«Non dimenticarti di respirare», bisbigliai, sarcastica. Lui fece un respiro profondo, a occhi chiusi.
Riuscivo anch’io a sentire mia madre. Stava parlando con qualcuno, forse un’infermiera, e sembrava stanca e fuori di sé. Avrei voluto saltare giù dal letto e correre da lei per calmarla e giurarle che andava tutto bene. Ma non ero in condizione di muovermi, perciò attesi, impaziente.
La porta si aprì appena e lei sbirciò nella stanza.
«Mamma!», sussurrai, con voce piena d’amore e sollievo.
Vide la sagoma immobile di Edward sulla poltrona e si avvicinò al mio letto in punta di piedi.
«Non se ne va mai, eh?», mormorò tra sé.
«Mamma, che bello vederti!».
Si chinò ad abbracciarmi delicatamente, e sentii il calore delle lacrime sulle mie guance.
«Bella, ero cosi agitata!».
«Mi dispiace, mamma. Adesso è tutto a posto, tutto okay».
«Sono contenta di vedere che apri gli occhi, finalmente». Si sedette sul bordo del letto.
All’improvviso mi resi conto di aver perso la cognizione del tempo. Non avevo idea di quando fosse successo tutto. «Quanto a lungo sono rimasti chiusi?».
«È venerdì, cara, non sei stata in te per un bel po’».
«Venerdì?». Ero sbalordita. Cercai di ricordare in che giorno... ma non volevo pensarci.
«Hanno dovuto riempirti di sedativi, piccola... eri piena di ferite».
«Lo so». Le sentivo ancora.
«Per fortuna il dottor Cullen era lì. È davvero un brav’uomo... anche se è molto giovane, certo. E somiglia più a un modello che a un medico...».
«Hai conosciuto Carlisle?».
«E Alice, la sorella di Edward. Che cara ragazza».
«Lo è davvero», risposi, con tutta sincerità.
Diede un’occhiata a Edward sprofondato nella poltroncina, sempre con gli occhi chiusi. «Non mi avevi detto di avere amici così cari, a Forks».
Cercai di muovermi e lanciai un gemito.
«Cosa ti fa male?», chiese lei ansiosa, voltandosi di nuovo verso di me. Sentii lo sguardo di Edward sul viso.
«Tutto bene. Devo solo ricordarmi di restare immobile». Edward tornò al suo falso sonnellino.
Sfruttai la distrazione momentanea di mia madre per tenere il discorso lontano dal mio comportamento tutt’altro che limpido: «Dov’è Phil?».
«In Florida. Ah, Bella, non indovinerai mai! Proprio quando stavamo per andarcene è arrivata la buona notizia!».
«Ha firmato un contratto?».
«Sì, come hai fatto a indovinare? Con i Suns, ci credi?».
«Grande», risposi con tutto l’entusiasmo che potevo, malgrado non avessi la minima idea di cosa ciò significasse.
«E vedrai che Jacksonville ti piacerà», aggiunse, mentre la seguivo con sguardo vacuo. «Mi ero preoccupata un po’, quando Phil aveva iniziato a parlare di Akron, con la neve e tutto il resto, perché sai quanto odio il freddo... ma Jacksonville! C’è sempre il sole, e l’umidità, in fondo, non è così tremenda. Abbiamo trovato una casetta bellissima, gialla con le finiture bianche, una veranda come quelle dei vecchi film, una quercia enorme, e poi è a pochissimi minuti dal mare, e in più avrai un bagno tutto per te...».
«Aspetta, mamma!». Edward teneva gli occhi chiusi, ma era troppo teso per sembrare addormentato. «Cosa stai dicendo? Non verrò in Florida. Io vivo a Forks».
«Ma non c’è più motivo, sciocca», disse ridendo. «Phil sarà molto più presente, d’ora in poi. Ne abbiamo parlato molto e abbiamo deciso che nelle trasferte faremo un compromesso: passerò metà del tempo con te e metà con lui».
«Mamma». Ero incerta su quale fosse il modo più diplomatico per parlarle. «Io voglio vivere a Forks. A scuola mi sono ambientata, ho un paio di amiche...», la parola “amiche” la fece immediatamente voltare verso Edward, perciò provai a cambiare direzione, «...e Charlie ha bisogno di me. È tutto solo, lassù, e non sa neanche cucinare».
«Vuoi restare a Forks?», chiese, sbigottita. L’idea, per lei, era inconcepibile. Poi i suoi occhi scivolarono di nuovo su Edward: «Perché?».
«Te l’ho detto... la scuola, Charlie. Ahi!». Mi ero stretta nelle spalle. Cattiva idea.
Si affannò in cerca di una zona del mio corpo che potesse sfiorare senza farmi male. Si accontentò della fronte, lì non c’erano bende né cerotti.
«Bella, piccola mia, tu odi Forks», provò a rammentarmi.
«Non è così male».
Scura in viso, stavolta guardò apertamente prima me, poi Edward.
«È per lui?», sussurrò.
Ero pronta a dirle una bugia, ma da come mi osservava capivo che non sarei riuscita a dissimulare.
«C’entra anche lui». Inutile raccontarle quanto. «Sei riuscita a parlarci un po’?».
«Sì». Restò in silenzio ad ammirare la sua sagoma perfettamente immobile. «E vorrei discuterne con te».
Accidenti. «Di cosa?».
«Penso che quel ragazzo sia innamorato di te», dichiarò, badando a tenere la voce bassa.
«Lo penso anch’io».
«E tu, cosa provi per lui?». Nascondeva piuttosto male la curiosità che l’attanagliava.
Sospirai e abbassai lo sguardo. Per quanto volessi bene a mia madre, non era questo il tipo di conversazione che desideravo sostenere con lei. «Direi che sono pazza di lui». Ecco... l’adolescente tipo che descrive il suo primo amore.
«Be’, sembra un bravo ragazzo, e santo cielo, è incredibilmente bello. Ma sei così giovane, Bella...». La sua voce era insicura: a memoria mia, era la prima occasione, da quando avevo otto anni, in cui si esprimeva con un tono che potesse suonare autorevole, quasi degno di un genitore. Riconobbi l’atteggiamento ragionevole-ma-deciso che aveva quando si parlava di uomini.
«Lo so, mamma. Non preoccuparti. È soltanto una cotta», la blandii.
«Va bene». Si accontentava di poco.
Poi sospirò e lanciò uno sguardo colpevole alle sue spalle, verso il grosso orologio da muro.
«Devi andare?».
«Phil dovrebbe chiamare tra poco... Non sapevo che ti saresti svegliata:..».
«Non c’è problema, mamma». Cercai di non farle sentire il sollievo nella mia voce per evitare di ferirla. «Non sarò sola».
«Torno presto. Ho dormito qui, sai», annunciò, fiera di sé.
«Oh, mamma, lascia perdere! Puoi dormire a casa, non me ne accorgerei neppure». I tranquillanti in circolo rendevano ancora difficile al mio cervello mantenere la concentrazione, malgrado avessi dormito per giorni interi, a quanto pareva.
«Ero troppo nervosa», ammise allora a capo chino. «Sono successe brutte cose nel quartiere e non sto tranquilla a casa da sola».
«Brutte cose?».
«Qualcuno ha fatto irruzione nella scuola di danza dietro casa nostra e l’ha incendiata: non è rimasto niente! E di fronte hanno lasciato un’auto rubata. Ti ricordi quando andavi a lezione lì, tesoro?».
«Ricordo». Sentii un brivido e trasalii.
«Se c’è bisogno di me, posso restare».
«No, mamma. Andrà tutto bene. Edward starà qui con me».
Pareva questa la ragione per cui anche lei desiderava rimanere. «Torno stasera», scandì lanciando l’ennesima occhiata a Edward. Sembrava più un avvertimento che una promessa.
«Ti voglio bene, mamma».
«Anch’io, Bella. Cerca però di stare più attenta a dove metti i piedi, non voglio perderti».
Gli occhi di Edward erano chiusi, ma sulle sue labbra passò un ampio sorriso.
Poi apparve un’infermiera, pronta a controllare i tubi e i fili. Mia madre mi baciò sulla fronte, mi sfiorò la mano bendata e se ne andò.
L’infermiera controllava il tabulato del cardiogramma.
«Sei un po’ agitata, piccola? Qui vedo un bell’aumento di intensità».
«No, tutto bene».
«Dirò alla caporeparto che ti sei svegliata. Tra un minuto verrà a controllarti».
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