Non aveva neanche chiuso la porta che Edward era già al mio fianco.
«Hai rubato un’auto?», indagai, alzando un sopracciglio.
Sogghignò, sfacciato. «Era una bella macchina, molto veloce», «Dormicchiato bene?».
«Sì. È stato interessante». Strinse gli occhi.
«Che cosa?».
Abbassò lo sguardo. «Sono sorpreso. Pensavo che la Florida... e tua madre... be’, pensavo fosse ciò che volevi».
Lo fissavo senza capirlo. «Ma a te toccherebbe restare chiuso in casa tutto il giorno. Potresti uscire soltanto di notte, come un vero vampiro».
Quasi sorrise, ma si trattenne. Poi tornò serio: «Sarei rimasto a Forks, Bella. O in un posto del genere. Ovunque, pur di non farti più soffrire».
Non capii subito. Stavo a guardarlo, inespressiva, mentre il mio cervello incasellava le sue parole, una dopo l’altra, come tessere di un inquietante puzzle. Mi accorgevo appena del bip del mio cuore che accelerava. Il dolore alle costole, invece, lo sentii bene, perché ero andata in iperventilazione.
Lui non disse nulla. Mi osservava guardingo, mentre un dolore molto più intenso, che non c’entrava nulla con le ossa rotte, minacciava di distruggermi.
Poi arrivò spedita un’altra infermiera. Edward rimase pietrificato, mentre lei mi osservava con occhio esperto e passava a controllare i monitor.
«Prendiamo un po’ di tranquillanti, piccola?», chiese gentile, picchiettando sul flacone della flebo.
«No, no», mormorai, cercando di cacciare via la sofferenza dalla voce. «Sto bene così». Non potevo permettermi di chiudere gli occhi proprio in quel momento.
«Non è il caso di essere coraggiosi, cara. È meglio che non ti stressi troppo: hai bisogno di riposo». Restò in attesa, ma io ribadii di no con un cenno.
«D’accordo», sospirò. «Suona il campanello quando ti senti pronta».
Lanciò un’occhiataccia a Edward e osservò per un’ultima volta i monitor con un filo d’apprensione, prima di andarsene.
Lui mi pose le sue mani fredde sul viso, io lo guardavo piena di agitazione.
«Sssh, Bella... calmati».
«Non lasciarmi», lo implorai, senza voce.
«No, te lo prometto. Adesso rilassati, così chiamo l’infermiera con i tranquillanti».
Ma il mio cuore non rallentava.
«Bella», mi accarezzò le guance, nervoso, «non andrò da nessuna parte. Sarò al tuo fianco ogni volta che avrai bisogno di me».
«Giura che non mi lascerai», bisbigliai. Cercavo almeno di controllare l’affanno. Sentivo le costole pulsare.
Avvicinò il mio viso al suo, tenendolo tra le mani. Il suo sguardo era aperto e serio. «Lo giuro».
Il profumo del suo respiro mi tranquillizzò. Riusciva a placare il dolore che sentivo respirando. Edward sostenne il mio sguardo fino a quando il mio corpo non iniziò a rilassarsi, lentamente, e il ritmo del cuore tornò normale. Aveva gli occhi scuri, più neri che dorati.
«Va meglio?», chiese.
«Credo di sì».
Scosse il capo e mormorò qualcosa. Mi sembrava di aver colto le parole “reazione esagerata”.
«Perché hai detto una cosa del genere, prima?», sussurrai, cercando di mantenere salda la voce. «Sei stanco di dovermi salvare in continuazione? Vuoi davvero che me ne vada?».
«No, non voglio stare senza te, Bella, certo che no. Sii razionale. Neanche doverti salvare è un problema. Ma il fatto è che sono io stesso a metterti in pericolo... in fondo è colpa mia se sei qui».
«Sì, se non fosse stato per te non sarei qui... viva».
«A malapena». La sua voce era un sussurro. «Coperta di bende e cerotti, nemmeno in grado di muoverti».
«Non parlo dell’ultima volta in cui ho rischiato di morire», sbottai, irritata. «Ce ne sono altre, scegline una. Se non ci fossi stato tu, sarei finita a marcire nel cimitero di Forks».
Le mie parole lo fecero sussultare, ma lo sguardo tormentato non se ne andava dai suoi occhi.
«Non è questa la parte peggiore, comunque», proseguì. Era come se non avessi parlato. «Non è stato averti vista là, sul pavimento... sottomessa e picchiata». La sua voce era soffocata. «Non è stato temere che fossi arrivato davvero troppo tardi. Nemmeno sentirti urlare di dolore... o tutti quei ricordi insopportabili che porterò con me per l’eternità. No, la parte peggiore è stata sentire... sapere che non sarei riuscito a fermarmi. Essere convinto che sarei stato io a ucciderti».
«Ma non l’hai fatto».
«Avrei potuto. Senza sforzo».
Dovevo mantenere la calma... ma stava cercando di convincersi a lasciarmi, e il panico che mi aveva riempito i polmoni voleva uscire.
«Prometti», mormorai.
«Cosa?».
«Lo sai, cosa». A quel punto stavo per arrabbiarmi. Era testardamente determinato a battere sul tasto del pessimismo.
Sentì cambiare il mio tono di voce. Mi guardò torvo. «A quanto pare non sono abbastanza forte da poterti stare lontano, perciò immagino che alla fine farai a modo tuo... anche a costo di farti uccidere». Aggiunse quelle ultime parole in tono sgarbato.
«Bene». Non aveva promesso però, e la cosa non mi era sfuggita. Trattenevo a stento il panico; non mi era rimasto un briciolo di forza per controllare la rabbia. «Hai detto che ti sei fermato... adesso voglio sapere perché».
«Perché?».
«Perché l’hai fatto. Perché non hai lasciato che il veleno entrasse in circolo? A quest’ora sarei uguale a te».
I suoi occhi diventarono neri e opachi, e ricordai che lui non aveva mai voluto che scoprissi certi particolari. Alice, probabilmente, era occupata a mettere ordine in ciò che aveva scoperto della propria vita... oppure aveva trattenuto i pensieri in presenza di Edward. In ogni modo, era chiaro: lui non sospettava affatto che la sorella mi avesse spiegato la meccanica delle trasformazioni vampiresche. Era sorpreso e infuriato. Dilatò le narici, la sua bocca sembrava incisa nella pietra.
Non intendeva degnarmi di una risposta, era evidente.
«Sono la prima ad ammettere di non essere esperta di relazioni», dissi io, «ma mi sembra quantomeno logico... tra un uomo e una donna deve esserci una certa parità... per esempio, non può toccare sempre a uno solo dei due salvare l’altro. Devono potersi salvare a vicenda».
Seduto sul bordo del letto, incrociò le braccia e ci affondò il mento. Sembrava più tranquillo, tratteneva la sua furia. Evidentemente aveva deciso di arrabbiarsi con qualcun altro. Speravo di poter avvertire Alice prima che la incrociasse.
«Ma tu mi hai salvato», disse piano.
«Non posso essere sempre Lois Lane. Voglio essere anche Superman».
«Non sai cosa mi stai chiedendo». Parlava in tono pacato. Fissava il bordo della federa.
«Invece credo di sì».
«Bella, non te ne rendi conto. Ci penso da quasi novant’anni e non mi sono ancora fatto un’idea».
«Vorresti che Carlisle non ti avesse salvato?».
«No, non è così». S’interruppe qualche istante. «Ma la mia vita era giunta al termine. Non stavo rinunciando a niente».
«La mia vita sei tu. Soffrirei davvero soltanto se perdessi te». Stavo migliorando. Era facile ammettere a che punto avessi bisogno di lui.
Ma Edward restava calmo. Deciso.
«Non posso farlo, Bella, e non lo farò».
«Perché no?». Avevo la gola secca, le parole non uscivano chiare come desideravo. «E non dirmi che è troppo difficile! Dopo oggi, o qualche giorno fa, quando è stato... be’, dopo tutto questo, dovrebbe essere una passeggiata!».
Mi squadrò.
«E il dolore?», chiese.
Sbiancai. Non potei impedirmelo. Ma cercai di non far trapelare quanto bene ricordassi quella sensazione... il fuoco nelle vene.
«È un problema mio. Posso cavarmela».
«A volte capita di trascinare il coraggio fino al punto in cui diventa pazzia».
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