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Stephenie Meyer: Twilight

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Stephenie Meyer Twilight

Twilight: краткое содержание, описание и аннотация

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Bella si è appena trasferita a Forks, la città più piovosa d’America. È il primo giorno nella nuova scuola e, quando incontra Edward Cullen, la sua vita prende una piega inaspettata e pericolosa. Con la pelle diafana, i capelli di bronzo, i denti luccicanti, gli occhi color oro, Edward è algido e impenetrabile, talmente bello da sembrare irreale. Tra i due nasce un’amicizia dapprima sospettosa, poi più intima, che presto si trasforma in un’attrazione travolgente. Finora Edward è riuscito a tener nascosto il suo segreto, ma Bella è intenzionata a svelarlo. Quello che ancora non sa è che più gli si avvicina e maggiori sono i rischi per lei e per chi le sta accanto... Mentre nella vicina riserva indiana riprendono a circolare inquietanti leggende, un dubbio si fa strada nella mente di Bella. Il sogno romantico che sta vivendo potrebbe essere in realtà l’incubo che popola le sue notti.

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Guardai la pista da ballo, al centro si era formato uno spazio vuoto in cui due coppie piroettavano con grazia. Gli altri ballerini restavano ai margini della sala, per fare spazio: tutti temevano il confronto con tanto splendore. Emmett e Jasper mettevano soggezione, maestosi e impeccabili com’erano nei loro smoking. Alice era straordinaria nel suo vestito di seta nera, con fessure geometriche che scoprivano ampi triangoli di pelle candida. E Rosalie... be’, era Rosalie. Non ci si poteva credere. L’abito rosso scuro, che aderiva fin sotto il ginocchio e si allargava in un ampio strascico, le lasciava la schiena scoperta con una scollatura vertiginosa. Non potei che compatire tutte le ragazze presenti, me compresa.

«Vuoi che blocchi le uscite, così potete massacrare gli ignari cittadini?», sussurrai, con fare cospiratorio.

«E tu da che parte stai?».

«Con i vampiri, ovvio».

Non riuscì a trattenere un sorriso. «Qualsiasi cosa, pur di non ballare».

«Qualsiasi cosa».

Comprò i biglietti, poi mi voltò in direzione della pista da ballo. Stavo abbarbicata al suo braccio e trascinavo i piedi.

«Ho tutta la serata», mi avvertì.

Alla fine riuscì a trascinarmi nel punto in cui i suoi fratelli piroettavano eleganti in uno stile totalmente inadatto ai giorni nostri e alla musica contemporanea. Restavo ferma a guardare, terrorizzata.

«Edward». Dalla mia gola totalmente secca non uscì che un rantolo. «Sinceramente, non so ballare!». Sentivo il panico bruciarmi dentro.

«Sciocca, non preoccuparti», rispose. «Io sì». Guidò le mie mani a cingergli il collo, mi sollevò appena e fece scivolare i piedi sotto i miei.

E anche noi ci ritrovammo a roteare.

«Mi sembra di avere cinque anni», dissi ridendo, dopo qualche minuto di quel valzer in cui ero trasportata senza sforzo.

«Non li dimostri», mormorò stringendomi di più a sé, e per un istante volai a qualche centimetro dal suolo.

Alice incrociò il mio sguardo e mi rivolse un sorriso di incoraggiamento, che ricambiai. A sorpresa, mi resi conto che mi stavo divertendo... un po’.

«Okay, non è così male, lo ammetto».

Ma Edward fissava la porta e sembrava arrabbiato.

«Che c’è?», chiesi ad alta voce. Seguii il suo sguardo, disorientata dai volteggi, ma infine riuscii a individuare cosa lo preoccupasse. Jacob Black, non in smoking ma con una camicia bianca e la cravatta, i capelli raccolti all’indietro nella solita coda, attraversava la pista e veniva verso di noi.

Dopo lo stupore iniziale, non potei fare a meno di compatirlo. Era evidentemente a disagio, quasi tormentato. Incrociò il mio sguardo con espressione mortificata.

Edward ringhiò sottovoce.

«Controllati!», sibilai.

La voce di Edward era inquietante. «Vuole fare due chiacchiere con te».

A quel punto Jacob ci raggiunse, l’imbarazzo e la vergogna ancora più evidenti sul suo volto.

«Ehi, Bella, speravo proprio di trovarti». A sentirlo, sembrava che avesse sperato l’esatto contrario. Ma il sorriso era affettuoso come sempre.

«Ciao, Jacob», risposi, ricambiando. «Tutto bene?».

«Mi concedi un ballo?», azzardò, lanciando per la prima volta un’occhiata a Edward. Rimasi sbalordita quando mi accorsi che per guardarlo negli occhi non doveva alzare la testa. Dall’ultima volta che ci eravamo visti era cresciuto quindici centimetri, come minimo.

L’espressione di Edward restò composta, neutra. Si limitò a farmi scendere dai suoi piedi e a fare un passo indietro.

«Grazie», disse Jacob, cortese.

Edward annuì e mi rivolse uno sguardo deciso, prima di allontanarsi.

Jacob mi si avvicinò e prendemmo posizione nella danza. Per posargli le mani sulle spalle dovetti quasi arrampicarmi.

«Accidenti, Jake, quanto sei alto adesso?».

«Più di un metro e ottanta», rispose fiero.

In realtà non ballavamo: ero immobilizzata dall’ingessatura. Ci limitavamo a dondolare goffi sul posto. Andava bene lo stesso. La crescita improvvisa lo aveva reso dinoccolato e scoordinato; probabilmente non era meglio di me, come ballerino.

«Come sei finito qui, stasera?», chiesi, ma non ero troppo curiosa. Probabilmente a causa della reazione di Edward.

«Ci credi se ti dico che mio padre mi ha dato venti verdoni per venire al tuo ballo di fine anno?», confessò, leggermente intimidito.

«Sì, ci credo», bofonchiai. «Be’, se non altro spero che tu ti stia divertendo. Hai visto qualcuna che ti piace?». Indicai un gruppo di ragazze, allineate lungo la parete come pastelli dentro una scatola.

«Sì», sospirò, «una, ma è occupata».

Abbassò gli occhi e incontrò i miei per un istante. Poi entrambi distogliemmo lo sguardo, imbarazzati.

«A proposito, sei molto carina stasera», aggiunse timido.

«Ehm, grazie. Ma perché Billy ti avrebbe pagato per venire qui?», chiesi svelta, malgrado conoscessi già la risposta.

Jacob non sembrava contento che avessi cambiato discorso; guardò altrove, di nuovo a disagio. «Secondo lui era un posto “sicuro” per parlare con te. Mi sa tanto che il vecchio ha perso qualche rotella».

Mi unii senza entusiasmo alla sua risata.

«E comunque, mi ha detto che se ti riferisco un certo messaggio, mi procurerà il cilindro freni che cerco», ammise, sorridendo impacciato.

«Allora parla. Ci tengo a vedere la tua macchina finita», risposi ammiccandogli. Se non altro, Jacob non credeva affatto a suo padre, e ciò rendeva tutto un po’ più facile. Appoggiato alla parete, Edward, imperturbabile, osservava la mia espressione. Una studentessa del secondo anno vestita di rosa se lo stava rimirando timida, ma lui non se ne accorse.

Jacob distolse di nuovo lo sguardo, vergognandosi: «Non arrabbiarti, okay?».

«Non sono capace di arrabbiarmi con te, Jacob. E non mi arrabbierò con Billy. Dimmi pure».

«Be’... scusa, Bella, mi sembra talmente stupido... vuole che lasci il tuo ragazzo. Mi ha pregato di chiedertelo “per favore”». Scosse la testa, disgustato.

«È ancora superstizioso, eh?».

«Sì. Ha... perso la bussola, quando ti sei fatta male a Phoenix. Non ha creduto che...». Jacob si interruppe, imbarazzato.

Lo guardai, severa. «Sono caduta».

«Lo so».

«Pensa che Edward abbia a che fare con ciò che mi è successo». La mia non era una domanda e, malgrado la promessa, ero arrabbiata.

Jacob non osava guardarmi negli occhi. Non ci preoccupavamo nemmeno più di dondolare a ritmo, benché le sue mani fossero rimaste sui miei fianchi e le mie allacciate al suo collo.

«Senti, Jacob, so che Billy stenterà a crederci, ma te lo dico lo stesso». A quel punto tornò a fissarmi, rincuorato dal tono sincero delle mie parole. «Edward mi ha davvero salvato la vita. Se non fosse stato per lui e suo padre, a quest’ora sarei morta».

«Lo so», rispose, ma sembrava che fossero state le mie parole a rassicurarlo. Forse sarebbe riuscito a convincere suo padre almeno di questo.

«Senti, mi dispiace che tu sia venuto fin qui solo per questo, Jacob. Se non altro, vedi di rimediare il tuo pezzo mancante, eh?».

«Sì», bisbigliò. Era ancora impacciato... e sulle spine.

«C’è dell’altro?», chiesi, incredula.

«Lascia perdere. Mi troverò un lavoro e metterò da parte qualche soldo».

Restai a fissarlo finché non incrociò il mio sguardo: «Sputa il rospo, Jacob».

«Non ce la faccio».

«Non m’importa. Parla».

«Va bene... però, uffa, non è una bella cosa». Scosse il capo. «Ha detto di dirti, no, di avvertirti - guarda che il plurale è suo, non mio - che...», staccò le mani da me e mimò le virgolette, «“ti terremo d’occhio”». Attese la mia reazione, ansioso.

Sembrava la battuta di un film sulla mafia. Non riuscii a trattenere una risata ad alta voce.

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