Alfredo Aiello - Venezia. Ciminiere Ammainate

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Dieci anni dopo, nel 1988, l’occupazione complessiva risulterà ridotta di oltre 9.000 unità con un calo pari al 35%. Le linee della trasformazione sono evidenti: le aziende di classe superiore ai 500 addetti si riducono di oltre la metà e i loro occupati calano del 52%; le aziende più piccole di classe 10-49 addetti triplicano, mentre gli occupati crescono solo dell’87%; le aziende di classe 50-99 addetti calano del 20% ma gli occupati restano stabili; infine nella classe 100-499 addetti le aziende crescono del 33% e gli occupati aumentano del 30%.

Dieci anni dopo, nel 1998, l’occupazione complessiva risulta ridotta ulteriormente di oltre 4.000 unità con un calo pari al 25%. Le aziende di classe superiore ai 500 addetti diminuiscono ancora e i loro occupati calano del 52%; le aziende di classe 10-49 addetti quasi quadruplicano, mentre i loro occupati crescono del 250%; anche le aziende di classe 50-99 crescono significativamente, mentre nella classe 100-499 addetti le aziende e gli addetti si riducono, grossomodo, della metà . Per quanto riguarda le variazioni dell’occupazione per settori, si osserva una riduzione generalizzata: nella chimica gli addetti calano, tra il 1978 e il 1998, da 12.557 a 3.674 e il peso sul totale passa dal 47% al 28%; nel settore petrolifero si passa da 1.654 a 534 addetti; nella metallurgia e siderurgia da 7.330 a 1.221 addetti e, in termini di peso, dal 18% al 9%. Un andamento diverso è quello del cantiere navale ex Breda, del gruppo Fincantieri, dove al dimezzamento degli addetti diretti corrisponde la contemporanea e fortissima crescita dei dipendenti delle imprese esterne che operano in appalto, grazie alle grosse commesse acquisite nel settore crocieristico. A tale andamento dell’occupazione nel polo industriale non corrisponde, però, una riduzione delle quantità prodotte. Infatti «nel decennio 1977-1987 (...) vi è stata una forte caduta dell’occupazione soprattutto negli stabilimenti legati agli input dal mare, ma ciò nonostante vi è stato nell’insieme un aumento della produzione» (5. Coses e Comune di Venezia (a cura di), Porto Marghera. Proposte per un futuro possibile , Angeli, Milano 1990, p. 28).

La tab. 2 fotografa l’assenza di una correlazione tra addetti e produzione. Nella storia recente di Porto Marghera si possono individuare tre fasi: negli anni Settanta lo sviluppo di Porto Marghera è l’aspetto prevalente; negli anni Ottanta si registrano una lunga fase di ristrutturazione e la dismissione di alcune produzioni, con una forte riduzione degli occupati; negli anni Novanta il mutamento del vecchio modello industriale diventa radicale.

Uno sviluppo produttivo e occupazionale sembra durare fino a metà anni Settanta, quando inizia a far sentire, in modo manifesto, i suoi effetti il cambio di fase dell’economia internazionale: un rallentamento della crescita, infatti, presente sin dal 1967, si materializza con forza a seguito dell’esplodere, nel 1973, della crisi petrolifera in conseguenza della sospensione di forniture di greggio da parte dei Paesi arabi, come ritorsione verso i Paesi considerati alleati di Israele. Si aggiungono poi, nel 1979, gli effetti della seconda crisi petrolifera, dettata questa volta dall’Iran, che blocca le sue esportazioni di greggio. Il polo industriale, che faceva leva sulle trasformazioni di materie prime a elevato consumo energetico, vive di conseguenza ripetute crisi aziendali. Alla fine degli anni Settanta dunque si erano già manifestati numerosi segnali di una rilevante e imminente trasformazione (6. Coses e Comune di Venezia (a cura di), Porto Marghera. Proposte per un futuro possibile , Angeli, Milano 1990, pp. 95-97). Gli anni Ottanta finiranno per caratterizzarsi per la drammatica crisi produttiva, che i dati occupazionali riflettono solo in parte: nei rilevamenti sull’occupazione risultano occupati centinaia di lavoratori che in realtà sono in cassa integrazione, sebbene vi sia la certezza che molti non saranno più rioccupati. D’altro canto nei calcoli sono esclusi, per la difficoltà a censirli, i lavoratori indiretti, come quelli che operano nelle manutenzioni o nella logistica della grande azienda. Chimica, cantieristica di costruzione e di riparazione, alluminio, rame, zinco, siderurgia, imprese di appalto, meccanica, carpenteria sono tutti settori che si misureranno con processi di ristrutturazione volti a razionalizzare le attività produttive, cioè produrre di più con meno addetti e, quindi, con un netto peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita per l’insieme dei lavoratori. Si registra, anche, una forte tendenza al ridimensionamento delle attività , a volte limitato alla chiusura di alcune linee di produzione (come i forni per la produzione primaria dell’alluminio), altre volte, invece, si verificherà la chiusura totale di aziende (come l’Alluminio Italia di Porto Marghera o la Preo, azienda siderurgica privata). Molto dipende dall’andamento del mercato in cui le aziende operano; in alcuni casi decisivo per continuare l’attività è l’Intervento degli enti locali, della Regione o dello Stato, spesso teso a tamponare i negativi effetti sociali delle crisi aziendali. Dopo la crescita degli anni Settanta e il declino degli anni Ottanta, gli anni Novanta si caratterizzano per il rallentamento delle espulsioni di manodopera dalle fabbriche e, ancor più, per la diffusa consapevolezza della necessità di riequilibrare il modello industriale basato sulle grandi aziende soprattutto pubbliche e concentrato sulle produzioni di base. Così nel settore petrolchimico si intensifica il processo di automazione, mentre in Montedipe, Agrimont, Ausimont si portano avanti soluzioni organizzative nuove. Nel settore alluminio, invece, si cerca di riconvertire le attività passano dalla produzione primaria ai prodotti finiti, utilizzando la nuova società Alutekna. Nella cantieristica si passa dalla costruzione delle tradizionali navi commerciali alle sofisticate navi passeggeri, sempre più imponenti, e lo stabilimento della Fincantieri di Porto Marghera si colloca tra i protagonisti a livello mondiale in questo nuovo mercato. È da ricordare anche l’impatto delle decisioni prese in sede europea che pongono ai singoli Stati precise condizioni volte a riorganizzare su scala europea le industrie nazionali. Numerose leggi di settore intervengono a disciplinare le attività produttive, in termini di quantità di produzione, aiuti pubblici, impatto ambientale, ecc. Il caso Fincantieri (7. Aiello A., La Fincantieri e la crisi della cantieristica italiana , in «Economia e società regionale», 2, 2004) è paradigmatico della ristrutturazione industriale avvenuta su scala europea. E lo stesso è accaduto anche in altri settori industriali come la siderurgia, la metallurgia non ferrosa, la chimica. Gli interventi europei volti a eliminare gli aiuti di Stato alle imprese, cioè a eliminare la concorrenza sleale nel mercato comunitario, hanno mirato a determinare una gestione più oculata delle risorse. Da qui profonde ed estese ristrutturazioni e riorganizzazioni produttive, con interventi sugli impianti, sull’organizzazione aziendale, sull’occupazione.

La “Vertenza Venezia”. Una gestione unitaria del polo industriale?

Il 5 febbraio 1981, al cantiere navale Breda di Porto Marghera è convocata dalla Federazione Cgil, Cisl e Uil di Venezia una riunione delle segreterie dei sindacati di categoria e dei Consigli di fabbrica per discutere «sulla preoccupante situazione di Porto Marghera, e soprattutto per le prospettive del Polo, che si lega organicamente con la crisi del sistema delle Partecipazioni Statali e con gli inaccettabili ritardi nella costruzione di una strategia di riorganizzazione dell’industria di base a seguito della crisi energetica...» (8. Ghisini G., Sintesi della relazione tenuta a nome della segreteria Cgil, Cisl e Uil , Porto Marghera, febbraio 1981, dattiloscritto). Nella relazione dei sindacati si chiede «un contributo più efficace» dei partiti politici e delle istituzioni locali, in vista di un progetto del sindacato su «Marghera e sull’area veneziana». Nasce così la Vertenza Venezia, un « progetto di sviluppo economico, produttivo e occupazionale dell’area veneziana » (9. Di Renzo T., Eravamo bonzi. Ricordi senza remore delle lotte sindacali del 1980. Il petrolchimico di Porto Marghera , Marsilio, Venezia 1988, pp. 145-148). Si mira, con essa, a unificare le lotte dei lavoratori sui problemi occupazionali, evitando di rincorrere le singole situazioni di crisi. Vengono individuate con precisione anche le controparti cui le rivendicazioni sono state indirizzate: Associazione Industriali, Costruttori edili, Confcommercio, Associazione piccole aziende, Intersind e Asap (associazioni di aziende industriali pubbliche poi confluite in Confindustria), come pure Governo, Regione, Comune e Comprensorio. Il primo sciopero a sostegno delle richieste sindacali, il 17 febbraio 1981 in piazza San Marco a Venezia, con l’intervento conclusivo di Luciano Lama, segretario generale della Cgil nazionale, vede la partecipazione di oltre 30.000 persone.

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