Alfredo Aiello - Venezia. Ciminiere Ammainate

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PUPPINI. Ma ci furono anche scontri fisici?

GHISINI. R icordo Cesco Chinello, che mentre era malmenato dalla polizia urlava: «Io sono un senatore, io sono un parlamentare...»; «E noi siamo deputati» risposero i poliziotti mentre lo bastonavano. Fu una vicenda politicamente molto grossa. Ci fu poi, negli anni del terrorismo, una colonna delle Brigate Rosse che assunse il nome di “Brigate Rosse colonna 2 agosto.

PUPPINI. La cosa clamorosa fu che la polizia scappò e Marghera ritornò nelle mani dei manifestanti.

GHISINI. Avvenne così. Andammo, come sindacato, dal prefetto e gli dicemmo: «Se entro 24 ore la polizia non va via, se non li rimandate a Padova, noi non garantiamo più niente e dei fatti che accadranno saranno tutte vostre le responsabilità ». Al prefetto io stesso dissi: «Adesso faccia quello che vuole». Questo era il clima. Ci furono feriti, mi pare otto, di cui uno molto grave. Ecco, Germano in quelle situazioni era a suo agio... si sentiva bene... Ricordo che poi la sera siamo scesi dalla Prefettura e c’erano i lavoratori che ci attendevano. Un clima di eccitazione la faceva da padrone.

PUPPINI. Quali erano i motivi di quella lotta sindacale?

GHISINI. Era la lotta dei lavoratori delle imprese di appalto, che operavano all’interno del Petrolchimico di Marghera. Lo scontro con la polizia fu una storia nata male. Si stava discutendo con il prefetto per trovare una soluzione alla vertenza. Ricordo che proprio io trattavo con la polizia per evitare che si arrivasse a scontri, stavo per questo discutendo con il dottor Pensato della Questura di Venezia, quando venendo fuori dal bar – la trattoria da Pesce, che era proprio lì davanti al Petrolchimico – un getto d’acqua, per opera di poliziotti con idranti, ci investe e finiamo di colpo per terra. Proprio ci sbattono per terra! Con gli idranti i poliziotti erano circa a 5 metri. È stato un colpo violento. Allora ho tirato su Pensato, che, poveretto, aveva perso anche gli occhiali, poi là in mezzo ho gridato: «Assassini, delinquenti» ma mi tenevo sempre legato a Pensato («per protezione» dice Giuliano ridendo)... Pensato era il capo della Squadra Mobile di Venezia e vicequestore....(17. Puppini C., Intervista a Giuliano Ghisini e Alfredo Aiello, Mestre 3 ottobre 1994, dattiloscritto).

Anche dall’intervista a Giosuè Orlando, sulla parte riguardante le imprese di appalto, emerge il ruolo centrale di Ghisini. Del tutto diversa la genesi della vertenza Sava. Al centro della vertenza stava la difesa dell’attività produttiva e dell’occupazione. Gli svizzeri dell’Alusuisse tentarono un blitz, come mi confidò un loro autorevole e altissimo dirigente italiano a metà anni Ottanta. Sapevano almeno dalla metà degli anni Sessanta che non avrebbero più prodotto alluminio primario in Italia. Ritennero, però, di mettere tutti, lavoratori, sindacati, istituzioni, davanti al fatto compiuto. Ma la lotta dei lavoratori della Sava, la capacità di tenuta con oltre 800 ore di sciopero, la sapienza nel costruire un vasto schieramento alleato, che realizzò una possente pressione soprattutto verso il Governo nazionale, impose all’Aulisse, come contropartita alla chiusura, di partecipare alla creazione di due nuove aziende costruite sullo stesso suolo della vecchia Sava di Marghera: la Metallotecnica e la Elemes. Le vicende delle imprese di manutenzione e della Sava, due realtà fisicamente adiacenti, delineano due scenari per molti versi opposti. Da un lato le imprese di appalto con grandi commesse da realizzare e un basso tasso di sindacalizzazione dei lavoratori e l’assenza di una contrattazione sindacale collettiva. Dall’altro lato la Sava, minacciata dalla chiusura contro la quale lottano uniti lavoratori sindacalizzati. Nelle interviste di Brazzolotto e di Coin si delinea lo scenario di una delle vertenze sindacali più intense nella storia delle relazioni industriali a Porto Marghera. Dall’intervista di Coin si coglie, però, la volontà della multinazionale svizzera, maturata dopo quella vertenza, di operare per un rilancio degli stabilimenti del gruppo a Porto Marghera. Ma prima fu indispensabile una lunga e intensa lotta che coinvolse tutta la città , con un presidio in piazza Ferretto a Mestre, attorno a una grande tenda da campeggio, che resterà famosa come la “tenda rossa”, un luogo di riferimento per tutti coloro che vollero solidarizzare con i lavoratori. Alla vertenza delle imprese di appalto metalmeccaniche di Porto Marghera calza perfettamente la riflessione proposta da Ferruccio Gambino guardando a fenomeni similari in altre parti del mondo: «... Il ritornello è noto: si richiede manodopera e arrivano persone. Se la società accumulativa, secondo Adam Smith, esige le mani, essa deve pur sempre lasciar fluire corpi e menti, con le loro storie, i loro costumi, le loro lingue, le loro aspirazioni...» (18 Gambino F., Alcune aporie delle migrazioni internazionali , «Aut Aut», p. 275, 1996).

Obiettivi della vertenza sono: la costruzione di un sindacato aziendale all’interno delle attività produttive, l’acquisizione di diritti per uniformare le condizioni normative a quelle dei dipendenti delle grandi aziende committenti e, infine, la contrattazione e il controllo dell’organizzazione del lavoro, del salario e delle condizioni di vita nei luoghi di lavoro. Da aprile fino al 2 agosto del 1970 la vertenza porta a un progressivo inasprimento nelle relazioni industriali. I circa 10.000 addetti del settore rappresentano una particolarissima realtà nel panorama sindacale veneziano. Si tratta, infatti, di forza lavoro per buona parte molto professionalizzata ma portata, per le condizioni di mobilità , a un rapporto poco disciplinato con l’organizzazione sindacale. Ma le condizioni di relativa stabilità del ruolo degli appalti nell’area chimica – grandi manutenzioni e costruzioni determinano fra questi lavoratori una condizione “unitaria” che li avvicina alla classe operaia della fabbrica tradiziona le, con in più un regime di divisioni e discriminazioni insopportabili. Sono elementi sufficienti a produrre una brusca e conflittuale sindacalizzazione (19 Resini D. (a cura di), Cent’anni a Venezia. La Camera del Lavoro 1892-1992 , Il Cardo, Venezia 1992, p. 478).

La vertenza delle imprese di appalto si concluderà dopo oltre 200 ore di sciopero e dopo quella giornata del 2 agosto ricordata nell’intervista di Ghisini, quando i picchetti operai bloccheranno le portinerie della Montedison e le strade, producendo l’isolamento del polo industriale dal territorio circostante, e la polizia, presente massicciamente, “caricherà ” gli operai. Gli scontri sono aspri e vedono accorrere anche la popolazione di quella zona estrema di Marghera: Ca’ Emiliani. Subito arrivano anche gli operai della Sava a dare man forte, mentre quelli dell’Italsider, della Chatillon e degli Azotati entrano in sciopero più tardi.

Gli scontri, questa volta, sono durissimi. Chinello e Golinelli, parlamentari, vengono picchiati dagli agenti e uno di questi viene fatto “prigioniero” dopo aver investito un dimostrante e condotto, semisvenuto, dai suoi colleghi. Per tutta risposta un graduato e alcuni agenti estraggono le pistole e sparano numerosi colpi. Due operai saranno feriti, ma poi la polizia viene travolta. A mezzogiorno la “battaglia” è finita. Il giorno dopo interviene l’accordo che non soddisfa le richieste di garanzie occupazionali, ma sancisce il riconoscimento, di fatto, di un’unica condizione contrattuale per questi lavoratori, poi rafforzata anche a livello sindacale con il “Coordinamento imprese”, una sorta di consiglio di fabbrica interaziendale.(20. Resini D. (a cura di), Cent’anni a Venezia. La Camera del Lavoro 1892-1992 , Il Cardo, Venezia 1992, p. 479).

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