Galilee ha raggiunto Rachel e l’ha presa per mano, e io mi sono chiesto che luogo fosse quello che stava prendendo forma attorno a noi. Le pareti della stanza erano scomparse per lasciare il posto a una foschia blu-grigia; ho alzato gli occhi al cielo e mi sono accorto che anche la cupola era svanita. Là, dove fino a qualche istante prima c’era stata una solida volta di legno e intonaco, adesso c’erano solo stelle. L’oscurità tra una stella e l’altra stava diventando più profonda e il chiarore degli astri più intenso. Per qualche secondo ho avuto l’impressione di cadere verso il cielo. Poi ho spostato lo sguardo su Rachel e Galilee prima che l’illusione si impossessasse completamente di me e ho visto le dita delle loro mani che si intrecciavano.
Mi sono sentito attraversare da una strana corrente e Tansy è balzato a terra, sulla sabbia davanti a me. Io mi sono accovacciato per controllare che non si fosse fatto male: in un certo senso, era strano preoccuparsi delle condizioni di un porcospino mentre la terra e le stelle venivano ricreate. Ma Tansy non aveva affatto bisogno del mio aiuto e si è allontanato con la sua buffa andatura prima che potessi toccarlo. Io sono rimasto a osservarlo per un attimo prima di sollevare lo sguardo. Ciò che ho visto a quel punto mi ha fatto dimenticare di colpo tutto il resto.
Non c’era nessuna scena apocalittica davanti a me; niente piogge di fuoco, niente animali terrorizzati. C’era solo un paesaggio che conoscevo. Avevo camminato lì solo con l’immaginazione, ma forse proprio per questo mi era ancora più familiare.
Alla mia destra c’era una foresta, fitta e scura. E alla mia sinistra, c’erano le acque calme del Mar Caspio.
Due anime vecchie come il paradiso scesero alla spiaggia in quell’antico mezzogiorno…
Quello era il luogo in cui aveva camminato la sacra famiglia; il luogo in cui Zelim il pescatore aveva lasciato i suoi compagni per fare un incontro che non solo avrebbe cambiato la sua vita ma anche la vita che avrebbe vissuto dopo la morte. Il luogo degli inizi.
Non c’era niente da temere, lì, mi sono detto. C’erano solo il vento, la sabbia e il mare. Mi sono voltato a guardare la porta ma era scomparsa. Non c’era modo di uscire, di tornare nella casa. E non c’era alcuna traccia della presenza di Cesaria sulla spiaggia. In lontananza, tra le dune, ho avuto l’impressione di scorgere qualche abitazione — Atva, probabilmente — e poi ho notato i resti scheletrici di una barca, le ossa dello scafo nere sotto la luce delle stelle, ma della donna che eravamo venuti a cercare nemmeno una traccia.
“Dove diavolo ci troviamo?” ha chiesto Galilee, come se stesse riflettendo ad alta voce.
“Questo è il luogo in cui sei stato battezzato”, gli ho detto.
“Davvero?” Ha guardato verso le acque placide. “Quando ho cercato di scappare a nuoto?”
“Esattamente.”
“Quanto ti sei allontanato?” gli ha domandato Rachel.
Non sono riuscito a sentire la sua risposta. La mia attenzione era di nuovo fissa sul porcospino, che era tornato indietro e si stava avvicinando alla carcassa della barca annusando la sabbia. Era quasi a metà strada quando ha sollevato la testa, ha emesso uno squittio e ha allungato il passo. Non stava più cercando la strada con l’olfatto: conosceva la sua destinazione, adesso. Qualcuno ci stava aspettando tra le ombre dell’imbarcazione.
“Galilee…?” ho mormorato.
Lui mi ha guardato e io gli ho indicato il relitto. Là — seduta nella barca — c’era la creatrice di tempeste, la virago in persona, una sciarpa di seta scura attorno alla testa.
“La vedi?” gli ho chiesto.
“Sì, la vedo”, ha risposto lui. Poi, a voce più bassa: “Vai prima tu”.
Non ho fatto obiezioni. L’ansia mi aveva abbandonato, scacciata dalla serenità del paesaggio. Non sarebbero state scatenate forze rabbiose, ne ero sicuro. Certo, questo probabilmente significava che la mia speranza di essere elevato dalla mia condizione di mezzosangue era infondata. Ma almeno non avrei corso alcun rischio.
Mi sono avvicinato alla barca. La luce delle stelle mi ha mostrato Cesaria abbastanza chiaramente. Era seduta su una pila di assi e mi stava guardando. Circondata dai resti dello scafo, sembrava che si trovasse al centro di un fiore scuro.
L’Enfants… ci ha detto… ce ne avete messo di tempo.
Tansy era ai suoi piedi. Cesaria si è chinata a raccoglierlo e l’ha preso tra le braccia.
“Ti abbiamo cercata nelle tue stanze…” ho cominciato a spiegare.
Non ho intenzione di tornarci, ha detto lei. Ho pianto troppe lacrime laggiù.
Da quando ci eravamo avvicinati, non aveva staccato lo sguardo da me. Era come se non volesse guardare suo figlio; come se non ne avesse il coraggio per paura di versare le lacrime che non voleva più piangere. Solo allora mi sono accorto di quanto Cesaria fosse emozionata.
“C’è qualcosa che posso fare per te?” le ho chiesto.
No, Maddox, mi ha risposto. Niente. Hai fatto più che abbastanza, bambino mio.
Bambino mio. C’era stato un tempo in cui mi aveva fatto infuriare chiamandomi così. Ma adesso mi sembrava bellissimo. Ero ancora un bambino. Cesaria sembrava volermi dire che dovevo ancora vivere la mia vita.
Penso che dovresti andare, ha detto.
“Dove?”
Attraverso la foresta, ha risposto Cesaria. Come ha fatto Zelim.
Non mi sono mosso. Dopo tutta la paura che avevo provato al pensiero di trovarmi in sua presenza, adesso non volevo altro che trattenermi ancora un po’, godermi il balsamo dei suoi occhi e il miele della sua voce. Con grande difficoltà, ho convinto le mie membra a obbedirmi.
Fai buon viaggio, bambino mio…
È stato così diffìcile allontanarmi, anche se in un certo senso ho avuto la sensazione di essere stato liberato. Avevo pagato la mia libertà con le parole; ogni pensiero che ho scritto su queste pagine è stato una sorta di riscatto. Eppure ero triste all’idea di partire.
Mi sono voltato dopo circa una ventina di passi e sono rimasto a osservare la scena. Era quello il momento. Galilee e Rachel, mano nella mano, si stavano avvicinando alla barca.
Moccioso, gli ha detto Cesaria. Perché ci hai messo tanto?
“Mi sono perso, mamma”, ha risposto Galilee. “Mi sono perso nel mondo. Ma adesso sono a casa.”
Non esiste più una casa a cui fare ritorno, ha detto Cesaria. Non c’è più niente.
“Allora permettimi di ricostruirla”, ha ribattuto Galilee.
Non ne saresti in grado, figlio mio.
“Hai ragione. Ma con la mia Rachel…”
La tua Rachel, ha detto Cesaria, in tono più dolce. Si è alzata dal suo trono di assi e ha fatto un cenno a Rachel. Vieni qui, le ha detto.
Rachel ha lasciato la mano di Galilee e si è avvicinata. Cesaria è uscita dai resti dello scafo e l’ha osservata. Ero troppo lontano per vedere l’espressione del suo viso, ma non stento a immaginare che tormento sia stato quell’esame. Era stato lo stesso per me. Cesaria stava guardando nell’anima di Rachel. Stava per emettere un giudizio definitivo su di lei. Alla fine ha detto:
Sei sicura di volere tutto questo?
“Tutto questo?” ha ripetuto Rachel.
Questa casa. Questa storia. Mio figlio.
Rachel si è voltata a guardare Galilee per un lungo istante e io ho avuto l’impressione di sentire il suono delle stelle che si muovevano sopra di noi, soddisfatte e immutabili.
“Sì”, ha risposto alla fine. “Lui è tutto ciò che voglio.”
Allora è tuo, ha detto Cesaria.
Ha allargato le braccia.
“Questo significa che sono perdonato?” ha domandato Galilee.
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