Stephenie Meyer - Eclipse

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Eclipse: краткое содержание, описание и аннотация

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Mentre Seattle è funestata da una serie di strani omicidi e una vampira malvagia continua a darle la caccia, Bella Swan si trova ancora una volta in serio pericolo. È arrivato per lei il momento delle decisioni e dei sacrifici: basterà il fidanzato Edward a farle dimenticare il migliore amico Jacob? Troverà il coraggio necessario a diventare una Cullen? Obbligata a scegliere fra l’amore e l’amicizia, è consapevole che la sua decisione rischia di riaccendere la millenaria lotta fra vampiri e licantropi. Nel frattempo l’esame di maturità è alle porte e per Bella il momento della verità si avvicina...

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«Per favore, fallo per me. Per favore, sii razionale e sforzati di proteggere te stessa. Io farò tutto il possibile, ma mi piacerebbe che collaborassi almeno un po’».

«Farò del mio meglio», mormorai.

«Hai idea di quanto importante tu sia per me? Riesci a renderti conto di quanto ti amo?». Mi strinse più forte contro il suo petto marmoreo e accolse la mia testa sotto il mento. Sfiorai con le labbra il suo collo freddo come la neve. «Mi rendo conto del mio amore per te », risposi.

«È come paragonare un alberello a un’intera foresta». Alzai gli occhi al cielo senza che Edward potesse vedermi. «Impossibile». Mi baciò la testa e sospirò.

«Niente licantropi».

«Non intendo obbedire. Devo vedere Jacob».

«Allora sarò costretto a fermarti».

Sembrava sicurissimo che non sarebbe stato un problema. E sapevo che aveva ragione.

«Vedremo», risposi bluffando. «È ancora mio amico».

Il biglietto di Jacob nella tasca era diventato ingombrante, come se all’improvviso pesasse cinque chili. Riuscivo a sentirlo parola per parola, come se mi stesse parlando, sembrava quasi d’accordo con Edward, eppure nella realtà non lo sarebbe stato mai.

Ma tanto non serve a niente. Scusa.

2

Evasione

Mi sentivo stranamente sollevata mentre uscivo dalla lezione di spagnolo e andavo a mensa. Certo, camminavo mano nella mano con la persona più perfetta del pianeta, ma la ragione non era soltanto quella. Forse era la consapevolezza di avere scontato la condanna, di essere tornata in libertà. O forse non aveva niente a che fare con me. Forse era l’atmosfera di libertà che aleggiava in tutta la scuola. Le lezioni stavano per finire e, soprattutto per quelli dell’ultimo anno, l’eccitazione nell’aria era palpabile. La libertà era tanto vicina da poterla toccare, gustare. C’erano indizi dappertutto. I poster intasavano le pareti della mensa, i bidoni della spazzatura erano coperti di volantini che li sommergevano di colori: reclamizzavano almanacchi dell’anno scolastico, distintivi delle classi e annunci vari; scadenze entro cui ordinare le toghe dei diplomati, i cappelli e i fiocchi; slogan su cartelli fluorescenti — la campagna elettorale per le elezioni dei rappresentanti di classe — e inquietanti avvisi, decorati di rose, per il ballo di fine anno. Alla grande festa mancava soltanto poco più di una settimana, ma avevo obbligato Edward a non infliggermela mai più. Dopotutto, quel genere di esperienza umana l’avevo già fatto.

Probabilmente a rendermi così raggiante era la mia libertà personale. La fine dell’anno scolastico non suscitava in me la stessa soddisfazione che vedevo negli altri studenti. Anzi, mi sentivo nervosa e quasi nauseata ogni volta che ci pensavo. Cercavo di non pensarci. Ma era difficile sfuggire a un argomento di conversazione così onnipresente.

«Avete già spedito gli inviti?», chiese Angela quando io ed Edward ci accomodammo al nostro tavolo. Aveva raccolto i capelli castano chiaro in una coda disordinata, anziché nella sua solita acconciatura impeccabile, e nel suo sguardo c’era un che di ansioso.

Anche Alice e Ben erano già arrivati e occupavano i posti di fianco ad Angela. Ben era assorto nella lettura di un fumetto, gli occhiali gli scivolavano sul naso affilato. Alice osservava il mio banale abbinamento di jeans e maglietta con un’aria che mi metteva a disagio. Probabilmente stava architettando l’ennesimo cambiamento. Sospirai. Il mio atteggiamento indifferente nei confronti della moda era una spina nel fianco, per lei. Se glielo avessi permesso, mi avrebbe vestita volentieri ogni giorno — anche più volte al giorno — come una specie di bambola di carta in tre dimensioni, a grandezza naturale.

«No», risposi ad Angela. «Ma d’altronde non ne ho bisogno. Renée già conosce la data del diploma. Chi altro mi manca?».

«E tu, Alice?».

Alice sorrise. «Tutto a posto».

«Fortunata», sospirò Angela. «Mia madre ha mille cugini e pretende che compili tutti gli indirizzi a mano. Mi verrà la sindrome del tunnel carpale. Non posso più posticipare e sono terrorizzata».

«Ti posso aiutare io», proposi. «Se non badi troppo alla mia scrittura orrenda». Così avrei fatto felice Charlie. Con la coda dell’occhio notai il sorriso di Edward. Avrei fatto felice anche lui, rispettando le condizioni di Charlie senza coinvolgere i licantropi.

Angela parve tranquillizzarsi. «Sei davvero gentile. Vengo da te quando vuoi».

«A dire la verità preferirei venire io da te, se non è un problema: ho la nausea di casa mia. Charlie mi ha rimessa in libertà ieri sera». Le diedi la buona notizia con un sorriso.

«Davvero?», chiese Angela e un leggero entusiasmo accese i suoi occhi castani sempre così dolci. «Sbaglio o avevi detto che era un ergastolo?».

«Sono più sorpresa di te. Pensavo di dover aspettare come minimo la fine dell’anno scolastico, prima che mi liberasse».

«Be’, è una grande notizia, Bella! Dobbiamo uscire a festeggiare!».

«Non hai idea di quanto ne abbia voglia».

«Cosa facciamo?», commentò Alice, lo sguardo acceso di impazienza. Le idee di Alice di solito erano un po’ troppo grandiose per i miei standard e in quel momento le leggevo negli occhi la tipica tendenza a esagerare quando si trattava di mettersi all’opera.

«Qualunque cosa tu stia pensando, Alice, dubito di essere così libera di farla».

«La libertà è la libertà, no?», insistette lei.

«Di sicuro ho dei confini da rispettare, per esempio quelli degli Stati Uniti». Angela e Ben risero, ma Alice si lasciò andare a una smorfia di sincero disappunto.

«E stasera cosa facciamo?», si ostinò.

«Niente. Aspettiamo un paio di giorni per essere certe che non sia uno scherzo. E poi domani c’è lezione».

«Allora festeggiamo nel weekend». Soffocare l’entusiasmo di Alice era impossibile.

«D’accordo», risposi nella speranza di placarla. Sapevo che non avrei fatto niente di troppo sfacciato: meglio proseguire un passo alla volta, con Charlie. Dargli la possibilità di apprezzare la mia lealtà e la mia maturità, prima di chiedergli altri favori.

Angela e Alice iniziarono a valutare le possibilità; Ben mise da parte i fumetti e si unì alla conversazione. La mia attenzione si perse altrove. Con mia grande sorpresa, all’improvviso la libertà non era più l’argomento entusiasmante di pochi istanti prima. Mentre le ragazze decidevano cosa fare a Port Angeles o magari a Hoquiam, iniziai a sentirmi più nervosa. Non mi occorse molto per capire da dove nascesse la mia inquietudine. Da quando avevo detto addio a Jacob Black, nel bosco di fronte a casa mia, ero stata perseguitata dalle intrusioni insistenti e fastidiose di un’immagine ben precisa. Spuntava tra i miei pensieri a intervalli regolari come una radiosveglia fastidiosa programmata per suonare ogni mezz’ora e mi riempiva la testa con l’apparizione del viso di Jacob contratto dal dolore. Era l’ultimo ricordo che avevo di lui.

Quella visione dolorosa mi colpì di nuovo e compresi perfettamente perché non fossi soddisfatta della mia libertà. Perché era incompleta. Certo, ero libera di andare dovunque volessi... esclusa La Push. Libera di fare ciò che mi andava... escluso vedere Jacob. Fissai torva il tavolo. Doveva esserci una via di mezzo.

«Alice? Alice!».

La voce di Angela mi risvegliò bruscamente dalle riflessioni in cui mi ero persa. Sventolava una mano di fronte al viso inerte e impassibile di Alice. Era un’espressione che conoscevo, quella che mi faceva scattare immediatamente il panico. Lo sguardo vuoto nei suoi occhi era segno che stava vedendo qualcosa di molto diverso dal banale scenario di commensali che ci circondava, qualcosa che però, a suo modo, era altrettanto reale. Qualcosa che presto sarebbe accaduto. Sentii le mie guance sbiancare. Poi Edward rise in modo molto naturale e rilassato. Angela e Ben lo guardarono, ma io non riuscivo a staccare gli occhi da Alice. Che all’improvviso scattò come se qualcuno l’avesse scalciata da sotto il tavolo.

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