Alfredo Aiello - Venezia. Ciminiere Ammainate
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Il limite di queste iniziative è che ci sono stati risultati politici importanti ma non pratici. E senza risultati pratici i problemi di Marghera non si risolvono. Dobbiamo interrogarci più a fondo sul perché Governo, Regione, Comune, padronato, partiti, si sono trovati dâaccordo sugli interventi proposti dal sindacato e alla fine... sono venute a mancare le cose pratiche. Come pure dobbiamo interrogarci su un altro limite, che perdura e che rischia di diventare un vero pericolo: questa piattaforma Venezia è nata per lâinsieme dei lavoratori veneziani, non può essere solo la piattaforma dellâindustria o di una parte di essa .(10. Aiello A., Articoli, interviste, interventi, 1975-2004, Relazione introduttiva Comitato Direttivo Fiom-Cgil , Venezia 30 marzo 1983, dattiloscritto)
Per il sindacato era lâintero polo industriale a essere posto in discussione. Da qui, lâesigenza di avere â innanzitutto dal Governo â risposte che coniugassero le politiche industriali ed economiche nazionali con il riassetto del territorio. Non una vertenza di âcampanileâ, corporativa, ma al contrario aperta al contributo delle forze politiche e istituzionali e dello stesso sindacato nazionale. I bisogni e le aspirazioni dei sindacati veneziani dovevano però scontrarsi con i bisogni e le aspirazioni di altri soggetti presenti nellâarena politica.
Quale politica industriale: territoriale o nazionale di settore?
Facendo leva sulla competitività dei siti industriali, si mirava a non subire una politica industriale calata dallâalto, frutto di decisioni tutte nazionali, allâinterno delle quali non poco peso finivano per avere le questioni sociali. Comunque non sempre il primato dellâefficienza avrebbe privilegiato Porto Marghera â e in generale il Nord â a discapito del Sud Italia, considerato spesso come unâarea assistita. Valga per tutti il caso Italsider: il centro siderurgico di Taranto avrebbe potuto, da solo, far fronte allâintero fabbisogno di produzione di acciaio del Paese. Una valutazione prettamente economica avrebbe dato ragione alla scelta di puntare tutto su Taranto, ma poi chi avrebbe gestito le negative e pesanti ricadute e cioè lo stop alle attività a Napoli, Genova, Trieste, Venezia? Sarebbe stata una scelta comprensibile se basata su una politica di settore e basta: ma diventava subito dopo una scelta inaccettabile se vista nellâottica dei territori. Lâiniziativa veneziana poteva, perciò, essere considerata come una sorta di fuga in avanti, un pensare a sé a discapito degli altri. à significativa, a tale proposito, unâintervista rilasciata a Toni Jop del quotidiano LâUnità , il 27 maggio 1981, dallâallora ministro delle Partecipazioni Statali, Gianni De Michelis: (11. Jop T., De Michelis: âTagliare per rilanciareâ. Pellicani: âChi è mancato è il governoâ , «LâUnità », 27 maggio 1981).
âLâAlumetal di Fusina raddoppierà ?
Rinviamo di tre anni il raddoppio e intanto facciamo funzionare Bolzano. Non chiudiamo lâAlumina ma non la lasciamo così comâè. Facciamo funzionare lâElemes.
Quindici giorni fa, lâEfim ha chiesto al governo 300 miliardi per finanziare un programma che prevede anche e soprattutto il raddoppio di Fusina; ora lei afferma cose molte diverse da quelle dette dallâEfim...
Ma è una cosa allâitaliana; per lâalluminio seguiremo la stessa strada battuta per la siderurgia.
Breda: si âtagliaâ o no?
Non si taglia in modo drastico se ci si muove subito.
E la progettazione resta al cantiere o no?
Lo sanno anche loro: parte resta e parte va a Monfalcone.
Petrolchimico: si passerà dalle attuali 350.000 tonnellate del cracking alle previste 500.000?
No: il previsto âsbottigliamentoâ non ci sarà per ora; prima pensiamo al Sudâ.
Al ministro risponde Gianni Pellicani allora vicesindaco di Venezia:
âIl ministro è caduto in contraddizione... alludo in particolare allâannuncio dellâabbandono del raddoppio del cracking e dellâimpianto Alumetal di Fusina... non câè tanto tempo a disposizione... ma proprio per questo è necessario che il governo, a cui competono direttamente o indirettamente tante decisioni per Porto Marghera, intervenga tempestivamente in termini precisi e non con programmi e impegni genericiâ.
Il tentativo di procedere con un progetto territoriale non riuscì appieno ma fu utile per orientare le lotte dei lavoratori veneziani ed evitare di marciare su una logica volta alla difesa dellâesistente. Il progetto servì da bussola non solo per i sindacati veneziani, nelle discussioni e nella formulazione di proposte che, dopo la metà degli anni Ottanta, si realizzarono a livello nazionale.
Fu proprio De Michelis, nella veste di vicepresidente del Consigli dei Ministri, alla fine degli anni Ottanta, a ricordare le motivazioni che impedirono la costruzione di un tavolo negoziale nazionale incentrato su Porto Marghera:
âLe cose avvenute sono state realizzate conseguentemente a un disegno unitario, sia per le trasformazioni dei singoli settori, sia per Porto Marghera nel suo complesso. Un disegno unitario che però ha avuto, per ragioni inevitabili, il suo cuore a Roma. Non per espropriare Venezia delle sue competenze, ma perché gli interventi da realizzare erano collegati a più generali processi di ristrutturazione â della chimica, dellâalluminio, della cantieristica, della siderurgia e quantâaltro â che non potevano che essere governati a scala nazionale. Era evidente che necessitava un approccio di tipo verticale, a monte; altrimenti sarebbe stato impossibile sapere cosa fare qui, a Venezia, nelle singole attività presenti nella zona industriale a fine anni Settanta. Ma bisogna ricordare che il piano di trasformazione ha avuto anche un suo collante e un suo coordinamento di tipo orizzontale, in sede locale. E il merito è stato della classe dirigente di questa città â .(12. Coses e Comune di Venezia (a cura di), Porto Marghera. Proposte per un futuro possibile , cit., p. 438).
Porto Marghera e centro storico: industria e salvaguardia
Uno dei principali aspetti della complessità di Porto Marghera è lâessere adiacente a una città storica come Venezia. Due mondi distinti e lontanissimi su più piani. Dal punto di vista economico il centro storico è sempre più concentrato nelle attività legate a un turismo in forte espansione, mentre la terraferma vive in buona parte sul reddito creato dalle attività industriali e commerciali. Dal punto di vista âecologistaâ addirittura due mondi contrapposti: unâarea industriale con possibili rischi ambientali a poche centinaia di metri da un museo a cielo aperto, di storia millenaria, unico e irripetibile. Entrambi i luoghi vivono processi di trasformazione non sempre positivi. In un convegno della Fiom veneziana dellâaprile del 1991 ci si chiedeva, guardando lâesodo dal centro storico di Venezia, se il calo continuo e costante dei residenti non era oramai un processo inarrestabile e, conseguentemente, il ripopolamento di Venezia un obiettivo auspicato ma sempre più distante. Era una visione âcatastrofistaâ dei processi allora in atto a Venezia? A Venezia tutto ciò che non era legato allo sfruttamento della città in funzione turistica già allora scompariva, e il nuovo, necessario per impedire lâaffermarsi di una nociva e controproducente monocultura economica, non emergeva. Anzi appariva esplicita, già allora, la tendenza di importanti attività produttive artigianali a riconvertirsi in funzione del turismo. E la tendenza era ancora più evidente se si osservavano direttamente le attività produttive che nel centro storico chiudevano e davano il senso più vero di un processo di vera e propria decadenza. (13. Aiello A., Articoli, interviste, interventi, 1975-2004, Relazione introduttiva al convegno âQuale sviluppo delle attività produttive a Venezia? Ruolo della navalmeccanica e delle tecnologie marineâ , Venezia, Ateneo Veneto, 5 aprile 1991, dattiloscritto). Ha ragione Dorigo, quando sostiene che tale condizione è frutto di una scelta consapevole â soggettiva â di una voluta trasformazione genetica? La filiera turistica per prevalere aveva la necessità di spostare dal centro storico verso la terraferma il porto commerciale. Lâeffetto non poteva che essere lâavanzata della monocultura. à venuta così a mancare nellâeconomia del centro storico quella logica della âbuona miscelaâ data da attività economiche diversificate, comprese le attività produttive specie se legate al mare. Lâinserimento allâArsenale di Venezia di Thetis, unâattività nata dallâimpegno di alcune società (tra cui Tecnomare e Fincantieri) ha rappresentato allâinizio degli anni Novanta uno dei tentativi più riusciti di contrastare la monocultura turistica veneziana. Venezia, è inutile nasconderlo, ha vissuto e ancora vive su alcune ârenditeâ che finiscono per indebolire gli stimoli imprenditoriali: turismo, porto, università , Casinò municipale, grandi aziende industriali pubbliche, aeroporto, grandi opere infrastrutturali avviate. Ma non va dimenticato che, dal 1973, una legislazione speciale mira a salvaguardare la città storica dal pericolo delle acque alte, dopo le maree eccezionali del novembre del 1966. Svariati miliardi di euro sono stati spesi per la salvaguardia e il recupero di pezzi della città ; almeno quattro miliardi di euro saranno investiti nelle grandi opere di difesa. Non manca, però, il dibattito con posizioni contrastanti e lâintervista a Pravatà ne è una testimonianza.
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