«Certo».
Controllavo la e-mail di mia madre e di tanto in tanto scuotevo la testa di fronte alle sue solite piccole follie. Ero divertita e terrorizzata come la prima volta che l’avevo letta. Era tipico di Renée essersi ricordata che soffriva terribilmente di vertigini soltanto quando si era ritrovata un paracadute e un istruttore appiccicati alle spalle. Mi arrabbiai un po’ con Phil, con cui era sposata da quasi due anni, per averle permesso di combinare anche questa. Io avrei saputo come tenerla d’occhio. La conoscevo molto meglio. Prima o poi dovrai abbandonarli al loro destino, mi ripetei. Devi lasciare che vivano la propria vita...
Avevo trascorso quasi tutta la mia esistenza a tenere d’occhio Renée, sforzandomi con pazienza di sconsigliarle certi progetti assurdi, e sopportando con buon senso quelli da cui non ero riuscita a dissuaderla. Ero sempre stata indulgente con lei, divertita e forse un po’ troppo complice. Immaginai la cornucopia dei suoi errori e, tra me, sorrisi. Che svampita, Renée. Io ero molto diversa. Più ragionevole e prudente. Ero io quella responsabile, l’adulta. Così mi vedevo. Ormai ero abituata all’idea. Con il sangue ancora alla testa dopo il bacio di Edward, non riuscivo a non pensare all’errore più decisivo nella vita di mia madre. Romantica e sciocca, si era sposata subito dopo il diploma con un uomo che conosceva appena e nel giro di un anno aveva messo al mondo me. Giurava da sempre di non aver avuto rimpianti e che io ero il regalo più grande che avesse ricevuto dalla vita. Eppure non aveva mai perso l’occasione di tartassarmi: chi ha sale in zucca prende il matrimonio sul serio. Le persone mature vanno all’università e si fanno una carriera, prima di legarsi definitivamente a qualcuno. Era sicura che non sarei mai stata incosciente, goffa e provinciale com’era stata lei...
Serrai i denti e cercai di concentrarmi sulla risposta al suo messaggio. Poi mi accorsi di come mi aveva salutata e ricordai perché non le avessi risposto al volo.
«Non mi hai detto più niente di Jacob», aveva scritto. «Cosa combina ultimamente?». Era stato Charlie a metterle la pulce nell’orecchio, di sicuro. Sospirai e scrissi svelta, concentrando la risposta alla sua domanda tra due paragrafi poco importanti.
Jacob sta bene, credo. Non lo vedo spesso; ormai se ne sta quasi sempre con quel suo branco di amici giù a La Push.
Sorrisi beffarda a me stessa, aggiunsi i saluti da parte di Edward e cliccai su INVIA.
Mi accorsi che Edward era rimasto in silenzio alle mie spalle soltanto quando spensi il computer e mi allontanai dalla scrivania. Ero sul punto di arrabbiarmi con lui, dopo che aveva sbirciato lo schermo, ma mi resi conto che non era a me che prestava attenzione.
Stava esaminando una scatola nera e piatta, da cui penzolava una ragnatela di cavi che sembravano tutt’altro che funzionanti, a qualunque cosa servissero. Dopo un secondo riconobbi l’autoradio che Emmett, Rosalie e Jasper mi avevano regalato per il mio compleanno. Mi ero dimenticata di quei regali, nascosti da un velo sempre più spesso di polvere nel fondo dell’armadio.
«Cos’hai combinato con questa?», chiese sconvolto.
«Non voleva levarsi dal cruscotto».
«Perciò ti sei sentita in diritto di torturarla?».
«Sai come sono con le faccende manuali. Se le ho fatto del male, è stata una disgrazia».
Scosse la testa, sul volto una finta maschera tragica. «L’hai uccisa». Mi strinsi nelle spalle. «Pazienza».
«Se la vedessero si offenderebbero a morte», disse. «Tutto sommato è un bene che tu sia rimasta in castigo. Mi toccherà recuperarne un’altra prima che se ne accorgano».
«Grazie, ma non ho bisogno di una radio ultimo modello».
«Non è per fare un piacere a te che voglio rimpiazzarla». Feci un sospiro.
«Non mi sembra che ti sia goduta granché i tuoi regali di compleanno», disse amareggiato. All’improvviso lo vidi farsi aria con un cartoncino lungo. Non risposi per paura di perdere la voce. Il disastro del mio diciottesimo compleanno, con le sue conseguenze estreme, era un ricordo tutt’altro che piacevole ed era strano che proprio lui ne parlasse. Era ancora più sensibile di me al riguardo.
«Sai che questi stanno per scadere?», chiese e mi passò il cartoncino. Era uno dei regali: un buono per due biglietti aerei per la Florida, che Esme e Carlisle mi avevano regalato perché andassi a trovare Renée. Respirai a fondo e risposi imperturbabile. «No. Anzi, a dire la verità me ne ero dimenticata».
La sua reazione fu misurata, limpida e positiva; nelle sue parole non c’era traccia di emozioni violente. «Be’, ci resta ancora un po’ di tempo. Ormai sei libera... e non abbiamo progetti per il fine settimana, dal momento che ti rifiuti di accompagnarmi al ballo di fine anno». Sorrise. «Perché non cogliamo l’occasione e festeggiamo la tua libertà?».
Restai senza fiato. «Andando in Florida?».
«Mi sembra che rientri nei confini degli Stati Uniti». Gli lanciai un’occhiataccia, diffidente e curiosa di capire da dove venisse l’ispirazione.
«Be’?», chiese. «Andiamo o no a trovare Renée?».
«Charlie non mi darà mai il permesso».
«Charlie non può impedirti di andare a trovare tua madre. Legalmente sei stata affidata a lei».
«Come maggiorenne, sono affidata solo a me stessa».
Sfoderò un sorriso brillante. «Appunto».
Ci pensai per qualche istante e decisi che non valeva la pena di litigare. Charlie si sarebbe imbestialito, e non perché andavo a trovare Renée, ma perché ci andavo assieme a Edward. Non mi avrebbe rivolto la parola per mesi e probabilmente avrei finito per scontare un altro castigo. Era decisamente più saggio lasciar perdere. Magari qualche settimana più avanti, come regalo di diploma o qualcosa del genere.
Eppure, era difficile resistere alla tentazione di rivedere mia madre subito anziché nel giro di qualche settimana. Era passato troppo tempo dal nostro ultimo incontro. E in che condizioni era avvenuto. L’ultima volta che ero stata in sua compagnia a Phoenix, avevo passato tutto il tempo in un letto d’ospedale. L’ultima volta che mi era venuta a trovare l’avevo accolta in stato più o meno catatonico. Non erano esattamente i ricordi migliori da lasciarle.
E magari, se avesse visto quanto ero felice assieme a Edward, avrebbe suggerito a Charlie di tranquillizzarsi.
Edward osservava il mio viso mentre meditavo.
Sospirai. «Non questo fine settimana».
«Perché no?».
«Non voglio litigare con Charlie. Non così presto, dopo che mi ha perdonata». Aggrottò le sopracciglia. «Secondo me questo fine settimana è perfetto», mormorò.
Scossi la testa. «Un’altra volta».
«Non sei stata l’unica intrappolata in questa casa, sai». Mi guardò torvo. Il sospetto tornò. Non era da lui comportarsi così. Era sempre assurdamente altruista; sapevo che mi stava viziando.
«Tu sei libero di andare dove ti pare», precisai.
«Il resto del mondo non mi interessa, se non ci sei tu». Alzai gli occhi al cielo, di fronte a quell’esagerazione.
«Dico sul serio», aggiunse.
«Usciamo a vedere il resto del mondo un po’ alla volta, d’accordo? Per esempio potremmo iniziare da un cinema a Port Angeles...».
«Lasciamo perdere. Ne riparleremo», disse infastidito.
«Non c’è nient’altro di cui parlare».
Alzò le spalle.
«D’accordo, allora, cambiamo argomento», proposi. Avevo quasi dimenticato le preoccupazioni di quel pomeriggio... era forse questo il suo vero intento? «Cos’ha visto Alice oggi a pranzo?». Parlavo senza staccare gli occhi dal suo viso per misurarne le reazioni.
La sua espressione restò composta; lo sguardo topazio s’irrigidì appena.
«Ha visto Jasper in un luogo strano, da qualche parte nel sud-ovest, probabilmente, nei dintorni della sua vecchia... famiglia. Eppure lui non ha mai manifestato l’intenzione di tornare», sospirò. «Si è preoccupata».
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