e per i suoi gusti è un po' troppo seriosa.

"Benissimo." Ha capito perfettamente come prenderla.

"Non è vero, ho le spalline troppo larghe e sono troppo per-

fettina, come dici tu. Sei una bugiarda, e sai che ti dico? Per

questo sarai punita. Andrea neanche ti guarderà in faccia. An-

zi, lo farà, ma con tutto quell'eye liner non ti riconoscerà e se

ne andrà con Giulia."

Daniela prova a rispondere, soprattutto riguardo a Giu-

lia, la sua peggiore amica. Ma Raffaella mette la questione a

tacere.

"Ragazze, smettetela, sennò vi riporto a casa."

"Giro?" Claudio sorride alla moglie, facendo finta di muo-

vere il volante. Ma gli basta uno sguardo per capire che non è

aria.

3.

Agile e veloce, scuro come la notte. Luce e riflessi vanno e

vengono nei piccoli specchietti della sua moto. Arriva alla piaz-

za, rallenta appena per vedere che da destra non arrivi nessu-

no, poi imbocca via di Vigna Stelluti a tutta velocità.

"Ho una voglia di vederlo, sono due giorni che non ci sen-

tiamo."

Una bella ragazza mora, dagli occhi verdi e un bel sedere

imprigionato in crudeli Miss Sixty, sorride all'amica, una bion-

dina alta come lei ma un po' più tonda.

"A Madda', sai com'è fatto, anche se c'è stato mica vuoi di'

che ora avete una storia."

Sedute sui loro motorini, fumano sigarette troppo forti,

cercando di darsi un tono e qualche anno in più.

"Che c'entra, i suoi amici mi hanno detto che lui non chia-

ma mai di solito."

"Perché, a te ti ha chiamata?"

"Sì!"

"Be', magari ha sbagliato numero."

"Due volte?"

Sorride, felice di aver messo a tacere l'amica dalla battuta

facile, che comunque non si perde d'animo.

"Degli amici non ti puoi mai fidare. Hai visto che facce?"

Vicino a loro, con le moto potenti come i loro muscoli, Pol-

lo, Lucone, Hook, il Siciliano, Bunny, Schello e tanti altri an-

cora. Nomi improbabili dalle storie difficili. Non hanno un la-

voro fisso. Alcuni neanche troppi soldi in tasca, ma si diverto-

no e sono amici. Questo basta. In più amano litigare, e quello

non manca mai. Fermi lì, a piazza Jacini, seduti sulle loro Har-

ley, su vecchie 350 Four dalle quattro marmitte originali, o con

la classica quattro in uno, dal rumore più potente. Sognate, so-

spirate e infine ottenute, grazie a estenuanti preghiere, dai lo-

ro genitori. Oppure con il sacrificio delle tasche sfortunate di

un giovane farlocco che ha lasciato il portafoglio nel cassetti-

nò di qualche Scarabeo o nella tasca interna di un Henri Lloyd

fin troppo facile da ripulire durante la ricreazione.

Statuali e sorridenti, la battuta facile, le mani tozze con

qualche segno, ricordo di una rissa. John Milius sarebbe an-

dato pazzo per loro.

Le ragazze, più silenziose, sorridono, quasi tutte scappa-

te da casa, inventando un dormire tranquillo da un'amica,

che invece siede lì vicino a loro, figlia della stessa bugia.

Gloria, una ragazza con i fuseaux blu e la maglietta dello

stesso colore con piccoli cuoricini celesti, mostra uno splen-

dido sorriso.

"Ieri mi sono divertita un mondo con Dario. Abbiamo fe-

steggiato sei mesi che stiamo insieme."

Sei mesi, pensa Maddalena. A me ne basterebbe uno solo...

Madda sospira, poi riprende a sognare nelle parole dell'a-

mica.

"Siamo stati a mangiare una pizza da Baffetto."

"Ma dai, ci sono andata pure io."

"A che ora?"

"Mah... saranno state le undici."

Odia quell'amica che interrompe il racconto. C'è sempre

qualcuno o qualcosa che disturba i tuoi sogni.

"Ah, no, eravamo già andati via."

"Insomma, volete stare a sentire?"

Un unico "sì" esce da quelle bocche dagli strani sapori di

lucidalabbra alla frutta o rossetti rubati a commessi distratti,

a bagni materni più ricchi di tante piccole profumerie.

"A un certo punto arriva il cameriere e mi porta un maz-

zo di rose rosse enorme. Dario sorride, mentre tutte le ra-

gazze lì in pizzeria mi guardano commosse e anche un po'

invidiose."

Quasi si pente di quella frase, accorgendosi di rivedere in-

torno a lei quegli stessi sguardi.

"Mica per Dario... Per le rose!"

Una sciocca risata le unisce di nuovo tutte.

"Poi mi ha dato un bacio sulle labbra, mi ha preso la ma-

no e mi ha infilato questo."

Mostra alle amiche un sottile anello con una piccola pie-

tra celeste, dai riflessi allegri quasi come quelli dei suoi occhi

innamorati. Versi di stupore e un "Bellissimo!" accolgono quel

semplice anello.

"Poi siamo andati a casa mia e siamo stati insieme. I miei

non c'erano, è stato favoloso. Ha messo il cd di Cremonini, mi

fa impazzire. Poi ci siamo stesi in terrazzo sotto il piumone a

guardare le stelle."

"Ce n'erano tante?" Maddalena è senz'altro la più roman-

tica del gruppo.

"Tantissime!"

Poco più in là, una diversa versione.

"Hei, ma ieri sera eri sempre staccato..."

Hook. Una benda sull'occhio, fissa. I capelli boccoluti e lun-

ghi, leggermente sbionditi in punta, gli danno un'aria da an-

gioletto, se non fosse per la sua fama, roba da inferno.

"Allora, si può sapere cosa hai fatto ieri sera?"

"Ma niente. Sono andato a mangiare da Baffetto con Glo-

ria e poi, siccome non c'erano i suoi, siamo andati a casa sua

e abbiamo fatto roba. Al solito, niente di speciale... Piuttosto

avete visto come hanno rifatto il Panda?"

Bario cerca di cambiare discorso. Ma Hook non molla.

"Ogni tre, quattro anni li rifanno tutti i locali... Piuttosto,

come mai non ci avete chiamato?"

"Siamo usciti senza pensarci, così, all'improvviso."

"Che strano, tu non fai quasi mai nulla così all'improvviso."

Il tono non promette niente di buono. Gli altri se ne ac-

corgono. Pollo e Lucone smettono di giocare a calcio con una

lattina acciaccata. Si avvicinano sorridenti. Schello da un tiro

più lungo alla sigaretta, e fa il suo solito ghigno.

"Sapete ragazzi, ieri Gloria e Bario facevano sei mesi e lui

ha voluto festeggiare da solo."

"Non è vero."

"Come no? Ti hanno visto a mangiare la pizzetta. Ma è ve-

ro che vuoi metterti in proprio?"

"Sì, dicono che vuoi fare il fioraio."

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