Cesaria è scoppiata a ridere. Se non ora, quando? Vieni qui, se non vuoi spezzarmi il cuore un’altra volta.
“Oh, mamma…”
È andato da lei e le ha premuto il viso contro la spalla mentre lei lo stringeva tra le braccia.
“Perdonato?” ha ripetuto Galilee.
Perdonato, ha risposto Cesaria.
Non mi sarei mai aspettato di arrivare alle ultime pagine di questa storia seguendo i passi di Zelim il pescatore, ma è proprio questo che è successo. Lasciandomi alle spalle quella felice riunione, mi sono inoltrato tra gli alberi. Era buio e ben presto ho smesso di cercare una strada da seguire; mi sono limitato ad avanzare attraverso la vegetazione, lasciando che fosse il caso a decidere del mio destino. Ciò che ricordavo del viaggio di Zelim non era poi molto rassicurante. Era emerso da quella foresta solo per essere aggredito da un gruppo di banditi. Speravo di essere più fortunato di lui; speravo che Cesaria in qualche modo mi guidasse e continuasse a vegliare su di me.
Tuttavia il viaggio non si è fatto più facile, anzi. Quando ero ormai convinto che l’oscurità attorno a me non potesse essere più profonda, si è infittita ancora di più. E ben presto mi sono ritrovato a barcollare alla cieca con le braccia protese davanti a me per evitare di finire contro un albero. Questo comunque non ha impedito alla mia faccia, alle mie mani e al mio petto di essere graffiati dalle spine o ai miei piedi di restare impigliati tra gli arbusti. Sono caduto diverse volte, rimanendo senza fiato. Con una certa amarezza, ho ripensato alla benedizione finale di Cesaria. Fai buon viaggio. Visto che quello in cui mi trovavo era il suo mondo, non avrebbe potuto far splendere la luna su di me perché illuminasse il mio cammino?
No, immagino che avrebbe ribattuto che in quel modo sarebbe stato troppo facile. Cesaria non era mai stata inutilmente gentile, nemmeno con se stessa. Soprattutto con se stessa. E non sarebbe cambiata solo perché suo figlio era tornato da lei.
Comunque era troppo tardi per tornare indietro. La spiaggia era scomparsa da tempo alle mie spalle. Non avevo altra scelta che continuare a vagare — come Zelim aveva fatto prima di me — sperando che quel tormento prima o poi finisse.
E così è stato, dopo molto, molto tempo. Ho intravisto una luce color ambra tra gli alberi e, cercando di tenere lo sguardo fìsso sul chiarore, mi sono incamminato in quella direzione. Stava arrivando l’alba, proprio davanti a me; potevo scorgere strati di nuvole colorate, i loro vetri piatti accarezzati dal sole che stava sorgendo. E per dare il benvenuto alla luce, cori di uccelli hanno riempito l’aria attorno a me. Le mie gambe erano ormai molto deboli e il mio corpo tremava per la stanchezza, ma quello spettacolo mi ha dato nuove energie e non più tardi di cinque minuti dopo sono emerso dalla foresta.
Il mio viaggio notturno era stato ben più complesso di quanto avessi potuto immaginare. In qualche modo, gli incanti di Cesaria mi avevano condotto fuori dalla casa e attraverso il parco fino ai confini dell’Enfant. Ed era lì che mi trovavo adesso tra terra sacra e terra secolare; tra il territorio dei Barbarossa e il resto del mondo. Alle mie spalle, c’era un fitto muro di alberi, la vegetazione densa e impenetrabile, mentre davanti a me si estendeva un paesaggio di semplici virtù. Colline che si levavano dai terreni paludosi che circondavano l’Enfant; piccoli gruppi di alberi, campi incolti. Nessun segno di insediamenti umani.
Gli uccelli che avevano salutato il mattino si sono levati in volo e io, guardandoli attraversare quel cielo vasto e luminoso, d’improvviso mi sono sentito infinitamente vulnerabile. Era passato molto tempo dall’ultima volta che mi ero davvero allontanato da casa e sono stato tentato di tornare sui miei passi. C’erano ancora delle faccende in sospeso, mi sono detto: non potevo andarmene nel mondo così, lasciandomi alle spalle la vita che avevo vissuto. Un viaggio come quello aveva bisogno di preparativi. Dovevo dire addio a Marietta, a Zabrina e a Luman; dovevo scrivere le ultime pagine del libro che attendeva sulla mia scrivania; dovevo ripulire il mio studio e riporre le mie carte private. C’era da fare questo, c’era da fare quello.
Naturalmente erano tutte scuse. Stavo solo tentando di posporre il momento spaventoso in cui avrei davvero rivisto il mondo. Era questa la ragione per cui Cesaria mi aveva gettato in quell’improvviso esilio, ne ero certo, per negarmi ogni esitazione e ogni ripensamento, per obbligarmi a uscire sotto l’immensità del cielo. In breve, per costringermi a vivere.
Ero ancora lì e stavo fissando il paesaggio deserto davanti a me quando ho sentito un fruscio nella vegetazione alle mie spalle. Mi sono voltato e con mia grande sorpresa ho visto Luman che emergeva dal fìtto degli alberi, bestemmiando in modo colorito. Quando alla fine mi ha raggiunto, sembrava uno spirito dei boschi impazzito, rametti e spine nella barba e nei capelli. Ha sputato una foglia e mi ha guardato con aria severa.
“Dovresti essermi grato!” ha esclamato.
“Perché?” ho domandato io.
Lui ha sollevato le mani, mostrandomi due zaini di pelle, entrambi vecchi e malconci. Erano così pieni che sembravano sul punto di scoppiare. “Ti ho portato della roba per i tuoi viaggi”, ha detto.
“Be’, è gentile da parte tua.”
Mi ha gettato il più piccolo dei due zaini. Era pesante. E puzzava.
“Un altro dei tuoi pezzi d’antiquariato?” gli ho chiesto, notando che era decorato con la bandiera dei Confederati.
“Infatti”, ha risposto lui. “Li ho trovati nello stesso posto dove ho trovato la sciabola. Lì dentro ci sono anche la tua pistola, dei soldi, una camicia e una fiaschetta di brandy.”
“E nell’altro?” ho chiesto, indicando lo zaino più grande.
“Altri vestiti. Un paio di stivali e… prova a indovinare?”
Ho sorriso. “Mi hai portato il mio libro?”
“Certo. So quanto ci sei attaccato. Te l’ho avvolto in una vecchia bandiera del Sud.”
“Ti ringrazio”, ho detto, prendendo anche il secondo zaino. Era piuttosto pesante. Le mie spalle avrebbero pagato il prezzo della mia verbosità, nei giorni a venire. Ma era bello avere con me il mio libro: era come un figlio da cui non potevo separarmi.
“Sei andato in casa per prenderlo”, ho detto. “So che detesti entrarci…”
Lui mi ha lanciato un’occhiata obliqua. “Una volta era così. Ma le cose stanno cambiando, sai? Animali sdraiati nell’atrio. Donne dappertutto.” Le sue labbra si sono allargate in un sorriso malizioso. “Anzi, ti dirò che sto pensando di tornare a vivere in casa. Quelle signore sono un bello spettacolo.”
“Sono lesbiche”, gli ho fatto notare.
“Per quanto me ne frega potrebbero anche essere del Wisconsin”, ha detto Luman. “Mi piacciono.”
“Come hai fatto a trovarmi?”
“Ti ho sentito quando sei passato vicino alla Casa del Fumo, parlavi da solo.”
“E cosa stavo dicendo?”
“Non ci ho capito molto. Sono uscito e ti ho visto che camminavi tra gli alberi, sembravi un sonnambulo. Ho immaginato che fosse opera sua. Della Signora dell’Amore.”
“Vuoi dire Cesaria?”
Ha annuito. “È così che la chiamava papà. ‘ La Signora dell’Amore, tutta ghiaccio e miele.’ Non l’hai mai sentito chiamarla così?”
“No, mai.”
“Mmm… Be’, comunque ho immaginato che avesse deciso di liberarsi di te. Così ho pensato di portarti qualcosa per il viaggio.”
“Grazie. Te ne sono molto grato.” Luman mi è sembrato vagamente a disagio nel sentire i miei ringraziamenti.
“Be’…” ha detto, togliendosi un frammento di foglia da un angolo della bocca. “Sei sempre stato gentile con me, fratello.”
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