«Ah». Non mi aspettavo nulla del genere. Certo, era logico che Alice tenesse d’occhio il futuro di Jasper. Era il suo compagno, la sua metà, benché la loro relazione non fosse appariscente come quella tra Rosalie ed Emmett. «Perché non me l’hai detto subito?».
«Non pensavo che te ne fossi accorta», rispose. «Comunque credo non sia nulla di importante».
La mia immaginazione era assurdamente fuori controllo. Avevo preso un pomeriggio assolutamente normale e l’avevo deformato, fino a leggervi i segni che Edward voleva tenermi nascosto qualcosa, a tutti i costi. Avevo bisogno di uno psicologo.
Scendemmo a fare i compiti, in caso di arrivo anticipato di Charlie. Edward finì dopo pochi minuti; io mi trascinai con fatica attraverso la matematica, finché non decisi che era ora di preparare la cena a Charlie. Edward mi diede una mano e ogni tanto faceva una smorfia di fronte agli ingredienti crudi — il cibo umano gli dava una leggera nausea. Cucinai un filetto alla Strogonoff con la ricetta di nonna Swan, perché ero esausta. Non era tra i miei piatti preferiti, ma a Charlie sarebbe piaciuto. Mio padre sembrava già di buonumore quando tornò a casa. Non si sforzò nemmeno di essere scortese con Edward. Il quale si scusò di non poter mangiare con noi, come al solito. Dal salotto arrivava l’audio del notiziario della sera, ma dubitavo che Edward lo stesse davvero guardando. Dopo aver trangugiato tre piatti, Charlie buttò i piedi sulla sedia libera e incrociò le braccia, soddisfatto, sulla pancia piena.
«Ottimo, Bells».
«Contenta che ti sia piaciuto. Com’è andata al lavoro?». Era stato talmente concentrato sul cibo che non ero riuscita a parlargli.
«Giornata lunga. Anzi, lunghissima. Ho giocato a carte con Mark per quasi tutto il pomeriggio», ammise sorridendo. «Ho vinto, diciannove mani a sette. Poi sono stato un po’ al telefono con Billy». Cercai di non cambiare espressione. «Come sta?».
«Bene, bene. A parte qualche fastidio alle articolazioni».
«Ah. Mi dispiace».
«Eh, sì. Ci ha invitati a casa sua questo fine settimana. Pensava di chiamare anche i Clearwater e gli Uley. Iniziano i play-off, guardiamo la partita tutti assieme...». La mia risposta geniale fu: «Ah». Ma che altro potevo dire? Ero certa di non poter frequentare una festa di licantropi, nemmeno accompagnata da mio padre. Chissà se per Edward era un problema che Charlie bazzicasse La Push. Oppure dava per scontato che siccome Charlie frequentava Billy, che era un essere umano, non correva alcun pericolo?
Mi alzai e impilai i piatti senza guardare Charlie. Li riposi nel lavandino e aprii l’acqua. Edward comparve silenzioso e afferrò un asciugamano. Charlie sospirò e preferì tacere, benché immaginassi che avrebbe ripreso il discorso non appena fossimo stati soli. Si alzò e si diresse verso la TV, come ogni sera.
«Charlie», disse Edward in tono amichevole.
Charlie si arrestò nel centro della piccola cucina. «Sì?».
«Bella le ha mai detto di avere ricevuto, come regalo di compleanno dei miei, due biglietti aerei per andare a trovare Renée?». Mollai il piatto che stavo asciugando. Scivolò dal ripiano della cucina e si schiantò rumoroso sul pavimento. Non si ruppe, ma schizzò la stanza, e noi tre, di acqua e schiuma. Charlie quasi non se ne accorse.
«Bella?», domandò sbalordito.
Guardai fissa il piatto e mi chinai a raccoglierlo. «Sì, è vero». Charlie deglutì rumorosamente, e aggrottò le sopracciglia prima di rivolgersi a Edward. «No, non me ne ha mai parlato».
«Ah», mormorò Edward.
«Come mai te ne sei ricordato?», chiese Charlie, secco. Edward si strinse nelle spalle. «Stanno per scadere. Non vorrei che Esme ci rimanesse male, se Bella non sfrutta il regalo. Certo, non credo che me lo farebbe notare».
Fissai Edward, incredula.
Charlie ci pensò per qualche istante. «Tutto sommato è una buona idea andare a far visita a tua madre, Bella. Le farebbe piacere. Mi sorprende che tu non me ne abbia mai parlato, però».
«Me ne ero dimenticata», confessai.
Si rabbuiò. «Ti eri dimenticata di aver ricevuto in regalo dei biglietti?». Risposi con un mormorio indefinito e mi voltai verso il lavandino.
«Ho notato che hai detto che stanno per scadere, Edward», proseguì Charlie. «Quanti sono i biglietti?».
«Soltanto uno per lei... e uno per me».
Il secondo piatto che mi sfuggì di mano atterrò nel lavandino e non fece troppo rumore. Sentii chiaro lo sbuffo di mio padre. Mi sentii arrossire, accesa di irritazione e dolore. Perché Edward si comportava così? Nel panico, restai a fissare le bolle dentro il lavello.
«Non se ne parla nemmeno!». Charlie aveva perso la pazienza in un secondo e urlava già.
«Perché?», chiese Edward, la voce satura di innocenza e meraviglia. «Ha appena detto che sarebbe bello se sua figlia andasse a trovare la madre». Charlie finse di non sentire. «Signorina, tu con lui non vai da nessuna parte!», strillò. Mi voltai e lo vidi puntare un dito verso di me. Mi sentii invadere dalla rabbia, reazione istintiva al suo tono di voce.
«Non sono una bambina, papà. E non sono più in castigo, ricordi?».
«Oh, invece sì. Da questo momento».
«Perché?».
«Perché lo dico io».
«Devo ricordarti che sono maggiorenne, Charlie?».
«Questa è casa mia. E devi rispettare le mie regole!». Il mio sguardo si fece di ghiaccio. «Come preferisci. Vuoi che me ne vada stasera? O mi concedi qualche giorno per fare le valigie?». Il volto di Charlie si fece paonazzo. Mi sentii subito malissimo per aver giocato la carta dell’abbandono.
Respirai a fondo e cercai di parlare in tono più razionale. «Accetterò le punizioni quando combinerò qualcosa di sbagliato, papà, ma non ho intenzione di accettare i tuoi pregiudizi». Farfugliò qualcosa ma dalla sua bocca non uscì nulla di coerente.
«Ora, io so che tu sai che ho il pieno diritto di andare a trovare la mamma durante il fine settimana. Non dirmi che ti opporresti se ad accompagnarmi fossero Alice o Angela».
«Ragazze», grugnì con un cenno del capo.
«Ti preoccuperesti se partissi con Jacob?».
Lo avevo chiamato in causa soltanto perché sapevo della simpatia di mio padre per lui, ma all’istante me ne pentii. Edward digrignò i denti con uno scatto secco e udibile.
Mio padre si sforzò di calmarsi prima di rispondere. «Sì», disse in tono niente affatto convincente. «Mi preoccuperei».
«Stai dicendo una bugia, papà».
«Bella...».
«Non sto andando a Las Vegas a fare la ballerina o chissà cosa. Voglio andare a trovare la mamma », ribadii. «La sua potestà vale quanto la tua». Mi trafisse con uno sguardo.
«Vorresti insinuare qualcosa sulla capacità della mamma di prendersi cura di me?».
Charlie trasalì di fronte alla sfida implicita nella mia domanda.
«Ti conviene sperare che non parli di tutto questo con lei», dissi.
«Meglio di no», replicò. «Ma non mi fai contento, Bella».
«Non è il caso di perdere la calma».
Alzò gli occhi al cielo, ma ormai avevo capito che la tempesta era passata. Mi voltai a togliere il tappo dal lavandino. «Quindi, ho fatto i compiti, ho preparato la cena, ho lavato i piatti, non sono in castigo. Esco. Torno entro le dieci e mezza».
«Dove vai?». Il suo viso, che era quasi tornato normale, si rifece paonazzo.
«Non lo so», confessai. «Cercherò di restare nel raggio di una ventina di chilometri, d’accordo?».
Grugnì qualcosa che non somigliava a una risposta positiva e uscì a grandi passi dalla stanza. Ovviamente, subito dopo aver avuto la meglio nel litigio mi sentii in colpa.
«Usciamo?», chiese Edward sottovoce ma con entusiasmo. Mi voltai e lo guardai in cagnesco. «Sì. Credo di dover fare due chiacchiere con te, da soli » . Non sembrava preoccupato come mi aspettavo.
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